RONALDO

19 Gen 2020 | 0 commenti

Nella sua Storia intima di un mito globale dedicata a CR7 per 66thand2nd, Fabrizio Gabrielli analizza il nostro rapporto con gli eroi dello sport, oltre a uno degli atleti più interessanti e controversi del XXI secolo.

Una piscina a sfioro piastrellata con tesserine da mosaico rosse che ricordano il corallo. Una facciata di cemento brutalista misto ad acciaio e vetro, dentro cui si riflette il paesaggio di montagne e case bianche di Funchal, capitale dell’arcipelago di Madeira. È questa la prima immagine che ci si trova davanti cercando online il Pestana CR7 Funchal Lifestyle Hotel, un albergo a 4 stelle da 76 euro a notte («Il prezzo più basso dei prossimi 30 giorni», promette la promozione prenatalizia sul sito).

Territorio portoghese al largo delle coste marocchine: è da qui – dalle origini – che parte la ricerca di Fabrizio Gabrielli, giornalista e vice direttore della rivista «l’Ultimo Uomo», per il suo Cristiano Ronaldo. Storia intima di un mito globale, edito da 66thand2nd (pp. 240 – € 17,00). Il luogo infatti – che per chi ha trascorsi poetici ricorda il bicchierino e l’annesso contorno di aragostine di Montale – è noto oggi, più che per il liquore che vi si produce, per l’aver dato i natali a Cristiano Ronaldo. Il quale, nella costante operazione di branding di sé stesso, ha costruito qui un albergo ispirato al culto di sé, in collaborazione con l’imprenditore Dionisio Pestana, amministratore delegato di una holding del settore turistico di lusso portoghese.

Annesso all’albergo, a completare la dimensione di celebrazione del mito, il CR7 Museu, davanti al quale si trova una statua di bronzo del calciatore che «ha delle macchie più chiare, quasi dorate, all’altezza delle mani e del pube, le parti più provate dall’usura, dallo sfregamento», racconta Gabrielli nel prologo. Qui sono contenute le prime tracce di un mito dentro cui Fabrizio Gabrielli ci fa immergere, con un racconto poliedrico di un uomo che ha fatto di tutto per trasportare sé stesso in una dimensione diversa da quella dell’umano. E nell’analisi del culto, molto emerge di noi e dei nostri tempi.

«De summo illo deo, qui scitur melius nesciendo»

La massima di Sant’Agostino sulla teologia negativa, in base alla quale dio si può descrivere solo per ciò che non è, mi sembra il miglior riferimento per parlare di un volume che ambisce a raccontare uno sportivo di caratura planetaria, controverso, odioso e stizzoso, polarizzante. Uno di fronte al quale, per via delle sue molteplici sfaccettature che trascendono il solo fenomeno sportivo, semplicemente non è facile restare indifferenti. Fabrizio Gabrielli fa una scelta chiara, al principio di questo libro: parlare di Cristiano Ronaldo come di una divinità. Bibbia, mitologia, vite dei santi: anche nei riferimenti agli strumenti narrativi il contesto teologico viene sempre esplicitato e rafforzato (come fa pure l’immagine cristologica in copertina). Nel rapporto con il concetto di divino che tutti abbiamo, Gabrielli individua la chiave di lettura di un personaggio ineffabile. Cosa sono infatti i campioni per noi se non eroi, semidei, divinità tonitruanti? Raccontarli è possibile, descriverli no. E allora lui sceglie di spostare il focus a tratti su di sé (scelta che funziona, ma non sempre al meglio) e soprattutto su di noi (e qui dà il suo meglio, com’è normale che accada per un bravissimo giornalista con piglio da narratore).

