CACANIA?

CACANIA?

Le discutibili tesi del matematico “impertinente e perfido”, come si definisce, Piergiorgio Odifreddi- Fra i tanti libri scritti, una critica matematica alla democrazia politica, in cui si afferma che la democrazia non esiste e non è mai esistita. Sul filo della ironia Odifreddi torna sulla uscita di Massimo Cacciari sul tema vaccini e ricorda la “insolita” editoria di Roberto Calasso, fondatore di Adelphi, deceduto in questi giorni. I due uniti, secondo Odifreddi, avrebbero reso traballanti le basi della scienza facendosi assertori di un “umanesimo nichilista”(?) derivato da Nietzsche.

Nei scorsi giorni la cronaca ha accomunato due intellettuali di rilievo del nostro Paese, il filosofo Massimo Cacciari e lo scrittore Roberto Calasso: il primo, per un suo improvvido intervento sul supposto totalitarismo delle misure anti-Covid, e il secondo, per la sua inaspettata morte, in coincidenza con la pubblicazione dei suoi due ultimi libri di memorie.

Piergiorgio Odifreddi

Benché casuale nei fatti, il collegamento tra Cacciari e Calasso è in realtà causale dal punto di vista culturale, e non solo perché il secondo è l’editore di una dozzina di libri del primo. Ad esempio, le vite di Cacciari e della casa editrice di Calasso affondano entrambe le loro origini nel pensiero di Nietzsche. Il primo ha dichiarato a un’intervistatrice del Corriere della Sera, che gli aveva domandato come mai non si fosse sposato e non avesse figli, che “bisogna aver letto Nietzsche per capire cosa significa dire di sì o essere padre” (whatever it means, commenterebbe il principe Carlo). Il secondo ha invece fondato, insieme a Bobi Bazlen, la casa editrice Adelphi proprio per pubblicare l’opera omnia di Nietzsche, rifiutata da Einaudi, e poi ha continuato a pubblicare “solo libri che ai due piacevano moltissimo”. Ora, non c’è bisogno di aver letto l’opera omnia di Nietzsche per sapere che uno dei suoi detti più memorabili e influenti per una certa cultura, che è appunto quella di Cacciari e Calasso, è: “Non ci sono fatti, solo interpretazioni”. Detto altrimenti, la scienza non conta nulla, perché si basa appunto su fatti che non ci sarebbero, e conta solo l’umanesimo, che fornisce le interpretazioni chiamate “valori”. In particolare, le opere che i due intellettuali hanno scritto individualmente, e quelle che il secondo ha pubblicato editorialmente, costituiscono le “icone della legge” della religione antiscientista “alta” che impregna il mondo culturale italiano, e poi percola fino all’antiscientismo becero della massa di coloro che di libri non ne leggono nessuno, meno che mai quelli dell’Adelphi, ma trovano in Cacciari e Calasso la copertura per le loro superstizioni. Vedere, a riprova, l’uso che delle recenti uscite di Cacciari che è stato fatto sui social negazionisti del virus. Sia chiaro che non è qui in gioco la levatura culturale di Cacciari e Calasso.

Roberto Calasso (Photo by Elisabetta Villa/Getty Images)

Personalmente, io rimango ammirato sia dalla biblioteca del primo, che lui stesso ha mostrato in un episodio del programma La banda del Book di Rai5, facilmente reperibile su YouTube, sia dal catalogo dell’Adelphi, al quale io stesso ho attinto a mani basse nel corso degli anni. Il problema, a mio parere, non sta nel leggere i libri che Cacciari e Calasso hanno scritto o pubblicato, ma nel leggere solo quelli di quel genere, come fa una buona parte degli umanisti: cioè, nel credere che oltre all’umanesimo non ci sia nient’altro, o al massimo ci sia soltanto quella caricatura della scienza che alimenta una buona parte del (peraltro ristrettissimo) catalogo scientifico dell’Adelphi. L’astuzia editoriale di Calasso, che “infiniti addusse danni” alla cultura italiana, è stata di andare a cercare con il lanternino opere scientifiche borderline, che ben si sposassero con quelle dei filosofi e dei pensatori esoterici o new age che invece costituiscono il nocciolo duro delle pubblicazioni adelphiane.

