NON SEMPRE IL TEMPO INSEGNA

NON SEMPRE IL TEMPO INSEGNA

 

RETICENTE E SUPERFICIALE INTERVISTA DI CLAUDIO MARTELLI, EX DELFINO DI CRAXI E EX MINISTRO DELLA GIUSTIZIA- SI SOSTIENE CHE LA CADUTA DELLA PRIMA REPUBBLICA FU VOLUTA DAGLI USA IN COMBUTTA CON IL PCUS DI ELTSIN, MENTRE FU UN’AUTO DA FE,’ INFLITTA A FUROR DI POPOLO A UN SISTEMA ISTITUZIONE ESANGUE E CORROTTO- MARTELLI: “CRAXI E I SOCIALISTI LA LORO BATTAGLIA L’HANNO VINTA SUL PCI- SI’, A TAL PUNTO CHE SONO SPARITI ENTRAMBI.

 

Il segretario del PSI (Partito Socialista Italiano) Bettino Craxi stringe la mano del sindacalista italiano Agostino Marianetti a un comizio elettorale. Il vicesegretario del PSI Claudio Martelli fuma in mezzo a loro. Milano, 28 maggio 1983

Cronache dall’estate: Walter Veltroni intervista in prima pagina sul Corriere della Sera Aldo Tortorella e Rino Formica, sui magazine rispuntano le foto di Achille Occhetto che bacia Aureliana Alberici a Capalbio, Lorella Cuccarini annunciata alla conduzione di un importante programma, Paolo Cirino Pomicino fisso al suo posto nei talk del mattino. Sembra un’estate di fine anni Ottanta e invece è proprio questa qui appena finita, quella del 2019. Uno dice: e Raffaella Carrà? In palinsesto pure lei, in attesa del ritorno della lambada e delle pennette alla vodka. Se per spiegare i fenomeni di moda e di costume, però si può sempre ricorrere ai ritorni ciclici che funestano – o allietano, dipende – ogni epoca, per la politica il tema é più complesso: cosa ci riporta sempre là? Perché abbiamo sempre bisogno di quel confronto (o di quello scontro)? Perché quei protagonisti sembrano non passare mai?

Per esempio, si ipotizza, perché non troviamo quello che cerchiamo nella classe dirigente attuale? Perché i conti sono ancora aperti? Perché ci fa sentire giovani? (Su questo tema primeggia, come sempre, la gloriosa categoria dei giornalisti: basta andare a controllare chi firmava i pezzi in ricordo di Francesco Saverio Borrelli, gran capo del pool di Mani Pulite scomparso lo scorso luglio: omaggiato, criticato ma quasi mai oltraggiato dagli stessi che scrivevano più o meno sugli stessi giornali all’inizio degli anni Novanta). «Non so perché ci sia tutta questa attenzione», dice Claudio Martelli, ex ministro, leader socialista della Prima Repubblica, ospite ambito nei salotti delle signore romane, una condanna per la maxi tangente Enimont, visione politica da vendere, «e non so neanche se chiamarla nostalgia o ripensamento. Sicuramente é una riflessione più serena su quello che è stato».

Ma qual era la caratteristica di quella Repubblica, cosa è cambiato rispetto a ora?
Glielo riassumo in un titolo: “Partiti forti e istituzioni deboli”.

Istituzioni deboli?
Lei come le definirebbe? Come definirebbe una forma di governo che nella Costituzione ha dedicate appena tre righe?

Ma come: la Costituzione più bella del mondo, c’era anche un programma di Benigni che…
È la più bella del mondo soprattutto per chi non ha letto le altre.

Tipo?
Serve che le citi il diritto alla felicità contenuto in quella americana? Mi pare un concetto ben più ampio che «fondata sul lavoro», no?

Torniamo alla Prima Repubblica.
Guardi che io ero un critico della Prima Repubblica anche quando era considerata intoccabile da molti.

Bettino Craxi con Gianni De Michelis

E poi? Mi dica quando è finita.
Lì la follia fu prendersela con i partiti invece che con le istituzioni.

Beh, neanche i partiti dell’epoca erano esenti da critiche, non trova?
Ma certo. Però lì è avvenuto qualcosa di diverso: i partiti sono proprio stati azzerati, c’è stato uno sdegno, un rifiuto totale.

