Lucianina Cacasènno

Lucianina Cacasènno

Fabio Fazio e Luciana Littizzetto in Che tempo che fa

Fabio Fazio e Luciana Littizzetto in Che tempo che fa

Prima o poi succede, quando ti muovi in bilico fra cattivo gusto e loffiaggine. Chiamarla attrice mi è sempre apparso improprio, va be’ ha fatto dei films, ma si fa per dire. Due soli titoli bastano a dare l’idea: E allora mambo e Tutti gli uomini del deficiente. Soubrette? L’avete mai vista cantare o ballare, o muoversi sulle tavole di un palcoscenico? Comica? Sì, è stata a Zelig, ma pensate sia comico un Luttazzi? Lei ne è una versione al femminile: acida, urticante se è in vena, ma sempre troppo greve, scosciata, in transito fra cacca e merda, che insieme a piscio sono i vocaboli più ricorrenti nella sua prosa. La ricordate al suo esordio? Era quella di “Minchia, Sabbry”, non proprio una delicatezza. Lasciata negli anni che furono la latteria dei genitori ora fa la borghese con casa nella collina torinese, ma è rimasta quella di sempre, perché lei non se la tira. Indecisa se fare la monella un poco scostumata o la massaia alle prese con pannolini sporchi e borsa della spesa. Una o l’altra cosa le riescono bene perché la donna è eclettica e intraprendente. Ha alle spalle una lunga gavetta, un diploma di pianoforte e una romantica tesi di laurea sulla luna. Spero che da lì non abbia tratto questo suo aforisma: “ Bisogna vivere come i gigli dei campi. E così voglio fare, baciata dal sole, lambita dal vento e pisciata dai dobermann”.

Luciana Littizzetto

Luciana Littizzetto

Una carriera la sua costruita caparbiamente, supplendo col lavoro duro là dove non arrivava il talento, vincendo le ritrosie provinciali con la sfrontatezza lubrica delle sue performance. Fino a un certo giorno, perché poi….. No, non penso alla sua carriera di scrittrice, fra gambi di sedano, cavoli e piselli. Ha venduto, certo, e avrà pure fatto i soldi, ma non entrerà nella storia della letteratura italiana al pari di Alex del Piero, la Parodi o Saviano. Littizzetto 3Peccato veniale. Il peccato mortale, la svolta fatidica, sono stati l’incontro e poi il lungo sodalizio col melenso Fabiofazio, conduttore de Il tempo che fa, la leccata più lunga e costosa di Rai 3. Il siparietto finale con lei, arrampicata o sdraiata sulla scrivania come una gatta in calore, a spargere intorno metafore  coprofiliache, è una delle pagine più emblematiche di cosa significhi oggi in Italia “servizio pubblico radiotelevisivo”.  Non capisco perciò perché il M5S se la prenda tanto per le sue dichiarazioni di questi giorni.

La copertina di Time dedicata al M5S

La copertina di Time dedicata al M5S

Per quanto maleodorante (il Movimento è stato definito dalla nostra attrice, cabarettista, conduttrice, ecc. una merda, n.d.r.) è sempre pubblicità. Ne’ possono pretendere i Pentastellati che parallelismi e apparentamenti siano paradisiaci, visto che il “catalogo è questo”, canterebbe Don Giovanni. Attenzione, perché già i soloni della libertà di pensiero (magari debole, giusto il titolo di una rubrica che la Nostra tiene sulla Stampa di Torino), si sono levati in volo a difesa della Nostra e delle sacre virtù costituzionali. Tutto fa pensare, inoltre, che nel clima di pax renziana che rende torpidi gli italiani, la nostra Cacasènno continuerà a sentenziare e motteggiare, leggera come un peto. Di chi parlo? Ma di Lucianina Littizzetto, di chi se no?

 

 

 

 

 

ASSEMBLARE PAROLE

ASSEMBLARE PAROLE

Lo scrittore Alessandro Baricco

Lo scrittore Alessandro Baricco

I veri scrittori sanno riconsegnarci le parole non come “riconoscimento”, ma come “visione”.

Questa frase è stata scritta da Aldo Grasso, giornalista e critico televisivo,  in un articolo di feroce commento dell‘ultima performance televisiva di Roberto Saviano. Commento che condivido, ma non voglio qui parlare di eloqui o sproloqui, ma del mestiere di scrivere e di che cosa fa uno scrittore vero da un assemblatore di parole.

Prescindo dal fatto che uno “abbia qualcosa da dire”, perché lo do come il naturale presupposto del “ben detto”, anche se esempi contrari sono ormai una folla, davanti ai quali rimango incredulo e mi domando: ma cosa mai può spingere uno a scrivere (che costa fatica!) se non ha nulla da dire? Risposta impossibile che si inabissa nei meandri della psiche, a meno che non ti chiami Luciana Littizzetto, Alex Del Piero,  o come altra scosciata  velina o sportivo di turno, perché in questo caso il gretto movente venale è addirittura sfacciato.

Il tragitto dai campi sportivi, dai  talk show televisivi, dagli scranni del Parlamento, dalle scene del delitto, dalle ruberie e dagli scandali sessuali al libro, è oramai una linea retta e una predestinazione editoriale.

Non è un caso, ma la tristissima realtà, che il libro più venduto nel caravanserraglio del Salone del Libro di Torino, venghino signori, venghino, è stato di Del Piero, centravanti della Juve; ciò ha suscitato le ire del togato figlio del giovane Holden,  Alessandro, che ha borbottato: è come se io mi mettessi la maglia del numero 10 e fossi osannato calciatore. Bravo, bene, bis! Caro Baricco, chi di spada ferisce di spada perisce!

Ma si diceva riconsegnare le parole, che non possono che essere quelle inevitabilmente consunte dall’uso, secondo un lessico corrente, ne bastano un migliaio per scrivere un romanzo, un po’ come le 7 note per scrivere una sinfonia.

Certo, posso essere come Gadda o Manganelli e resuscitare dalle catacombe le parole più desuete, ma non per questo meno polverose, anzi.

Allora la funzione di “riconsegnare”  un grumo di parole ben disposte sulla pagina, parole familiari, e perciò stesso riconoscibili, ma che nello steso tempo siano come trasfigurate, non è facile.

A da dove passa questa trasfigurazione vista come anticamera della “visione”? Il parallelo con la musica mi aiuta. Come nella tonalità armonica e nel succedersi melodico, ciò che conta è la sequenza di apparizione, il reciproco legame e la piena rispondenza fra significante e significato; più semplicemente fra parola e insieme deve formarsi una eco espressiva in grado di illuminare le parole sottraendole alla genericità e all’oblio. Quando questa riesce allora le parole mutano di senso, hanno una loro vita autonoma e il racconto si allontana dall’atto dello scrivere per diventare atto creativo e fondativo, pronto a ricevere la “visione” vivificante di chi legge, che lo fa con la trepidazione della scoperta, come se fosse per la prima volta.

In una parola è l’ispirazione e un poco di mestiere che fanno la differenza e poi la fortuna di non essere troppo in anticipo sui tempi.

 

 

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