FICO FOOD

FICO FOOD

 

IN ANTEPRIMA PRESENTIAMO FICO, MEGAGALATTICO LUOGO IN CUI TUTTE LE MODE DEL BEN NUTRIRSI, FRUTTO DEL VISIONARIO CARLIN PETRINI E DELL’ABILITA’ MANAGERIALE DI OSCAR FARINETTI, SI OMOLOGANO IN UN NUOVO CREDO: SANTIFICHIAMO IL FOOD QUOTIDIANO, LASCIAMO ALL’AUTOGRILL I PECCATORI DI GOLA.

Oggi apre FICO Eataly Word, 10 ettari fra orti, allevamenti, laboratori di produzione, centri didattici, ristoranti e botteghe. Chi glielo dice a Carlin Petrini, profeta e ispiratore di Slow -food, assertore del “limite” come orizzonte filosofico e operativo, oltre il quale è tutto e solo business? (https://www.ninconanco.it/mangiare-primo-atto-politico/) Domani grande presenze politiche a Bologna e qualche assenza significativa, a cominciare da Renzi (bei tempi quelli della Leopolda!). Fico può significare per Eataly un nuovo avvio, oppure la definitiva omologazione, come Disneyland del cibo, in una catena alimentare come tante. Auguri!

 

Oscar Farinetti, patron di Eataly, piemontese delle Langhe, eclettico imprenditore dell’eccellenza a tavola

L’olandese Randstad è una delle principali agenzie al mondo di lavoro interinale. È finita nel mirino delle proteste studentesche del 13 ottobre 2017 per un progetto intitolato “Un giorno da Fico”. I ragazzi contestavano una delle novità più importanti della legge del governo Renzi sulla Buona scuola: il principio dell’alternanza scuola-lavoro, che prevede l’obbligo per gli studenti dell’ultimo triennio delle superiori di fare un’esperienza formativa – tra le 200 e le 400 ore a seconda che si tratti di un istituto tecnico o di un liceo – in un’azienda, un’istituzione, in un’associazione sportiva o di volontariato, perfino in un’ordine professionale.

Nell’elenco c’è pure Fico Eataly World, la Fabbrica italiana contadina di Oscar Farinetti – una società partecipata da Eataly World, Coop Alleanza 3.0 e Coop Reno – che aprirà il 15 novembre. La Randstad è finita sul banco degli imputati perché accusata di reclutarle manodopera gratuita.

Per capirne di più chiedo ai diretti interessati. Negli uffici dell’ex Mercato ortofrutticolo alla periferia di Bologna, negano accuse e sospetti. Spiegano che il progetto è della Randstad, si svolgerà nelle scuole e alla fine da loro arriverà solo un pugno di ragazzi, “non più di sette o otto”, e comunque “non verranno a fare i lavapiatti”.

A Bologna tutti i poteri cittadini, istituzionali e privati, sono in qualche misura coinvolti

L’amministratrice delegata Tiziana Primori dice che c’è un protocollo “sulla tutela dell’occupazione, la qualità del lavoro e la valorizzazione delle relazioni sindacali” firmato con i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil e il comune di Bologna, per “favorire la piena regolarità delle condizioni di lavoro, l’agibilità sindacale, il diritto d’assemblea e la trasparenza della filiera delle aziende presenti nel parco”. Fico, spiega, darà lavoro stabile a settecento persone, mentre altre tremila lavoreranno nell’indotto.

Ne parlo con Marta Fana, ricercatrice all’università Sciences Po di Parigi, autrice di Non è lavoro, è sfruttamento. “Bisognerà vedere quante saranno le assunzioni stabili e quanti i contratti di somministrazione, dunque precari”, dice. Fana contesta a Farinetti la “gestione politica” della nascita di Fico: “Perché la regione ha speso 400mila euro per la formazione di persone per le quali non c’è la certezza di assunzione?”. A suo parere, le istituzioni locali, guidate dal Partito democratico, non avrebbero dovuto mettersi al servizio di quello che definisce solo “l’ennesimo centro commerciale”.