È da quel periodo che siamo arrivati a quello che viviamo oggi?
Calma, non scordi che tra allora e oggi c’è di mezzo la Seconda, di Repubblica.

Ma quello che voglio chiederle è: all’epoca non si aspettava veramente quello che è accaduto poi?
Vede: qualche fenomeno politico c’era anche, come la Lega nascente, ma erano poca cosa.

Allora cosa accadde?
Nel ’92 fu il momento in cui ci fu un’iniziativa improvvisa sul finanziamento illecito ai partiti, si mise un accento esagerato su quel reato.

Chi lo mise?
La Procura di Milano, mi pare chiaro.

Che ricordo ha di Borrelli?
Con me è sempre stato cortese, disse che ero stato il miglior ministro della Giustizia, assieme – aggiunse poi – al suo amico Giovanni Maria Flick. Negli ultimi anni Borrelli, a proposito di Mani Pulite, disse che «non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale».

Un cambio di atteggiamento, secondo lei?
Sicuramente c’entrava il suo giudizio sulla classe politica della Seconda Repubblica. Un giudizio che rivalutava i politici della Prima, e non riesco a immaginare cosa avrebbe detto della situazione attuale.

Durante Mani Pulite il clima era diverso?
Ricordo una sua intervista rilasciata nel 2000: disse che fintantoché si trattava di decapitare il re la gente si eccitava, quando poi ci si è accorti che la lotta alla corruzione è una cosa un po’ diversa, qualcuno ha cominciato a infastidirsi. Colpisce la metafora usata, “decapitare il re”, in cui è evidente che Borrelli si identificava coi giacobini, con Robespierre.

Erano gli anni dei “ladri socialisti”.
Sì: ladri solo quando eravamo al governo con la Dc. Quando sul territorio governavamo insieme al Pci d’incanto non eravamo più ladri.

Il Pci godeva di uno status particolare, diverso dagli altri, secondo lei?
Si rilegga le parole di Gherardo Colombo che ammise questa vicinanza tra comunisti e magistrati giustificandola col fatto che, se non ci fosse stato il pool, sarebbe stato isolato politicamente.

Qual era il contesto?
Cerchi su YouTube: c’è un video di quel tempo. Si vedono il presidente americano Clinton e quello russo Eltsin al termine di un incontro: ridono, scherzano, sono alticci, sembrano due comici.

 

Il vicesegretario del Partito Socialista Italiano Claudio Martelli, il ministro delle Partecipazioni Statali Gianni De Michelis e Rino Formica (Salvatore Formica) partecipano ad un comizio del Partito Socialista Italiano. Parma, 16 gennaio 1983

(Dopo un controllo) Sì, in effetti c’è: sono a New York nell’ottobre del 1995. E allora?
Ma non capisce? Era finita la Guerra fredda, Dc e Psi erano qualcosa da cui liberarsi, il nuovo alleato Usa sarebbe stato il Pds.

Lo zampino americano, quindi, secondo lei.
Oramai è passato molto tempo e ci si dimentica di episodi dell’epoca, tipo quello del console americano che si vedeva spessissimo con Di Pietro e a cui il Pm avrebbe anticipato la volontà di compiere alcuni arresti prima di eseguirli (questa è la versione data dal console, Peter Semler, contestata da Di Pietro, nda).

(Mentre chiacchieriamo con Martelli i telegiornali aprono sulla vicenda dei presunti finanziamenti russi alla Lega di Salvini. Una questione che da subito ha rimandato alla Prima Repubblica: i soldi da Mosca, i rubli! Ovviamente glielo si chiede). Se l’aspettava?
Diciamo pure che non avevo dubbi. Mi scusi: ma se legge di un partito italiano al 4% che stipula un trattato con un partito russo che sta al 70% lei cosa pensa? Perché questo è quello che è accaduto anni fa tra la Lega, quando la prese Salvini ai minimi storici, e Russia Unita di Putin.

Però neanche è automatico…
Ma dai!

Ma mica solo Salvini ha rapporti con Putin: Berlusconi, ad esempio.
Berlusconi era diverso: lui almeno con Putin cercava di cavarne accordi con la Nato.