Massimo Cacciari (AP Photo/Alberto Pellaschiar)

E così, mettendo fianco a fianco di ciarlatani come René Guénon o Elémire Zolla degli scienziati in libera uscita come il Pauli di Psiche e natura, il Capra del Tao della fisica, i Barrow e Tipler del Principio antropico o lo Zellini di La matematica degli dèi, l’Adelphi è riuscita a far passare l’immagine di una scienza con fondamenti metafisici traballanti e orientaleggianti, in perfetta sintonia con il pensiero indiano frequentato e praticato da Calasso stesso. Nella citata intervista televisiva Cacciari diceva di aver letto cinquanta volte L’uomo senza qualità di Musil. Ecco, se per un ingegnere l’Austria di un secolo fa era una Cacania, per le iniziali di Kaiser e König di Francesco Giuseppe, per uno scienziato anche l’Italia di oggi è una Cacania, per le iniziali di Cacciari e Calasso. Quest’ultimo giocò lui stesso più volte sulla propria iniziale nei titoli dei suoi libri, a partire da Ka, ma l’Italia rimane seriamente una Cacania culturale. E gli effetti si vedono e si sentono, purtroppo.

Articolo di Piergiorgio Odifreddi per la Stampa

FRA APOCALITTICI E INTEGRATI

FRA APOCALITTICI E INTEGRATI

Saremo migliori? La clausura forzata nei mesi passati (altri se ne preannunciano?) ha indotto parecchi di noi all’introspezione, se non proprio all’esame di coscienza. Nessuno sarà come prima, si legge. Ma sarà poi così? E poi, migliori rispetto a cosa?

Migliorare ed essere diversi vuole dire cambiare, cioè inserirsi in un percorso di miglioramento che spesso richiede fatica. Basteranno i sacrifici di ieri e di oggi a innescare questo processo? Si sa che da una crisi si può uscire in due modi: in salita o in discesa, in quest’ultimo caso dritti verso la decadenza. Non ho la competenza per sofisticate analisi sociologiche o previsioni economiche di lungo periodo, ma l’esperienza degli anni e la professione mi hanno reso familiare il mondo interiore delle pulsioni.

Prima osservazione: è vero che il cambiamento può essere innescato da fattori esterni alla nostra psiche, ma come ogni processo estrinseco spesso esso è occasionale: finita l’emergenza tutto torna come prima. I cambiamenti consapevoli richiedono ben più di una quarantena.

Seconda osservazione: come consideriamo ciò che ci sta accadendo, singolarmente parlando e come collettività? Gli apocalittici (*)considerano il Covid-19 come il segno del castigo di Dio, trasformando la clausura in un percorso di espiazione. Gli integrati (*)vedono la pandemia come una dolorosa fase, sintomo di uno stile di vita che va posto sotto controllo, magari rivolgendo uno sguardo indulgente verso quei regimi che le pandemie le domano a colpi di editti e soldati sulle strade.

In mezzo stanno i politicamente corretti dall’animo ecologico, quelli che “l’avevano previsto”, più propensi a una lettura in chiave ecologica. Per costoro, ispirati dall’ecologismo integrale esposto nell’enciclica di papa Francesco Laudato si’, la Terra si sta ribellando, il Covid non è che la prima delle tante sciagure se non ci fermiamo e la finiamo una buona volta di sfruttare ed inquinare.

Ritardi, incomprensioni, contrordini, sono dovuti proprio a questi diversi modi di vedere la pandemia. Un capitolo a sé sono i battibecchi dei soliti mattatori politici, che, poveretti, alla clausura hanno dovuto aggiungere la crisi di astinenza derivata dalla declassata esposizione nell’infosfera dei social.