Dalla Randstad rendono noti i contenuti dell’accordo con la nuova impresa di Farinetti: i dipendenti della multinazionale olandese gireranno le scuole di tutta Italia per “illustrare ai ragazzi i nuovi trend del mercato del lavoro, guidarli in un tour virtuale di Fico Eataly World e lanciare un project work” sul tema dell’innovazione nella filiera agroalimentare. Il progetto coinvolgerà 20mila studenti, appunto, e prevede 300mila ore di alternanza scuola-lavoro, ma a Fico i ragazzi ci passeranno appena una giornata, per assistere a un convegno sul tema della “Food innovation”, al termine del quale saranno premiate le scuole vincitrici.

Istituzioni, università, entusiasti
Gli studenti non sono andati molto per il sottile, accomunando Fico ad Autogrill e a McDonald’s. Ma alla Fabbrica contadina bolognese respingono anche questi paralleli. Nello staff di Fico molti hanno lavorato a Slow food o hanno studiato all’università di Scienze gastronomiche fondata da Carlo Petrini a Pollenzo, in Piemonte, molti hanno lavorato a Eataly.

L’amministratrice delegata Tiziana Primori arriva invece da Coop adriatica ed è l’anello di congiunzione tra Eataly e il mondo cooperativo. Mi riceve nel suo ufficio, dove campeggia una frase di Italo Calvino: “Se alzi un muro, pensa a cosa lasci fuori”. Su un grande tavolo di legno apre una mappa del progetto e spiega: “Questo non è un luogo dove si viene esclusivamente per comprare o per mangiare, ma per conoscere”.

Matteo Renzi e Oscar Farinetti durante una manifestazione politica alla Leopolda di Firenze

I visitatori, dice, potranno seguire l’intera filiera del prodotto. Prima di sedersi a tavola per mangiare un piatto di pasta, per esempio, saranno condotti da un “ambasciatore del gusto” a vedere un campo di grano, la macinazione in uno dei due mulini a pietra e la nascita di una tagliatella di Campofilone in uno dei tre pastifici. A supervisionare il tutto saranno le facoltà di veterinaria e agraria dell’università di Bologna.

Fico sarà un esempio dell’Italia che riparte? O è un modo furbo per capitalizzare la tendenza a mangiar bene, pulito e sano

A Bologna tutti i poteri cittadini, istituzionali e privati, sono in qualche misura coinvolti. Il comune ci ha messo la struttura, che varrebbe 55 milioni di euro. Per la ristrutturazione sono stati raccolti 75 milioni di euro di fondi privati: 15 milioni sono arrivati dal sistema cooperativo, dieci da imprenditori locali e altri 50 da casse previdenziali professionali.

Vittorio Sgarbi con Oscar Farinetti

Al progetto partecipano centocinquanta imprenditori grandi e piccoli (da piccoli artigiani a grandi consorzi come quello del Parmigiano reggiano), i ministeri dell’ambiente e dell’agricoltura, l’associazione dei borghi più belli d’Italia e l’Ente nazionale italiano per il turismo (Enit), Slow food, le università di Bologna e quella di Napoli, la Suor Orsola Benincasa .

Nelle ambizioni dei fondatori, la “Disneyland del cibo”, com’è stata soprannominata, dovrebbe attirare quattro milioni di visitatori il primo anno e arrivare a sei milioni nel giro di tre. Il sindaco Virginio Merola è così entusiasta che è andato a Manhattan per presentarla alla stampa americana sulla terrazza del Flatiron building, il grattacielo all’incrocio tra Broadway e la Fifth avenue che oggi ospita Eataly New York. Per portare i turisti che immagina diretti a frotte verso la periferia bolognese, ha annunciato un servizio di bus elettrici.

Dentro il parco
Mi portano a visitare la struttura: centomila metri quadrati, di cui 80mila coperti, percorribile a piedi o su piste ciclabili con l’immancabile carrello della spesa. Ci sono due ettari di campi e stalle con più di duecento animali, dal maiale calabrese alla pecora di Altamura, e duemila cultivar. Solo un piccolo agrumeto è coperto, per ragioni climatiche.