Cercando assonanze tra la Prima Repubblica e adesso non si può non ricordare che lei firmò la prima legge (nel 1990, legge Martelli, appunto), che regolava i flussi di immigrati.
E io sono felice che lo ricordi. Anche qui: dal 1991 e per i 10 anni successivi, gli immigrati sono aumentati di 600 mila unità in 10 anni. Poi, con le leggi Turco-Napolitano e Bossi-Fini sono diventati 5 milioni.

Solo merito della sua legge?
Ma no, certo, vanno anche considerati i flussi di migranti provenienti dall’Est, come dopo che la Romania entrò nella Ue e 800.000 badanti furono regolarizzate con la gestione Maroni.

Claudio Martelli, si intravvedono riconoscibili Enrico Manca, Rino Formica e, dietro Martelli, il giornalista Rai Alberto La Volpe

Cosa aveva la sua legge rispetto a quelle attuali?
Era severa ma giusta. All’epoca mi dicevano che avevo aperto le porte ai migranti, ma in realtà io quelle porte le ho costruite. Era una legge che programma i flussi, una legge seria come le altre che ho fatto sull’asilo politico e sulla cittadinanza.

Poi cosa è successo?
Sino al Governo Letta tutti i governi che si sono succeduti, di tutti i colori, facevano leggi che avevano come premessa il contrasto all’immigrazione clandestina. Da quel momento in poi invece, col ministro Alfano, per quattro anni abbiamo lasciato entrare in Italia 150/180.000 mila immigrati all’anno.

Secondo lei quel periodo è l’origine della situazione che viviamo oggi?
Assisto a un estremismo umanitario parolaio. In questi anni non abbiamo accolto queste persone, le abbiamo salvate e questo è giusto, poi le abbiamo abbandonate o fatte “passare” nei Paesi confinanti. In questo modo abbiamo esasperato sia i nostri partner europei sia il popolo italiano.

Però parliamo di un fenomeno marginale, ci sono altri Paesi come la Grecia o la Spagna dove sbarcano molti più immigrati che in Italia.
Ma lo vogliamo capire che l’immigrazione è ciò che sposta i flussi elettorali?

Dice?
È un fatto: guardi in Germania, dove sui migranti si è rotto l’asse con la Spd e il partito della Merkel ha perso punti e punti di consenso. E la Brexit: anche con quella c’entra l’immigrazione. E in Francia…

Il tema sarà anche quello delle frontiere, però queste persone neanche possono morire in mare.
Certo che no. Però è anche vero che l’accoglienza indiscriminata porta malessere nelle città, i benefici del welfare sono limitati. Non dico di bloccare le frontiere ma di accogliere nei limiti delle nostre capacità, anche il Papa l’ha detto.

Sempre per stare sull’attualità: lei si è arrabbiato molto per il ricordo che quasi tutti i media hanno dedicato a Gianni De Michelis: la foto iconica di lui scamiciato che balla in discoteca…
Mi sono arrabbiato molto, certo, per quello che non è stato un equivoco.

E cosa è stato allora?
Una volontà premeditata, superficiale e cinica, per sminuire la sua immagine pubblica.

Claudio Martelli, oggi

Ma non negherà che l’ex ministro De Michelis in discoteca ci andava volentieri: il soprannome «avanzo di balera» datogli da Biagi, il libro scritto di suo pugno Dove andiamo a ballare stasera? presentato anche al Bandiera Gialla di Rimini…
E cosa c’entra? Sì, ci andava, e allora? Mica passava le sue giornate a ballare: stiamo parlando di un personaggio che aveva intuizioni straordinarie, come quella dei “giacimenti culturali”.

«I socialisti vogliono rifare il minculpop», cito.
(Sorride) È vero, dicevano così. Ma non avevano capito che avevamo ragione, che i socialisti erano dei modernizzatori, che la cultura, sostenuta dall’impegno privato, era il futuro.

Quest’anno si sono ricordati anche i 35 anni dalla morte di Enrico Berlinguer: lei in quel 1984, quando alcuni vostri delegati lo fischiarono al congresso di Verona (e Craxi disse: «Non ho fischiato solo perché non lo so fare», anche se dopo si pentì), era vicesegretario del suo partito. Che ricordo ne ha?
Quella morte fu quasi un sacrificio in pubblico (Berlinguer ebbe un malore durante un comizio a Padova e dopo poco si spense, nda) e non poteva non emozionare.