Per scendere nel profondo di ognuno di noi non è indifferente sapere dove ci collochiamo rispetto a questa tripartizione. Già sulla percezione del reale, sulla descrizione di ciò che è tangibile, non sempre si è d’accordo, figuriamoci se dobbiamo convergere sul giudizio da dare a un nemico invisibile e, peggio ancora, di cui abbiamo molta paura.

Per tornare al percorso di trasformazione, è pur vero che abbiamo esempi fulgidi di percorsi compiuti da persone che, scosse da una profonda crisi interiore, sono passate dalla malvagità, dall’egoismo e dalla sopraffazione sugli altri, a una vita dedicata al bene e alla compassione.

Ma, appunto, si è sempre trattato di una risposta interiore, maturata col tempo e nel profondo dell’animo e che, solo occasionalmente, è poi emersa in tutta la sua energia e alterità. Si parla di ispirazione (laica o religiosa non importa), una parola che usiamo per definire il punto di partenza di un percorso, destinato a testimoniare il vero obiettivo finale: la conoscenza di se stessi.

Certamente la prova che stiamo attraversando, con i suoi drammi, segnerà una discontinuità col passato, ma il cambiamento interiore è altra cosa, segue altre vie, altri tempi. Non si migliora solo perché si ha paura, si migliora perché lo si decide. Non si cambia perché costretti, ma perché ci si ribella alle angustie della vita che conduciamo e se ne progetta una nuova.

(*) I termini apocalittici e integrati sono  ripresi dal saggio (1964) dello scrittore, saggista, filosofo e linguista italiano Umberto Eco (1932-2016), dedicato alla comunicazione e alle teorie della cultura di massa.

In primo piano: Ambrogio Lorenzetti, affreschi per L’allegoria ed effetti del buon e del cattivo governo, Siena.

NE’ PER VIVERE, NE’ PER MORIRE

NE’ PER VIVERE, NE’ PER MORIRE

Aspirando alla transumanità, armeggiando con i dati bioantropologici della nascita e del sesso, avevamo felicemente dimenticato che la nostra vita poteva esistere solo sul terreno fertile della condizione umana di cui, come ha sottolineato Pascal, la malattia e la morte sono dati permanenti.

Nelle parole del filosofo Robert Redeker il cinismo della nostra epoca cede di fronte alla nostra incapacità di prepararci alla morte

La sofferenza e la morte diventate impensabili. Il cristianesimo che aveva dato loro un significato. La scristianizzazione che ci lascia sgomenti. La morte che viene esfiltrata dalla vita collettiva. L’“ascesa dell’insignificanza”, come Cornelius Castoriadis descrisse la nostra epoca, che comporta la cancellazione della fine. “E una crisi di morte che è sempre sintomo di una crisi di vita”.

Robert Redeker

Robert Redeker all’occultamento della morte in occidente ha dedicato un libro, dove denuncia lo scandalo di una civiltà ossessionata dal voler far “scomparire la morte”. “Volendo nascondere la morte – ma anche la tragedia, cioè la storia – abbiamo mutilato la vita”, dice al Foglio il saggista e filosofo francese, editorialista del Figaro, del Monde e di Marianne e nel comitato della rivista sartriana Les Temps modernes. “Da quando non abbiamo imparato a morire, non abbiamo imparato a vivere. In tempo di pace disperiamo, disumanizziamo, in tempo di guerra, di sventura o di afflizione, speriamo, umanizziamo”.

L’epidemia di Covid-19 distrugge le illusioni antropologiche, sociali e politiche su cui noi occidentali della tarda modernità viviamo da mezzo secolo. “In particolare, quelle uscite dal maggio del ’68, del consumismo edonistico, della fusione tra la cultura della protesta e il mercato. Armati della retorica libertaria, edonistica, o postmoderna, prodotta per legittimare il cinismo, pensavamo di essere al sicuro. Eravamo come ‘quelli che stanno dietro’ e che portano avanti in sicurezza i loro piccoli affari durante le guerre, lontani dal fuoco dove gli altri combattono e muoiono. Dietro la linea Maginot del consumismo e della ‘globalizzazione felice’, pensavamo di essere al sicuro. Al sicuro dalla morte. Al sicuro dalla vita, finalmente. Tanto che ci eravamo persino dimenticati che la morte e la tragedia esistevano al di fuori dei romanzi e dei film. Pensavamo fossero manufatti archeologici. La morte stessa era solo un residuo destinato a scomparire, come ci ha fatto credere l’aumento senza precedenti dell’aspettativa di vita”.