All’interno, 40 fabbriche contadine producono carni, pesce, pasta, formaggi e dolci. C’è anche una torrefazione del caffè. A ricordare che siamo a Bologna ci pensano una fabbrica di Grana Padano e un intero padiglione dedicato alla mortadella. Al centro ci sono un auditorium, un teatro e un cinema che sarà gestito dalla Cineteca di Bologna.

Tiziana Primori, amministratore delegato di FICO E.W.

Qui, fino all’altro ieri, sorgeva il Centro agroalimentare di Bologna (Caab), nato negli anni novanta ma progettato nei settanta. Il presidente era Andrea Segré, ex professore di politica agraria all’università di Bologna e ideatore del Last minute market, un mercato nato per recuperare e riciclare i prodotti invenduti. A quattro mesi dalla nomina, capito che il Caab languiva e non avrebbe avuto futuro, Segré aveva contattato Farinetti “per sviluppare l’idea del parco agroalimentare che da anni mi frullava nella testa”.

Fico, Bologna, 9 novembre 2017. - Michele Lapini

Fico, Bologna, 9 novembre 2017. (Michele Lapini)

Era il novembre del 2012 e, ora che tutto si è realizzato, sarà lui a presiedere la fondazione Fico, che dovrà promuovere programmi di “cultura della sostenibilità economica, sociale, ambientale ed alimentare”.

Il comitato scientifico, presieduto dall’europarlamentare Paolo De Castro, ex ministro delle politiche agricole nei governi D’Alema e Prodi, ha già messo in cantiere le prime iniziative: una giornata sulla dieta mediterranea e la creazione di un frutteto della biodiversità.

L’architetto ferrarese Thomas Bartoli ha rimesso a nuovo la struttura, salvando pure un pezzo del vecchio mercato, che non chiuderà del tutto. Bartoli è un fedelissimo del fondatore di Eataly. Mi spiega di aver mantenuto la vecchia architettura industriale ma con l’obiettivo di creare una “sensazione contadina”, creando un continuum tra l’interno e i campi, e che il suo progetto è a “cemento zero”, anzi ha recuperato due ettari “per aumentare la superficie verde”. Ma, si schernisce, “l’idea di Fico è talmente forte che la realizzazione architettonica è passata in secondo piano”.

Frantonio per olio

Una Disneyland del cibo
Tutto bene, dunque? Fico sarà un esempio dell’Italia che riparte da cibo e turismo, cioè due dei suoi punti di forza? O, come sostengono i critici, è solo un modo furbo per capitalizzare la tendenza a mangiar bene, pulito e sano, come sostiene un fortunato slogan coniato dal fondatore di Slow food, Carlo Petrini?

In un libro intitolato La danza delle mozzarelle, lo scrittore Wolf Bukowski prende di mira il modello di narrazione del cibo che parte da Slow food, e prima ancora dal Gambero rosso, per finire a Coop, a Eataly e alla sua ultima evoluzione: la Fabbrica contadina di Bologna, appunto. “Fico non è solo un parco giochi per rudi cooperatori e costruttori edili, ma è proprio una Disneyland, un mondo dove fantasia e realtà del capitale si rispecchiano reciprocamente”, scrive Bukowski, che attacca frontalmente l’ideologia di Renzi e Farinetti, improntata al marketing e all’ottimismo, in politica come al supermercato, in cui il conflitto è visto come qualcosa di anormale.

Bukowski vede in Fico la saldatura tra il pensiero di Farinetti e il capitalismo emiliano di derivazione postcomunista: una sorta di socialdemocrazia economica in una regione dove il pubblico governa e le cooperative rosse prosperano. Definisce Bologna “la città coop”, portando come esempio il fatto che nel giro di poche centinaia di metri, in pieno centro cittadino, sono nati negli ultimi anni il Mercato di mezzo, che è stato voluto dall’amministratrice delegata di Fico, Primori, e può essere considerato un prototipo del Parco, e una libreria Coop con annesso punto vendita Eataly. Tutto attorno, una teoria di super e ipermercati Coop.