Ma?
Ma il giudizio politico, che mi pare confermato dai fatti, non è positivo: l’eurocomunismo in cui tanto si era impegnato, che doveva avvicinare i grandi partiti di Italia, Francia e Spagna, si rivelò una fiammata e nulla più.

Però il compromesso storico, la convergenza con la Democrazia Cristiana…
Il compromesso storico! Sa quali furono gli effetti, al di là della tragica morte di Moro?

Quali?
Un corteggiamento ai ceti imprenditoriali concretizzato con il patto Agnelli Lama che portò l’inflazione al 17%.

Berlinguer sollevò anche la questione morale, in una celebre intervista a Scalfari: almeno su questo aveva ragione, o no?
Ecco, vede, è proprio questo il punto: la questione morale, con la quale si voleva certificare la diversità morale dei comunisti. Ma questo rende la politica di fatto intrattabile.

Però ha posto un tema.
Sì, ma senza fornire soluzioni.

Lei fu il delfino di Bettino Craxi: il prossimo anno saranno 20 anni dalla morte. Crede nella riabilitazione?
Beh, quella è in corso già da tempo, e sa perché?

Perché in Italia tutto passa?
Perché Craxi e i socialisti la loro battaglia l’hanno vinta: nel 1992 socialisti e comunisti hanno preso gli stessi voti (considerando anche i socialdemocratici, attorno al 16%, nda), un risultato impensabile sino a poco prima, un risultato prima di tutto di portata culturale per questo Paese.

Ha nostalgia per quegli anni?
Sono portato ad andare avanti e a tener conto del passato, ma non sono un presentista.

Chi è Claudio Martelli?
Io ho sempre fatto politica. E continuerò a farla.

Intervista di Francesco Caldarola  per la Rivista Studio

Le immagini in bianco e nero sono di Getty Images/Mondadori Portfolio

Sul tema dei rapporti col PCI di Berlinguer leggi qui (https://www.ninconanco.it/berlinguer-e-la-terza-via/)

BERLINGUER E LA TERZA VIA

BERLINGUER E LA TERZA VIA

 

COSI’ LA PENSA GEPPETTO SU BERLINGUER E LA FANTOMATICA TERZA VIA FRA COMUNISMO E CAPITALISMO- LA QUESTIONE MORALE E LA DIVERSITA’, NELLA FAMOSA INTERVISTA DI EUGENIO SCALFARI, CI RESTITUISCONO UN LEADER INTEGRALMENTE LEGATO AI MITI DEL SUO TEMPO- OSTILE A CRAXI, SMENTITO DALLA STORIA, DIMENTICATO DAI SUOI, EVITO’ MORENDO DI FINIRE TRAVOLTO DALLA CADUTA DEL COMUNISMO.  

 

 

 

Quarantacinque anni fa Enrico Berlinguer venne eletto segretario del PCI, in cui era entrato nel lontano 1944, quando il partito era ancora clandestino. Fu una figura di spicco del comunismo internazionale e della vita pubblica italiana per tutta la seconda metà del ‘900, fino alla morte avvenuta a Padova nel 1984, al termine di un comizio. Ma chi se ne ricorda oggi? Rimosso, se non per gli storici, e non solo a causa della rovina del tempo. Ieri si entrava nel Pantheon, oggi nell’album della figurine Panini, quando va bene.

Vale la pena ricordarlo e non solo per i pregi, che pure ebbe, ma per i difetti. Difetti che gli venivano da una generazione di dirigenti politici marxisti, in qualche modo congeniti.

Essi traspaiono bene nella “storica” intervista che nel 1981, cioè tre anni prima della morte, gli fece Eugenio Scalfari, fondatore di La Repubblica, fecondo scrittore che dà del tu a papa Francesco e scrive libri quali Incontro con Io e L’uomo che non credeva in Dio, dedicati al culto di se stesso.

LA FANTOMATICA TERZA VIA

L’intervista, dal titolo La questione morale, si colloca in un momento di degrado della vita pubblica italiana. Per distinguersene, rintuzzando le velleità di Bettino Craxi in politica interna, e la imbarazzante crisi del PCUS in politica estera, Berlinguer si era inventato un fantomatica “terza via” fra socialismo reale e capitalismo, detta anche eurocomunismo, vera e propria anticaglia da museo.