E questo ci ha spinto a manipolare l’inizio e la fine. “Aspirando alla transumanità, armeggiando con i dati bioantropologici della nascita e del sesso, avevamo felicemente dimenticato che la nostra vita poteva esistere solo sul terreno fertile della condizione umana di cui, come ha sottolineato Pascal, la malattia e la morte sono dati permanenti. Beh, avevamo dimenticato questi dati!”. E’ a questa condizione umana che questa epidemia ci riporta indietro. “In questo caso, questa malattia assomiglia all’effetto della filosofia: distruggere le illusioni, la falsa coscienza. Ci costringe a tornare alla verità della condizione umana. Rompendo con l’illusione che l’uomo possa staccarsi dal dolore e dalla morte, cioè dalla vita, questa pandemia restituisce alla vita la sua drammatica sostanza”.

I grandi momenti della storia ci trovano sempre impreparati, inutile polemizzare politicamente. “I momenti salienti della storia sono sempre inaspettati. La rivoluzione iraniana del 1979, il regime dei mullah, 1989-1991, la fine del comunismo, l’11 settembre, ne sono esempi. Questa pandemia è uno stravolgimento simile a questi eventi. Naturalmente, l’impreparazione amministrativa e politica, l’impreparazione dei sistemi sanitari pubblici, è ovvia. Ma questa impreparazione politica e amministrativa deriva da una situazione metafisica molto più ampia. L’eclissi della morte, la sua repressione, così caratteristica della postmodernità, deve essere intesa nella prospettiva della sparizione sociale, nelle famiglie, nelle istituzioni, nei singoli, della preparazione alla morte. Nessuno si prepara più alla morte, mentre nella mia infanzia, nella Francia cattolica, era ancora frequente. Prepararsi alla morte è un’attività che sembrerebbe assurda, se non una malattia mentale, alla stragrande maggioranza dei nostri contemporanei. In passato, tutti si preparavano alla morte, così come si preparavano al fidanzamento e al matrimonio”.

In questa pandemia abbiamo ammirato degli “eroi”, medici e sacerdoti che hanno perso la vita in gran numero. Redeker all’eroismo ha appena dedicato il libro

“I soldati, senza dubbio, sono, nel nostro mondo, gli ultimi uomini che si preparano ancora alla morte – al pari dei sacerdoti della Chiesa cattolica e dei monaci, gli ultimi veri uomini” ci dice Redeker. “Questi, soldati e sacerdoti, guerrieri e religiosi, sono più uomini di tutti gli altri. La morte di Socrate, descritta da Platone nel Phaedo, e raffigurata nell’eroica pittura di Davide, è un’accoglienza ben preparata. Alexander Solzhenitsyn ci ha avvertito: l’Occidente ha perso il coraggio. Questa crisi di coronavirus mostra qualcosa: il senso del coraggio esiste ancora nelle persone. L’eroismo del personale medico di fronte a questa epidemia di coronavirus trova, mutatis mutandis, un analogo nella storia: quello dei soldati francesi gettati nella fornace della Grande Guerra. In occasione di questa ‘guerra contro un nemico invisibile’, nelle parole di Emmanuel Macron, appare l’eroismo degli umili, che, abbandonati sulla linea della battaglia, corrono il rischio di lasciarci la pelle, senza guadagnare nulla, nemmeno la gloria. Questo abbandono li rende solo più ammirevoli”.

