MARINAIO IN TERRE LONTANE

MARINAIO IN TERRE LONTANE

 

 

Giusto un mese fa il Capitano Achab ci ha lasciati. Aveva raccolte le vele, chiusa la cambusa, appeso il berretto bretone al gancio, ma era una finzione. Perché al tramonto, fumando l’ultima sigaretta, sorseggiando il bicchiere della staffa, era rimasto a lungo in silenzio. Osservava le lievi increspature delle onde e il luccichio delle luci lontane. Amava molto quegli argini, gli scanni nascosti fra le canne, le strisce sabbiose appena emerse dal mare. Ma già era pronto per l’ultima sfida. Aveva tracciata nella mente la rotta definitiva per quel viaggio da cui non si torna, perché è troppo intrigante oltrepassare quelle colonne, misteriosa e sconosciuta quella terra, imponderabile il destino che là ci aspetta.

Un viaggio chi si può fare solo in solitudine e senza rimpianti. Per questo sembrò evaporarsi la sera prima con l’ultima boccata, prima di scendere in quella gola nera che precede l’aurora. Non poteva fermarsi ancora, darci un breve congedo, regalarci un altro pomeriggio di leggera ironia e di arguzie. Doveva seguire la sua vocazione, che sarebbe stata quella di un grande capitano sugli oceani, se come sempre il destino non avesse imbrogliate le carte.  

E un grande Capitano è stato, ma di terra, perché in fondo non amava la promiscuità dei porti, il contatto sfuggente, le baldorie e gli eccessi di chi, sbarcato a terra, lascia il meglio di se stesso a bordo. Forse in gioventù aveva sentito il fascino dell’azzardo. Ma ben presto capì che la malìa del rischio alla fine ottunde e incatena. E lui era un uomo libero, misurato e lucido, costante nei propositi, forte nei suoi ideali.

Se non è stata la stella polare a guidare in terra i suoi passi, certo lo sarà in cielo.

Così come l’hanno guidato, quando era in mezzo a noi, l’amicizia e l’amore.  Che lui manifestava esitante, a volte, per un ritegno innato, non certo per mancanza di generosità. Lo vedevi dalla delicatezza dei modi, nel rispetto con cui ti ascoltava, a volte pensoso, lo intuivi nel tono sempre rispettoso o bonario.     

Non credo si sia voltato indietro nel suo viaggio. Con tanto avvenire d’avanti e tanta strada ancora da fare forse penserà che di lui qui si siano perse tracce e ricordo. Eppure, è come se fosse in mezzo a noi, come se si librasse su di noi, invisibile negli spazi sconfinati della pianura, come se nelle stanze risuonasse ancora il suo passo. E sarebbe sorpreso lui stesso nel saperlo.

Lo hanno capito, prima e meglio di noi, giù nell’orto della sua casa, i fiori che lui coltivava, i ranocchi e i pesci del suo stagno, forse anche le galline che continuano a salire di notte sugli alberi per sfuggire ai topi, come ben si conviene nel paese dei Bigatti.  Facciamo così Capitano: finché non tornerai, qui il tuo posto a tavola è riservato. Se dovessimo nel frattempo venire noi da te, accoglici fraternamente come sempre.

Sul capitano Achab puoi trovare ( qui ) un altro articolo

 

 

Col capitano Achab

Col capitano Achab

Il capitano Achab del Delta del Po

Il capitano Achab del Delta del Po

Breve parentesi in Basso Polesine, sul mare di laguna su cui si affaccia Boccasette, spiaggia in cui, come un miraggio, in un giorno invernale di parecchi anni fa mi apparve lo spettacolo della neve sulla battigia, galleggiante sulle onde salmastre come una candida spuma di sapone.  Me lo ricorda Mario, il mio capitano Achab, che anziché seguitare balene, ama perdersi fra gli scanni, spiaggiare con le maree dimenticate, carezzare con lo sguardo le canne ondeggianti, cogliere il guizzo che apre nell’acqua cupa il dorso di un pesce. Ha i capelli bianchi, ancora folti, che gli spiovono a frangetta su una fronte bassa, due occhi infossati e un viso massiccio, volitivo e spesso, come sagomato dalla mano ruvida del vento. Parla con toni baritonali con calate a falsetto e una vena dolce ed ironica che contrasta col suo aspetto ispido.

Barche sul Delta del Po

Barche sul Delta del Po

Francesca gli sta accanto, piccola, si muove con la cautela dei miopi, esprimendo, piu’ che con le parole col sorriso il suo animo arrendevole e affettuoso. Siamo sotto una grande tenda, il riso con vongole e telline, leggermente aromatico viene accompagnato da uno spumantino fresco del trevigiano. Osservo che profuma di mela verde, cosa che colpisce Mario, quasi a dirmi che lui, di palato grosso, da solo non ci sarebbe mai arrivato. Fra un boccone e l’altro, Mario inizia, con la voce del fine dicitore, il suo repertorio di aneddoti che nel finale si rivelano barzellette, ironie feroci, paradossi morbosi. Luciano, che prende 5 pastiglie al giorno per combattere una sfilza impressionante di malattie, sorride rilassato a fianco della Grazia, forchetta di grande sfoggio, moglie impettita e inflessibile, che nemmeno le carezze riescono ad addolcire, solamente il pensiero delle figlie o di quel marito un po’ matto, instancabile ed irrequieto, ma che a saputo darle tanta semplice felicità, spingendola per scanni e balere, argini e lagune. Dopo pranzo un lenta passeggiata sulla spiaggia, da un lato si scorge l’isola di Albarella, dall’altro l’estrema propaggine del Po di Goro, oramai in terra ferrarese. Qualche giovane ardito fa l’ultimo bagno, gabbiani sfrecciano nel cielo portati dal vento, passano dei cani che si avventano contro le onde, fra nuvole di spruzzi.

Polesine Camerini, delta del Po

Polesine Camerini, delta del Po

Camminiamo fra i resti semi sepolti che la marea o i nubifragi hanno depositato sulla spiaggia: tronchi, corde e grovigli di reti, gusci vuoti di molluschi o di telline, la plastica immarcescibile che non è finita nella pancia di un pesce. Al ritorno, sul molo, la foto di rito. Guardiamo all’orizzonte il lungo fumaiolo della centrale elettrica di Polesine Camerini, oramai dismessa che, dopo avere inquinato il paradiso in cui siamo, sta per essere demolita. Il sole arrossa l’orizzonte e le ombre della sera incupiscono le macchie. Prima della Romea, un salto in un piccola riserva, dove, in mezzo a risorgive e nugoli di zanzare, vive Gianni, il fratello di Mario, in una roulotte mezzo sfasciata, fra galline, qualche coniglio e un po’ di orto stentato. Somiglia a un attore americano oramai imbolsito, con i languori dell’alcolista. Il disordine gli si legge sul viso. Quest’uomo si arreso da un pezzo all’obesità, alla solitudine e mastica amari rimpianti per oscuri fatti lontani mentre cerca febbrile una sigaretta. Cogliendo la direzione del mio sguardo mi dice: “Le galline dormono sugli alberi per via dei topi”, mentre dal camper a tutto volume Eros Ramazzotti ci avvolge in uno stordimento sonoro. Tutti ci chiediamo, a testa in su’, come fanno le galline a stare lassù dormendo. Ma qui siamo nel paese del Bigatto e ci si può  aspettare di tutto. Anche topi più grandi di galline, o pesci siluro come balenotteri.

Contact Us