Il giudizio che Berlinguer dà sulle istituzioni politiche italiane è definitivo: “I partiti hanno occupato lo Stato e le sue istituzioni, a partire dal governo …Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico….. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni fanno… vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione viene data, un appalto aggiudicato, una cattedra assegnata, un’attrezzatura di laboratorio finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi..”

Con finta ingenuità Scalfari protesta: “Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle”… ma allora perché gli italiani sopportano e voi non avete conquistato la guida del Paese da un pezzo?

ITALIANI BRAVA GENTE?

Risposta: la gran parte degli italiani è sotto ricatto. “Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più” Insomma, il voto degli italiani è libero quando votano a favore di aborto e divorzio, non lo è più quando scelgono la DC o il PSI. Tesi ardita, postula che ci sia un popolo scostumato che va rieducato, in linea con la funzione pedagogica del socialismo reale, che suona: gli elettori hanno torto, sbagliano, anzi peggio, sono approfittatori, forse corrotti. Avrebbe dovuto ricordarsene Renzi dopo la scoppola referendaria costituzionale. L’avrebbero linciato davanti a Montecitorio.

Berlinguer, non pago, rilancia di fronte alle obiezioni di Scalfari: è un miracolo se il PCI con questo andazzo conservi, anzi rafforzi il suo consenso, perché il PCI non è come gli altri partiti, esso è “diverso” A tal punto che “gli italiani hanno paura di questa diversità” E passa ad elencare i punti di questa diversità marziana.

Primo, noi non vogliamo occupare lo Stato, come fanno gli altri; e confessa: “la DC e gli altri partiti hanno fatto ponti d’oro perché abbandonassimo questa posizione d’intransigenza e di coerenza morale e politica”.

Peccato che Berlinguer non dice che da decenni il PCI governa le Regioni e che, in ogni consiglio, presidenza, assemblea, ecc. di ogni organismo pubblico italiano, sono le stesse leggi o delibere a stabilire la composizione: ” di cui… tot.. alla minoranza”, dove minoranza stava sempre e soltanto per PCI.

Secondo, prosegue Berlinguer: noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e i poveri e gli emarginati difesi. Scalfari obietta che lo vogliono tutti, e Berlinguer replica che i comunisti, e solo loro, hanno le carte in regola per farlo, perché sono stati loro in guerra con i partigiani, in galera con gli operai, nelle borgate con i disoccupati, con le donne e il proletariato.

Il terzo punto di diversità è che il capitalismo va superato perché ha provocato gravi distorsioni e enormi sprechi di ricchezza.

LA DIVERSITA’ FRA SERIO E FACETO

Scalfari obietta che questi punti stanno nell’agenda di ogni socialdemocrazia europea di quegli anni. Dove sta la differenza?

Berlinguer si altera un po’, questo è un tasto che non vorrebbe sentire, perché gli ricorda Craxi e il suo riformismo. La socialdemocrazia tedesca, francese, europea insomma è seria, non quella italiana, dice in sostanza. “Dunque siete un partito socialista serio…” insiste Scalfari. Messo alle stretta, Berlinguer replica: ..”nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo… (pensa a quello reale? Se no che comunista sarebbe, seppure eurocomunista?).

QUESTIONE MORALE

Eugenio Scalfari, nel fotomontaggio nei panni di un pontefice

Ma la questione morale è il tarlo che rode il segretario del PCI. “La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori nelle alte sfere…bisogna scovarli e metterli in galera…. La questione morale fa tutt’uno con la guerra per bande, con l’occupazione dello Stato, con la concezione politica e i metodi di governo di costoro”. Tutto questo sfascio si è reso possibile, sostiene Berlinguer, per una “causa prima e decisiva: la discriminazione contro di noi”.

“Tutto nasce dal fatto che non siete stati ammessi al governo del Paese? – domanda incredulo Scalfari.

Risposta: “..noi non abbiamo mai chiesto l’elemosina di essere “ammessi”… dico che questa è una stortura, una amputazione… un terzo degli italiani per trentacinque anni non è stato rappresentato nel governo, che il sistema politico è bloccato”.