I due alleati
Oscar Farinetti ci scherza, ma si intuisce che non gli va di essere contestato sia da destra sia da sinistra, di essere dipinto come un compagno e allo stesso tempo come una specie di Berlusconi nei cui negozi il quarto stato marcia con i sacchetti della spesa, come mostrava qualche tempo fa una parodia del celebre dipinto di Pellizza da Volpedo esposta all’interno di Eataly Roma. Al contrario, ci tiene a mostrare di conoscere i suoi dipendenti uno per uno. All’ingresso dell’ex Air terminal vicino alla stazione Ostiense, a Roma, si compiace dei clienti che lo avvicinano e della sua popolarità. Stringe mani e parla della qualità dei prodotti e di come diffonderli ancora di più.

Da quando quelli con il marchio Slow food sono finiti sugli scaffali di Eataly, la loro diffusione è decuplicata. La richiesta di collaborazione è arrivata pure per Fico, e dall’associazione di Petrini hanno risposto sì, pur mantenendo uno sguardo critico.

Ne parlo con Carlo Petrini, l’uomo incoronato da Time tra gli “eroi del nostro tempo”, in quanto guru di una filosofia e di un movimento nel frattempo divenuti globali. A suo avviso il problema, a questo punto, è di “governare il limite”. Spiega che qualsiasi produzione, se supera una certa soglia, diventa “invasiva”, pur se buona, pulita e giusta. Il fondatore di Slow food ritiene invece che si debba evitare il “rivendicazionismo sui prezzi”, altra critica frequente. A suo parere va bene che un alimento di qualità costi di più se tutti sono pagati meglio, dal contadino al trasportatore.

Oscar Farinetti nella versione di Benny by Libero

Sulla questione della produzione ritiene Farinetti che ci siano margini ulteriori di crescita. “In Italia ci sono 14 milioni di ettari di terreni coltivati, negli anni ottanta erano 19, anche se oggi si produce di più”, dice. Vuol dire che l’agricoltura di qualità (convenzionale a residuo zero, biologica, biodinamica, simbiotica) può svilupparsi ancora molto e puntare al mercato italiano (tuttora gastronomicamente poco educato a dispetto delle apparenze) e soprattutto a quello estero.

È su quest’ultimo punto che il patròn di Eataly ha trovato l’intesa con Coop Alleanza 3.0. Sebastiano Sardo, che ha selezionato i produttori del neonato Parco agroalimentare, dice che l’obiettivo è “creare una piattaforma dei prodotti italiani da esportare” per contrastare i cosiddetti italian sounding, il mercato dei prodotti venduti come italiani ma che non lo sono. Secondo i dati dell’Assocamerestero, l’associazione che raggruppa le 78 camere di commercio italiane all’estero, l’italian sounding ha un giro d’affari di 54 miliardi di euro, mentre l’ industria alimentare italiana si aggira sui 132.

L’accusa di monopolio
A opporsi a questo clima di consenso generale ed entusiasmo diffuso sono stati gli anarchici e gli antagonisti che il 12 dicembre 2016, mentre nell’aula magna dell’università di Bologna si presentava il progetto, hanno lanciato letame e caramelle a forma di vermi contro una coop e una pizzeria biologica di Alce Nero. Quel che contestavano era la grande illusione denunciata da Wolf Bukowski: pensare che si possa trasformare la società educandola a fare la spesa e a cucinare in maniera corretta.

I contestatori ritengono che nei padiglioni dell’ex mercato ortofrutticolo il renzismo di Farinetti si saldi con gli affari delle coop, creando un monopolio di fatto nella distribuzione e nel consumo di cibo.

Gli anelli istituzionali di congiunzione sarebbero il sindaco di Bologna Virginio Merola, già nel mirino per gli sgomberi di spazi occupati e centri sociali, e il ministro del lavoro Giuliano Poletti, ex presidente di Legacoop e ideatore insieme al governo di Matteo Renzi del Jobs act. Questo contribuisce a spiegare le proteste studentesche e lo scetticismo di un pezzo di sinistra radicale.

Al fondatore di Eataly si imputa di essere diventato il “braccio imprenditoriale di Slow food” e non gli si perdona l’infatuazione per Matteo Renzi, culminata nella partecipazione alle manifestazioni organizzate dal segretario del Pd all’ex stazione ferroviaria fiorentina della Leopolda.