Come Arnaud Beltrame, l’ufficiale francese ucciso in un supermercato francese per sventare un attacco jihadista. “Non era un grande ufficiale dello stato maggiore! Era solo un sottufficiale in una piccola città di provincia chiamata Carcassonne! Le persone che si distinguono in questa epidemia sono quelle del piano di sotto. Tuttavia, le persone al piano di sotto sono ancora l’humus della civiltà. Le qualità sopravvivono nelle persone comuni che si elevano al di sopra dei loro cosiddetti leader. Lacordaire, in un famoso sermone pronunciato a Notre-Dame negli anni ‘30 del XIX secolo, indicava il mistero del sacrificio. Secondo lui, ‘il sacrificio non è né opera della ragione, né opera della follia, è un’opera che domina la storia e la vita del genere umano’”.

In pochi giorni siamo cambiati, frase di rito. “Il nostro sistema è imploso, come nel sistema sovietico tra il 1989 e il 1991, quando nessuno se lo aspettava.

Sognavamo il transumanesimo, la teoria del genere, l’abolizione dei confini, le delocalizzazioni, la digitalizzazione del mondo; le stesse parole confine, nazione, sovranità, popolo, identità, erano parole tabù, parolacce che non dovevano essere pronunciate. I disordini provocati da questa pandemia rendono di nuovo queste parole enunciabili. Ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi è simmetrico al crollo del sistema sovietico alla fine degli anni Ottanta. Non è un’esplosione del sistema, ma la sua implosione. Il mondo della ‘globalizzazione felice’ sta scomparendo sotto i nostri occhi, inghiottito da se stesso, crollando su se stesso. Tutti noi ritenevamo che l’Urss fosse eterna. Sistemi post-storici e, in ultima analisi, post-umani, ai quali non poteva accadere nulla di tragico. Sia il comunismo sia questa globalizzazione si basavano sull’imperativo dichiarato da Rousseau nel suo Contratto Sociale: ‘chi osa intraprendere il compito di istituire un popolo deve sentirsi in grado di cambiare, per così dire, la natura umana’. Questo imperativo roussoviano era l’anima di tutta la modernità politica. Sia il nuovo uomo comunista, sia il teorico del gender, ne sono una conseguenza”. Covid-19 è la sconfitta dell’antropologia politica di JeanJacques Rousseau. “La modernità è stata il tempo delle rivoluzioni. La postmodernità è diversa: nessun sistema ne sostituisce un altro. I cambiamenti non avvengono più attraverso le rivoluzioni, ma attraverso le implosioni”.

Si sacrifica l’economia per fermare la pandemia. “Interi settori dell’economia sono in pericolo a causa del contenimento. La recessione è il risultato di questo contenimento: fallimenti aziendali, disoccupazione di massa, impoverimento, senza che sia ancora possibile individuarne le conseguenze politiche. Non è impossibile che, in risposta a questa depressione economica, causata dal congelamento volontario delle attività economiche, dai disordini della disperazione, dalle repliche di quelle vissute in Francia con i gilet gialli, possa infiammare l’Europa il prossimo inverno.