Enrico Berlinguer e Bettino Craxi

Peccato che Berlinguer dimentichi: che l’Italia era (ed è) Paese della Nato, che il PCI era fedele alleato e finanziato dal PCUS, che stava dall’altra parte della Cortina di ferro; che il patto “ad escludendum” nei confronti del PCI, che ha ingessato la dialettica dell’alternanza, era la logica conseguenza di questa natura del PCI e non “colpa” della maggioranza degli italiani e dei partiti che li rappresentavano.

Gli italiani non si fidavano, insomma, preferivano (o erano costretti a farlo) le ruberie e il malgoverno ai rischi che il PCI allora rappresentava. Meglio la libertà, per quanto periclitante. Segno di realismo e di buon senso, che sembra che il segretario del PCI non avesse nella analisi politica che traspare da questa intervista. Sul piano storico resta una domanda: il suo giudizio catastrofico e quello del PCI sul sistema Italia, e la palingenesi comunista, dipinta come panacea di tutti i mali, quanto hanno nuociuto all’immagine del nostro Paese e a indebolire il senso dello Stato e della comunità?

 

 

LE ANGUILLE E LA STORIA

LE ANGUILLE E LA STORIA

GeppettoCOSI’ LA PENSA GEPPETTO-QUESTIONE MORALE E ANTIPOLITICA-FRA STORIA E CRONACA RILEGGIAMO L’INTERVISTA DEL 1981 DI SCALFARI AL SEGRETARIO DEL PCI BERLINGUER- LA DIVERSITA’ MORALE COMUNISTA E I MITI DELLA TERZA VIA SMENTITI DAI FATTI-LA DENUNCIA DELLA CORRUZIONE DEI PARTITI E DELLO STATO RIMASTA LETTERA MORTA A CAUSA DELLA GUERRA FREDDA E DELLE AMBIGUITA’ DEI COMUNISTI ITALIANI-LA SECONDA REPUBBLICA SEPPELLISCE I PARTITI MA ALLARGA LA CORRUZIONE.  

*********************************************

 

Quando le vicende non sono più cronaca ma non sono ancora storia, parlarne è difficile perché sfuggono di mano come delle anguille. Eppure alle volte bisogna farlo, per evitare che ricostruzioni artefatte, ad usum serenissimi Delphini, finiscano per alterarle e deformarle.

Berlinguer

Il segretario del PCI Enrico Berlinguer

E’ di questi giorni l’inusuale uscita di Renzi circa una “questione morale” dei partiti, fugace parentesi rosa fra una promessa e l’altra. Qualcuno ricorda, invece, la “questione morale”, che fu cardine della politica berlingueriana fino al 1984, anno della morte del segretario del PCI? Successe che nel luglio del 1981, intervistato dal direttore di Repubblica Eu-genio Scalfari (allora egli si accontentava di parlare ai comuni politici e non ambiva ancora farlo col Papa o col suo Superiore), Berlinguer disse: ”I partiti sono soprattutto macchine di potere e di clientele: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi e vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune.” Sembra di sentire Beppe Grillo o qualche altro sbracciato fautore dell’antipolitica.

enrico berlinguer

forattini

Berlinguer in vestaglia mentre sorseggia, infastidito dagli operai in sciopero, secondo Forattini

Un quadro dettagliato e impietoso, quello descritto da Berlinguer, un protagonista che conosceva bene la politica, avendola sempre praticata. Analisi di una attualità sconcertante, a dispetto di coloro che, su quel periodo, hanno la memoria corta. Certamente, queste cose non le pensava o sapeva solo Berlinguer, e allora? … le reazioni? Zero! Siamo nell’84, Mani pulite esordisce solo nel ‘92.Perché ben otto anni dopo? Risposta: la “seconda repubblica” non poteva nascere se prima non cadeva il Muro di Berlino, finiva la guerra fredda e il PCI, cambiato repentinamente nome, marciava spedito verso il capitalismo. Gli effetti, sul quadro politico italiano, del congelamento della divisione in due blocchi del mondo, li abbiamo capiti dopo, ma le conseguenze della “diversità” comunista molto prima: lo Stato capitalista si combatte, evviva lo Stato capitalista! Può sembrare paradossale che toccasse a un disegnatore satirico, Forattini, sulla stessa Repubblica, in una vignetta rimasta epocale, a cogliere la doppiezza della politica berlingueriana, vera erede del togliattismo. Il fondatore, forse inconsapevole, dell’antipolitica è stato quindi Enrico Berlinguer, almeno a prenderlo in parola. Ne’ possiamo sorprenderci, oggi, circa lo scarso senso dello Stato degli italiani.