Carlin Petrini

La prima volta è stata nel 2012, quando ha detto che “la politica è come la maionese impazzita e Renzi vuole rifarla da zero”. Nel 2013 l’allora sindaco di Firenze ha tagliato il nastro di Eataly Firenze e nel 2014 l’ha accolto come “l’amico Oscar”. Lui ha ricambiato dimostrando sintonia con lo spirito della Leopolda. “Questo è un posto dove ci si lamenta poco, mentre ciascuno esprime con sintesi le proprie idee di soluzione”, ha dichiarato a La Stampa.

Un anno fa, alla vigilia del referendum costituzionale del 4 dicembre che è costato le dimissioni a Renzi, fiutando il clima sfavorevole ha affermato: “Dobbiamo tornare a essere simpatici”. Un anno dopo, appare più disincantato ma non ha cambiato opinione. “Renzi è stato tradito dal suo carattere, però è onesto”, dice. Nel frattempo, a inaugurare Fico è stato invitato il più mite Paolo Gentiloni.

Articolo di Angelo Mastrandrea per Internazionale

 

EXPO 2015: AgnolettoVSFarinetti

EXPO 2015: AgnolettoVSFarinetti

Expo opinioni a confronto

Expo opinioni a confronto

Oscar Farinetti

Oscar Farinetti

Interessante il dialogo  AgnolettoVSFarinetti organizzato dal Fatto Quotidiano. Due filosofie, due culture a confronto, con accenti sinceri e parole esplicite, comunque si voglia giudicare le posizioni dei due.

Visione ottimistica quella dell’imprenditore, ma non poteva essere diversamente. Agnoletto, efficace a mettere a nudo le contraddizioni e a denunciare le distorsioni di un modello di sviluppo, non riesce ad allontanarsi da uno schema dicotomico (i ricchi contro i poveri) che non sembra più corrispondere alla dialettica reale, ma che, soprattutto, non ha dimostrato di sapere dare ricette credibili per risolvere i problemi, almeno al di fuori di una anacronistica palingenesi “rivoluzionaria”. Questo, almeno, il mio pensiero.

 

Vittorio Agnoletto

Vittorio Agnoletto

Expo 2015, il “più grande evento mondiale sull’alimentazione” come lo definiscono gli organizzatori, apre venerdì i battenti a Milano: riuscirà a coniugare la filosofia – “creare le linee guida per avere nel futuro cibo sano, sicuro, sostenibile e sufficiente per tutti” – con la pratica? Sarà una bolla mediatica o un evento in grado di indicare un nuovo modo di intendere il rapporto tra alimentazione e ambiente? Si rivelerà una vetrina per multinazionali o un laboratorio di idee per un futuro sostenibile? Abbiamo messo a confronto i pareri di Oscar Farinetti, imprenditore, fondatore di Eataly, ex proprietario di Unieuro, e Vittorio Agnoletto, medico, docente di “Globalizzazione e politiche della salute” all’Università degli Studi di Milano.

Come si coniuga la filosofia alla base di Expo (“Nutrire il pianeta”) con le metodologie scelte: ha suscitato grande clamore mediatico la presenza di sponsor come McDonald’s e Coca Cola.

Farinetti: “Le rispondo così. A Eataly facciamo un hamburger con le carni della Granda, presidio Slow Food. 80 piccoli allevatori straordinari che non usano vitamine, integratori e neppure insilati. Solo foraggi della propria azienda agricola. Questi hamburger si chiamano “Giotto”. Ne vendiamo tantissimi. In questo modo cerchiamo di portar via clienti a McDonald’s, che comunque rispettiamo. Con Lurisia abbiamo realizzato una bibita che si chiama “Chinotto” colorata, naturalmente, con zucchero caramellato, fatta con i chinotti della Liguria, presidio Slow Food, coltivati da piccoli agricoltori. In questo modo cerchiamo di portar via clienti alla Coca Cola (che non trattiamo) pur rispettandola. Preferiamo agire piuttosto che imprecare. A Expo McDonald’s e Coca Cola hanno spazi e visibilità nettamente inferiori a Eataly con le 100 osterie di territorio, a Slow Food con le sue comunità di Terra Madre, a Identità Golose con i grandi cuochi italiani, a Palazzo Zero con la straordinaria storia del cibo di Rampello e sopratutto ai numerosi padiglioni Cluster dedicati ai meravigliosi prodotti dei Paesi poveri del mondo che non potevano permettersi di realizzare un padiglione proprio. La sponsorizzazione di alcune grandi multinazionali, con una visibilità non così eclatante come è stata descritta dai media, è servita anche a questo. A chi protesta dico venite prima a vedere. Non giudicate prima di aver visto”.