Sul lato del sé Gabrielli sceglie come espediente narrativo quello di intervallare la propria ricerca rivolgendosi alla divinità Ronaldo, alternando nel discorso diretto un piglio interlocutorio con uno indagatorio. Parla pertanto al mito da lontano – come sempre si parla alla divinità – ma non come uno che ne celebri i riti, piuttosto con lo scetticismo dell’ateo, o al massimo del laico. Mostra il tentativo di ricercare un’intimità, una relazione di pensiero. Ma che Cristiano Ronaldo non gli piaccia è chiaro da principio (e che questo libro sia una sfida con cui l’autore ha deciso di spostarsi in un territorio a lui meno congeniale è rivelato con onestà in una iniziale captatio benevolentiae). Stare fuori da quella che Gabrielli chiama «comfort zone» gli crea alle volte degli impacci, che al lettore arrivano, ma si percepiscono in questo libro anche un coraggio e un’onestà che sono l’humus su cui poi il testo sboccia. È uno scioglimento che avviene dopo la presentazione di un personaggio chiave, secondo me: lo scultore autodidatta Emanuel Santos, quello deriso per lo strambo busto di Cristiano Ronaldo rivelato nel 2017 quando l’aeroporto di Madeira venne intitolato al calciatore. Un personaggio specchio di Gabrielli, uno che come e prima di lui ha tentato di descrivere il mito guardando all’impressione che esso ha su di noi, mirando alla sua interiorità, piuttosto che alla vulgata perfetta della sua immagine in cui tutti più facilmente saremmo pronti ad accomodarci.

La previsione come principale caratteristica del dio. Dal minuto 20:14

Da qui in poi il libro prosegue serrato per capitoli in cui si dipana la successione delle esperienze biografiche di Cristiano Ronaldo: la famiglia d’origine, i primordi a Lisbona nello Sporting Clube de Portugal, il Manchester di Alex Ferguson. Questa successione rimane sempre intrecciata con la storia della sua trasformazione in uomo-macchina e nel marchio CR7; da calciatore in mito. Com’è chiaro per una divinità, tutto è già scritto in principio, e quindi ogni cosa si rivela in segni premonitori visibili a chi sa leggerli. E quindi la famiglia che si è letteralmente “costruito”, il rapporto con il procuratore Jorge Mendes e il preparatore René Meulensteen, gli incontri imprenditoriali e la consacrazione con il passaggio al Real Madrid. Tutto fin verso l’analisi dei tempi più recenti, con il passaggio alla Juventus come «opportunità di business» e l’emersione delle storie più controverse di Ronaldo, ovvero l’evasione fiscale in Spagna e le accuse di stupro da parte dell’ex attrice e modella Kathryn Mayorga, messe a tacere con un accordo-extragiudiziale.

È in questo tessere la ricostruzione biografica con l’analisi intima del campione che Gabrielli riesce in quella che, secondo me, è l’operazione più interessante del libro: spostare di continuo l’asse su un’analisi sociale, che va a coinvolgere la fenomenologia della rete e la costruzione della relazione con il pubblico. Il calcio di Ronaldo, instillato nel sistema comunicativo del XXI secolo, va analizzato per quello che dice del pubblico, del suo rapporto con l’eroe. Ecco allora che il volume di Gabrielli spazia nella filosofia, nella sociologia, nel marketing, ma senza mai assumere i toni di queste discipline. Rimane una narrazione che non cerca nemmeno la magniloquenza, ma è ben condotta da chi è dotato di sguardo divertito ed estremamente intelligente, capace di cogliere uno spirito dei tempi. Lo stesso spirito che è sintetizzato da un sistema di sharing economy come Airbnb (a proposito di luoghi dell’accoglienza), che non solo sta trasformando il tessuto economico e sociale delle città in cui si è diffuso, ma ha preso a filtrare le permanenze delle persone nei luoghi attraverso quelle scatole presettate che sono le experiences («Discover local things to do», recita il sito). Una nuova dimensione normativa del viaggio che Gabrielli ritrova in CR7, ponendo e ponendoci qualche domanda. «Non è affascinante il totalitarismo dell’idea di calcio di Ronaldo? La sua presunta e autoproclamata infallibilità? Il punto a cui voglio arrivare», scrive «è che se esiste una rappresentazione genuina di cosa sia il calcio nel Ventunesimo secolo questa è ciò che ci restituisce non tanto il personaggio, ma l’esperienza Cristiano Ronaldo. Non sarà sufficiente per definirlo il più forte, ma basta per proclamarlo il più interessante». Il dibattito è ancora aperto, e questo libro si candida a fungere da utilissimo strumento di valutazione e orientamento.

di Vittorio Martone per il sito http://www.leparoleelecose.it/

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