scalfari1

Eugenio Scalfari, fondatore de La Repubblica

L’intervista è uno scoperto giuoco delle parti: da una parte il direttore che finge di incalzare l’interlocutore; dall’altra il politico tutto di un pezzo, austero e sdegnato anche nello stile, un pessimista (chiosa sommessamente Scalfari da far “accapponare la pelle”). Eh, già, ma diversamente dagli altri (quelli cattivi dello sfascio) Berlinguer è riscaldato della fede comunista e dalla passione per il “riscatto delle masse”. Con la giusta veemenza afferma:  “Noi comunisti abbiamo settant’anni di storia alle spalle…. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sul monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi….” Ecco allora preparato lo scenario su cui tutto il ragionare berlingueriano ruota: l’asserita diversità comunista. A questo punto, Scalfari pare risvegliarsi, sfodera gli artigli e azzanna: “….questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d’infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in cosa consiste?” In sintesi, Berlinguer, premesso che al PCI la DC e gli altri partiti hanno “fatto ponti d’oro.. perché abbandonassimo questa posizione d’intransigenza e di coerenza morale e politica”, puntualizza: 1) noi siamo onesti e puliti non avendo mai partecipato, anche se invitati, al banchetto.2) Noi vogliamo veramente combattere privilegi, difendere i deboli, premiare il merito. 3)Noi crediamo che il capitalismo sia finito, perché ha causato “gravi distorsioni, disparità sociali e enormi sprechi di risorse”. Non bastano più il riformismo e l’assistenzialismo, la strategia giusta è la “terza via”, cioè l’eurocomunismo.

Nella stessa controversa intervista, disapprovata dall’ala migliorista del PCI, Napolitano in testa, il segretario del PCI è ancora più duro sul degrado sociale causato dai partiti: “ I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, la banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai, alcuni grandi giornali”. Vi ricorda qualcosa?

pannella scalfari

Pannella e Scalfari, anni ’70

Le cause di questo sfascio morale?- chiede Scalfari. Lapidario risponde Berlinguer: la discriminazione contro di noi. “Non le sembra eccessivo”, chiede Scalfari. Berlinguer è costretto a chiarire: non è che con noi al governo “si entrerebbe nell’età dell’oro”, ma cesserebbe una emarginazione che ha lasciato per trentacinque anni un terzo degli italiani alla finestra perché “discriminato per ragioni politiche”. Intanto non è vera l’affermazione poiché il PCI ha governato, fin dalla fondazione della Repubblica, città, provincie e regioni. Ma andiamo alle “ragioni politiche”. Dopo una competizione elettorale non governa chi vince? Esisterebbe in Italia un diritto, sconosciuto in altre democrazie, per cui un partito non possa rimanere all’opposizione, magari per sempre? Non votarlo è discriminare? Se la tua “diversità” non piace, la colpa è degli elettori o tua? No!, (questo il ragionamento di Berlinguer) gli altri vincono perché sono corrotti, non perché la nostra politica è sbagliata. E dagli! Prima ti definisci diverso, stai sull’Aventino e poi piangi la discriminazione mettendola all’origine di ogni corruzione!? 