Agnoletto: “Secondo l’Onu, il pianeta oggi è in grado di produrre a sufficienza per sfamare 12 miliardi di persone ma attualmente circa 800 milioni di individui soffrono la fame e altrettanti sono obesi e l’obesità non è sinonimo di prosperità, ma è l’altra faccia della povertà. La causa di tale situazione sono le politiche delle multinazionali e le scelte dei principali governi: accaparramento di terra, privatizzazione delle fonti d’acqua, monopolio nel controllo dei semi geneticamente modificati, distruzione delle eccedenze di cibo per far crescere i prezzi… Ed incredibilmente proprio queste multinazionali e questi governi sono tra gli sponsor e tra i principali espositori di Expo. Se l’obiettivo fosse stato veramente quello di “nutrire il pianeta” la regia dell’evento avrebbe dovuto essere affidata ad associazioni di piccoli agricoltori, ai Sem Terra, a Via Campesina e alle organizzazioni contadine che da anni si battono affinché siano riconosciuti i diritti alla terra, al cibo e all’acqua”.

Quali sono i rischi insiti nel mettere l’alimentazione mondiale nelle mani di un numero ristretto di multinazionali?

Farinetti: “I rischi sono enormi. Per questo noi combattiamo con determinazione. Dalle coltivazioni Ogm che concentrano il potere del seme in poche mani, alle multinazionali dei semilavorati e dei prodotti finiti che incrementano il loro potere e i fatturati. Noi lavoriamo perché ogni singolo Paese investa sulla propria biodiversità, seminandola nella terra con cultivar autoctone e trasformandola con piccole e medie aziende locali che fanno cibo di qualità. L’Italia in questo senso può essere di esempio al mondo. In Italia convivono sana agricoltura, piccole e medie aziende di altissima qualità e grandi fabbriche di ottima qualità con sani principi come Ferrero e Barilla (per citarne solo due, ma ce ne sono altre). Nel padiglione di Eataly in Expo celebreremo proprio questa meraviglia del nostro Paese: piccole osterie, piccolissimi produttori, affinatori, allevatori, agricoltori, pescatori insieme a piccoli, medi e grandi produttori, insieme ai consorzi: tutti rivolti alla qualità e al rispetto. Eataly finanzierà 1.000 orti in Africa, una grande idea di Slow Food per affrontare il problema ancora immenso della fame. L’obiettivo è creare leadership indigene concentrate sull’agricoltura rivolta alla biodiversità del proprio territorio. Meno polemiche, più azioni. Di questo in Expo si parlerà, eccome”.

Agnoletto: “Vi è il rischio di avvallare pratiche spesso inaccettabili come ricorda Francesco Gesualdi del centro Nuovo Modello di Sviluppo: “La Coca-Cola da anni è contestata per la politica antisindacale da parte dei suoi imbottigliatori che in Colombia comprende perfino l’assassinio dei delegati sindacali, Unilever è additata perché ottiene il tè da Kenya e India dove la legge consente di utilizzare lavoratori precari per salari indegni senza nessuna garanzia sociale. Tutte pratiche che contribuiscono a creare la fame, non a eliminarla”. Vengono legittimati gli OGM che sono il perno di un modello globalizzato di agricoltura e di produzione di cibo che inquina con i diserbanti, consuma energia da petrolio, è idrovoro e contribuisce a gran parte del riscaldamento climatico; viene accreditata una realtà fondata su una distribuzione inaccettabile del cibo: quello d’élite per i ricchi, quello spazzatura per le grandi masse e, se va bene, le eccedenze e gli scarti per i poveri che costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione mondiale”.