Il confinamento sta mettendo in stand-by l’intera economia globale. Come risposta alla pandemia, questo contenimento è economicamente irrazionale. Segna il trionfo della follia economica. Questo può essere spiegato solo utilizzando la teoria del sacrificio. La prosperità economica viene sacrificata per scongiurare la morte. Il confinamento è quindi paragonabile a un altare offerto in sacrificio. La maggior parte delle società ha sacrificato animali, che spesso erano di grande valore per loro, la nostra sta sacrificando una parte importante della sua economia. Offriamo la nostra prosperità economica come sacrificio alle divinità che siedono nel nostro inconscio collettivo, affinché ci risparmino la morte. Temiamo la morte perché non sentiamo più l’angoscia della morte. A causa di questo deficit di ansia, la morte ci sembra qualcosa di assolutamente estraneo. L’angoscia della morte, di cui Heidegger ha fatto una struttura costitutiva, permette di addomesticarla, perché è un’angoscia che accompagna tutta l’esistenza. La paura della morte è barbarica, nichilistica, l’angoscia della morte è civile”. Ma non è naturale rifuggirla? “Negli ultimi vent’anni, la dottrina militare della ‘morte zero’ è diventata l’alfa e l’omega della vita sociale. È migrata dai campi di battaglia della guerra alla vita civile. Agli occhi dei nostri contemporanei, è visto come molto di più del senso della vita: è visto come il senso comune stesso. Fin dall’infanzia, l’educazione ci nasconde i cadaveri. Siamo cresciuti come se fossimo immortali, mantenendoci volontariamente nell’ignoranza della morte. In breve: nell’ignoranza della vita umana. Non mancano le persone che hanno cinquant’anni e non hanno mai visto un morto. La vista dei morti è riservata a determinate professioni, ben definite. Nonostante la nostra negazione, la morte è sempre lì, anche se abbiamo deciso di distogliere gli occhi e i pensieri da essa. ‘La morte’, ha detto Lacan più di sessant’anni fa, ‘è la Realtà’. Quando tutto è solo virtuale, solo una cosa non lo è, la morte. La morte è dunque il limite contro cui si scontra questa società liquida, il Reale che rivela la sua assurdità quanto l’impostura del suo discorso. Deve poi essere

“Dietro alla linea Maginot del consumismo pensavamo di essere al sicuro. Al sicuro dalla morte. Al sicuro dalla vita”

“L’eroismo del personale medico ricorda quello dei soldati francesi nella fornace della Grande guerra”

“La prosperità economica viene sacrificata per scongiurare la morte. In autunno la pagheremo molto cara”

“In Francia, l’odio anticattolico è la passione collettiva dominante. C’è un feticismo del bio, del naturale, un animismo panteistico”

espulso dalla mente. Nascondiamo la morte, perché non può essere virtualizzata. E perché rivela l’impostura. Lei è la Realtà, perché resiste a tutto. Nascondendo la morte, la società liquida induce un disarmo morale, non è adatta ad affrontare una tragedia”.

Redeker non vede alcun riavvicinamento al cristianesimo. “In Francia, l’odio anticattolico è la passione collettiva dominante. Questo episodio non cambierà molto. Si passa invece da un’idolatria – quella degli oggetti di consumo a una sorta di commistione tra paganesimo e animismo, una feticizzazione della natura, del naturale. E’ un irrazionalismo più o meno panteista, già fortemente impiantato nelle menti attraverso il feticismo del naturale, la moda virale del bio, che sta per prendere il sopravvento da tempo. Inoltre, rischiamo di passare da un’illusione all’altra: dai sogni di una globalizzazione felice passiamo a quelli, favoriti dalla nuova religiosità della natura e dal cieco fanatismo del bio, della felice vicinanza”.

Quando la tragedia ritorna, le più grandi qualità umane riaffiorano con essa. “Sono la devozione, il sacrificio, tutte virtù di cui il coraggio è la radice. La tragedia porta sempre a una riumanizzazione. Le società occidentali avevano finalmente accettato senza dirlo qualcosa di curioso: se non c’è morte, tutto è perduto. Questo può essere inteso in modo paradossale: se la morte non esiste, nessuna struttura antropologica è naturale o eterna. Possiamo quindi armeggiare con la vita a nostro piacimento. Infatti, per la nostra società, la morte non esisteva più.

È dalla riscoperta della morte, resa possibile da questa pandemia, che le grandi verità di cui parli diventeranno evidenti nella mente della gente. Che le grandi domande metafisiche faranno ritorno. Il gesto di Socrate di accettare la cicuta è una metafora di questa fecondità della morte.

Max Scheler ha scritto pagine molto forti su questo argomento. La consapevolezza della morte è la fonte dei valori, è anche la fonte della sopravvivenza della civiltà e della specie. Lo riscopriremo. Ci sarà una riumanizzazione della morte. Perché una società si perde quando la paura della morte è più forte dell’amore per la libertà”

Intervista di Giulio Meotti, Il Foglio Quotidiano 25 aprile 2020

Le opere che illustrano l’articolo sono di Jean Michel Basquiat

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