togliatti

Palmiro Togliatti

Qui è il punto dove il pensiero del segretario del PCI vacilla, si fa contorto, procede fra omissioni, affermazioni dogmatiche, offrendo vere e proprie patacche storiche.  Come quando fa un parallelismo vertiginoso fra voto politico e referendum, assegnando al PCI il monopolio di tutto il mondo progressista e sottraendo a Pannella (onore al grande combattente!)  la primogenitura sulle battaglie per il divorzio e l’aborto. Secondo Berlinguer, quando si tratta di referendum gli italiani sono un popolo “liberissimo e moderno”; quando si tratta di votare scelgono inopinatamente i partiti dello sfascio conservatore.  “Dunque, gli italiani al voto soffrono di schizofrenia?” chiede un disorientato Scalfari: “Se vuole la chiami cosi” è la risposta.  Al segretario comunista rosica parecchio che il 60% e più degli italiani continui a votare democristiano e socialista, avendo lì bell’è pronto un partito nuovo e incontaminato. Pare quasi non volere accettare la volontà popolare, certo non mostra di capirla. Esprime verso i connazionali questo poco lusinghiero giudizio: “ La maggior parte di loro sono sotto ricatto”. Giudizio che è una pietra tombale, non tanto per gli italiani, ma per le ambizioni di governo del PCI. Ma più ancora spiace a Berlinguer (i pessimi rapporti con Craxi sono noti e documentati), che il PSI riformista goda di una rendita di posizione con conseguente “esclusione” del PCI dal governo del paese. Anzi, non esita a ripetere il vecchio e rassicurante schema degli “equilibri più avanzati” di De Martino, assegnando ai socialisti il solo compito di fare da apripista ai comunisti, in nome della unità delle forze socialiste. Berlinguer scambia causa con effetto: la “rendita” socialista è conseguente e non precede, né causa la “diversità” comunista; è questa che andrebbe rimossa per superare il “discrimine”, cosa che Berlinguer non può fare, per ragioni di equilibrio politico internazionale e, più prosaicamente, perché il PCI ha bisogno per campare dei rubli sovietici.

berlinguer craxi

Berlinguer e Craxi, inizi anni ’80

Per concludere, la storia non si fa con i se e con i ma, ma a rileggerla oggi questa intervista a Enrico Berlinguer spiega tante cose. Mi limito ad alcune.

Spiega che il PCI, figlio della lotta di classe, smarrita la spinta propulsiva e ideale, non riuscì ad interpretare le aspettative delle “masse popolari” ( termine equivoco da pensiero unico che rende tutto anonimo e suggerisce una sorta di apostolato educativo autoassegnatosi). L’eurocomunismo fu il canto del cigno, un ultimo strepito prima dell’exit inevitabile. La questione morale nulla di più di un afflato pre-politico, non perché non esistesse la corruzione, ma per l’uso che Berlinguer ne fece: imbastire una diversità virginale inesistente, in un gioco scoperto di sostituzione di classe di potere con un’altra, fermo il resto. Morto Berlinguer e crollato il Muro a Occhetto non rimase che uscire per ultimo e spegnere la luce.

Spiega perché socialisti e comunisti non potessero andare d’accordo. Craxi ebbe il coraggio di uscire dalle ipocrisie e mettersi in concorrenza esplicita col PCI.  Se unità doveva essere, non poteva che avvenire sotto l’insegna del garofano socialista. Anche per questo ha pagato. Oltre che per i suoi errori. In particolare, non avere capito per tempo che, con la caduta del Muro di Berlino, il sistema partitico sarebbe crollato a causa della sua corruzione, che era davvero tanta, come Berlinguer nell’81 già denunciava.

Infine una postilla. Mani pulite nata per combattere la corruzione, lungi da debellarla, ha avuto due effetti, probabilmente non desiderati, ma davanti ai nostri occhi. Tali effetti, certo peggiori del male, sono stati: disseminare la corruzione, cambiarne la natura.

La disseminazione è avvenuta con il collasso dei partiti storici. Con tutti i loro difetti essi erano pur sempre filtri per il reclutamento e la selezione della classe dirigente. Una parvenza di finalità pubbliche e di idealità sopravviveva nei partiti, nonostante la guerra intestina per bande. Il mutamento di natura è stato che la corruzione da mezzo si trasforma in fine. L’arricchimento individuale tramite la politica, prima mal visto, prevenuto e scoraggiato, ora dilaga, diventa sintomatico di “contare”, di avere peso politico. Si istituzionalizza, con forme surrettizie di finanziamento, mancanza di controlli, incestuosi conflitti di interessi.  Con la fine dei partiti la tangente e il malaffare fanno un “salto di qualità”: sono entrati nel dna del modo di fare e di concepire la politica. Gli onesti? Prima un’eccezione, ora anche pesci fuori dell’acqua.

 

Contact Us