Expo Milano 2015 Padiglione Italia

Expo Milano 2015 Padiglione Italia

Manifestazioni come l’Expo sono chiamate a lasciare ai posteri idee e innovazioni per migliorare la vita delle persone: quale idea lascerà l’Expo per “nutrire il pianeta” e combattere la fame in un mondo in cui la popolazione cresce in maniera vertiginosa?

Farinetti: “In un mondo abitato da 7,3 miliardi di persone, che produce cibo per 12 miliardi di individui, dove 820 milioni di persone non hanno cibo a sufficienza, 1,5 miliardi sono obesi e soffrono di cattiva nutrizione, più di 2 miliardi di persone sprecano e mandano nei rifiuti il 40% di ciò che acquistano, in un mondo, dunque, molto squilibrato nella distribuzione e nel consumo del bene primario dell’umanità, occorre cambiare rotta. La via maestra è aiutare i Paesi in difficoltà a seminare la propria biodiversità, insomma a costruirsi da soli il cibo. Mentre occorre educare i Paesi spreconi ad avere maggiore rispetto e a nutrirsi in modo più sano. Expo ha presentato la “Carta di Milano” che credo e spero vada in questo senso. Noi di Eataly, in ogni caso, non ci stancheremo mai di lavorare in questa direzione. Daremo il nostro contributo nei 6 mesi di Expo con proposte e soluzioni”.

Agnoletto: “Temo proprio che non lascerà molto; al massimo un aumento dei profitti per le aziende che avranno usufruito maggiormente della vetrina di Expo, ad esempio la S.Pellegrino, azienda controllata da Nestlè, che sta distribuendo in tutto il mondo 150 milioni di bottigliette con il logo Expo. Ma Nestlé, già sotto accusa dall’OMS per la distribuzione di latte in polvere in Africa, oggi è criticata perché acquista cacao da zone dell’Africa dove nelle piantagioni si giunge ad utilizzare anche lavoro minorile in schiavitù. La “Carta di Milano”, presentata come l’eredità di Expo, è una grande operazione mediatica, un documento che furbescamente utilizza il linguaggio dei movimenti ma che si limita a dichiarazioni generiche senza indicare le cause e senza chiamare per nome i responsabili della situazione attuale: non una parola sui sussidi che la Commissione Europea regala alle multinazionali europee agroalimentari, permettendo loro una concorrenza sleale verso i produttori locali, né sugli accordi EPA voluti dal WTO e dalla UE che distruggono l’agricoltura africana, né si cita, per fare un esempio, la Cina come uno dei principali responsabili del land grabbing, né si parla dell’espropriazione del controllo sui semi che i contadini subiscono ad opera delle grandi aziende OGM, né si fanno i nomi di chi privatizza l’acqua: dalla Coca Cola all’Enel che controlla le risorse idriche dalla Patagonia cilena”.

Quali saranno le ricadute per l’Italia? Eventuali ricadute positive arriveranno solo dal numero delle presenze, cospicuo secondo le attese?

Farinetti: “Non mi aspetto solo i ricavi del turismo di questi 6 mesi. Mi aspetto un nuovo atteggiamento del popolo di questo Paese sul fronte dell’accoglienza. Mi aspetto una presa di coscienza delle enormi potenzialità che possediamo. Mi aspetto un gesto di orgoglio che ci faccia tornare a sperare. Mi aspetto, dopo le polemiche e i disordini inevitabili che si torni all’armonia, alla comprensione che siamo tutti in difficoltà e dobbiamo aiutarci a vicenda per risollevarci. Mi aspetto di fare bella figura con il resto del mondo, che è il 99,17% del pianeta, ma che guarda a questa piccola Italia con simpatia. Mi aspetto che i rancorosi atavici e i gufi inguaribili vengano definitivamente smentiti. Mi aspetto, in soldoni, il raddoppio delle esportazioni e del numero di turisti stranieri nei prossimi 5 anni. Unica via di uscita del nostro Paese sul fronte della disoccupazione. Uno strepitoso Expo potrebbe essere la scintilla che avvia questo nuovo motore: smetterla di lamentarci e, pur consapevoli delle cose che non vanno, tornare a lavorare”.

