POETA ARISTOCRATICO

17 Lug 2019 | 0 commenti

IL RITMO DELLA POESIA E L’IMMATERIALITA’ DELLA REALTA’ NELL’OPERA DI UNO DEGLI ASTRATTISTI PIU’ INNOVATIVI DEL ‘900: FAUSTO MELOTTI

” Correndo alle calcagna del potere ci si impolvera e l’eleganza è perduta. ”

Fausto Melotti (foto tratta dal sito della Fondazione Fausto Melotti, Milano)


Il pittore e scultore italiano Fausto Melotti è nato a Rovereto nel 1901. A Firenze, mentre frequenta il liceo, incontra scrittori e artisti dell’avanguardia.  Completerà in seguito la sua formazione con studi alla scuola di belle arti. Decide di consacrarsi alla scultura; studia a Milano e al partire dal 1928 all’Accademia di Brera. Il suo stile evolverà rapidamente verso una ricerca che articola gli spazi seguendo ritmi musicali. Attraversa con difficoltà il periodo fascista, soggiorna a Parigi dove aderisce a Astrazione-Creazione. Nel trentennio fra il 1930 e il 1960, Fausto Melotti, per esprimersi, utilizza principalmente le tecniche della ceramica e della terracotta. Nonostante la sua intensa attività artistica Fausto Melotti approda alla notorietà solamente nel 1967 in occasione di un’esposizione a Milano. Con Lucio Fontana, Giacomo Manzù e Luigi Grosso verrà considerato come uno dei principali esponenti del movimento astratto milanese. Le sue opere degli anni 30 sono spoglie al limite dell’immaterialità e la loro cifra peculiare è più ritmica e musicale che plastica; La critica italiana lo considera come un precursore del minimalismo e dell’Arte Povera. Attraverso le sue opere si percepisce la passione di Fausto Melotti per la musica, ma anche per la matematica e la fisica. L’artista elabora la sua opera come il compositore compone la sua spartizione e come l’architetto costruisce edifici. Fausto Melotti scompare a Milano nel 1986.

Il testo è tratta dalla presentazione delle opere dell’artista a cura della Galleria San Gallo Fine Art di Vasto (CH)

Per introdurre all’opera dell’artista riporto il brano che illustra una delle opere più significative della sua estetica: Rivoluzione dogmatica. In essa, Melotti riesce nell’impossibile: “materializzare” le vibrazioni della materia, che perciò diventa emblema di poesia e musica.

Rivoluzione dogmatica è un paradigma che mette perfezione nella sintassi immateriale di Melotti: vera e nuda espressione del tessuto tecnico che sta sotto l’ordito lineare e drammaturgico della poesia scolpita. Essa è una scatola trasparente, a sviluppo verticale, che regge a un’ossatura di fili metallici
due teli di rete metallica, uno teso sul fondo a fare da parete, l’altro lasciato ricadere morbidamente come un cencio, a lato di una bandiera che ricade anche quella come ammainata.
Il mesto, o ambiguo, accadere, si svolge alla base di un disco metallico, il sole, che svetta su tutto.


Due chiavi, tecnica e tematica, aprono l’accesso alla scultura.
Il senso al quale verremo introdotti è la decifrazione del
disegno come codice dell’immateriale. Disegno e idea sono
sinonimi nei trattati rinascimentali e barocchi italiani. L’idea cresce nella mente dell’artista con il disegno. Esso sottrae l’idea all’inerte intelletto rendendolo viceversa fecondo. Per la discendenza kantiana, alla quale Melotti non è estraneo. l’intuizione si dà forma tramite il disegno. Da molte, e in apparenza
distanti posizioni, sentiremo Melotti richiamare l’attenzione sulle facoltà del disegno, in certi casi egli lo pone come condizione indispensabile a qualificare l’artista.
La rivoluzione dogmatica enfatizza la tecnica prettamente leonardesca del chiaro-scuro. Il tratto di matita sulla carta è giocato dalla rete semitrasparente che lascia filtrare la luce dell’ambiente all’interno del teatro immaginario recitato dalla scultura.


Il registro della materia metallica, inaugurato con il filo e le lamiere di ottone alla fine degli anni 50, mostra già in apertura la funzione della rete permeabile alla luce come terzo strumento indispensabile

all’orchestrazione. Il gaio metallo, l’ottone, prende lo spazio a diverse intensità e, vorrei dire, a diverse forze di trasparenza nell’opera Reti. La rete, nell’aspetto più vissuto e scarno, come la userà in seguito l’ Arte povera, sta nelle prime sculture immateriali per fare apprezzare la differenza che corre tra uno spazio di contenimento e uno spazio di attraversamento (La casa dell’orologiaio, 1960). Nel canone del disegno, la rete esemplifica il terzo modo del disegnare, il chiaro-scuro, assieme alla linea e al tratto. La veemenza di un giudizio morale insindacabile trasuda tanto più netta quanto maggiore è l’essenzialità dei mezzi introdotti dall’artista a inscenare il proprio dissenso sulle questioni di impegno politico allo scadere degli anni 60.
Melotti resta severo a ogni piega assunta dalla storia sociale e civile. Così come mette insieme nella sua analisi il fenomeno del mercato negli anni 60 e quello dei Regimi negli anni 30, allo stesso modo non esita a tagliar corto su certi lati opportunisti dei movimenti del ‘68.


Il fatto che gli preme è quanto di oscuro si annida nell’essere umano e in un certo senso egli dà la caccia a questo lato in
una serie ininterrotta di riprese dei crimini dell’umanità. Di ciò cantano i Teatrini e, per rimanere alla scultura immateriale, Monumento ai perseguitati politici (1962), The apartheid
(1967), La rivoluzione dei poveri (1968).
Non è difficile ipotizzare che l’impiego della rete, ovvero del chiaroscuro, adombri l’interesse a puntare sui focolai del malessere.
In una svolta fulminea di Linee (libro di Melotti ndr) si legge:
” Correndo alle calcagna del potere ci si impolvera e l’eleganza è perduta. ” L’ammonimento giunge al poeta dalla distanza dell’aristocratico

Il testo è disponibile sul sito della Fondazione Melotti (http://www.fondazionefaustomelotti.org

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