Agnoletto: “Innanzitutto non sono così certo che il numero dei visitatori raggiungerà le decine di milioni decantate dagli organizzatori; mi auguro che sia così e che non sia un flop, altrimenti finiremo nella stessa situazione in cui si è trovata Torino dopo le olimpiadi invernali, Atene dopo le olimpiadi del 2004, o la Spagna dopo aver ospitato l’Expo: città e regioni sommerse dai debiti, strutture abbandonate a se stesse, prive di qualunque progetto di usufruibilità futura e con costi di manutenzione proibitivi. Certamente alcune fasce di cittadini avranno potuto trarne vantaggio, quelli con attività collegate al turismo, alla ristorazione, ai trasporti, alla moda per citarne alcuni. Non i giovani che avranno lavorato gratis o i tanti lavoratori che avranno prestato la loro opera in nero, o sottopagati e fuori dai contratti collettivi. Certamente avranno tratto profitto la ‘ndrangheta, le mafie di ogni tipo, ed il solito mondo affaristico collegato ai centri di potere della politica”.

Qual sarà nell’immediato l’utilità di Expo?

Farinetti: “Decine di migliaia di persone che ci hanno lavorato per costruirla, in migliaia di aziende. 140 nazioni che vengono in Italia a rappresentarsi con delegazioni composte da migliaia di persone. Un indotto di centinaia di migliaia di Italiani che ci camperà per 6 mesi. Un incontro tra popoli. Decine di milioni di turisti che si muoveranno. Un tema fondamentale da discutere, soluzioni immani da trovare lavorando insieme. L’Italia per 6 mesi al centro del mondo dove si affronta il problema dei problemi. Un’occasione straordinaria per rilanciare la nostra penisola. Dobbiamo assolutamente convincere chi è scettico a sentirsi anche lui possibile protagonista di una grande occasione, mettendosi in gioco. La risposta non è soltanto che L’Expo sia utile, noi possiamo e dobbiamo diventare utili”.

Agnoletto: “L’unica utilità che colgo è che il tema individuato, nonostante sia quotidianamente smentito dalle scelte praticate da chi gestisce l’Expo, ha stimolato nella società civile, nelle scuole, nelle università, nel mondo associativo e in ambienti (ristretti) intellettuali un’ampia discussione sui temi del cibo e dell’acqua aprendo spazi attorno a riflessioni sulla finitezza delle risorse, sulla qualità del cibo, sul diritto per tutti all’acqua e ad un’alimentazione corretta. Forse oggi è un po’ meno difficile spiegare perché “… ogni bambino che muore per denutrizione oggi è di fatto ucciso”, come scrive Jean Ziegler, già Relatore Speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo.

Quattro padiglioni da visitare assolutamente e perché.

Farinetti: “Il Nepal, bellissimo e parzialmente incompiuto, per evidenti ragioni. I Cluster dei Paesi meno ricchi, che narrano i loro straordinari prodotti con orgoglio e tenerezza. Il padiglione di Slow Food che celebra la biodiversità del mondo. Il padiglione Zero, resterete rapiti dalla meraviglia della memoria del cibo. Ma non dimenticherei il tema del mercato del futuro sviluppato da Coop. Infine, se volete farvi un giro da Eataly, spero che non resterete delusi”.

Agnoletto: “Quello italiano: mentre orgogliosi ammirerete i risultati esibiti dal nostro Paese chiedetevi come avrebbero potuto essere utilizzati, tutti o gran parte dei soldi lì impiegati,: pensate ai servizi sociali, ai trasporti pubblici delle vostre città. Quello d’Israele: quando vi verrà spiegato come si può avere buona agricoltura anche in mezzo al deserto, ricordatevi che in Cisgiordania, i coloni usano una quantità di acqua pro capite quasi nove volte superiore a quella che usano i palestinesi e che la popolazione di Israele non è neppure il doppio di quella palestinese, ma il suo consumo idrico totale è sette volte e mezza. Ed infine godetevi un paio di spettacoli senza sensi di colpa, anche se siete critici verso l’Expo, in fondo “Panem et Circenses” (pane e giochi) è una ricetta inventata dai romani e che funziona sempre per tenere buoni i sudditi.

Dal Fatto Quotidiano del 30 aprile 2015 

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