L’EUROPA SENZA ANGELA MERKEL

L’EUROPA SENZA ANGELA MERKEL

Sabato il CDU sceglie il successore della cancelliera tedesca. Perché è importante per l’Unione Europea scegliere la persona giusta- I profili dei candidati, le preferenze del Ppe e quello a cui deve badare l’Europa per non perdersi.

Sabato sapremo il nome del successore di Angela Merkel alla guida del partito cristianodemocratico tedesco, la Cdu: sarà un uomo di mezza età (abbondante), proveniente dal Nord-Reno Westfalia, cattolico. Sarà anche il probabile candidato cancelliere dell’Unione (la Cdu lavora assieme alla “sorella” bavarese, la Csu), alle elezioni del 26 settembre, a meno che non prevalga il cosiddetto diritto all’alternanza che rivendicano proprio i bavaresi e che è stato esercitato una sola volta, nel 2002, quando fu candidato Edmund Stoiber, poi battuto dall’allora cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder. Se rule bavarese dev’essere, sarebbe la grande occasione di Markus Söder, governatore della ricchissima regione del sud, famoso per la sua ambizione mista a un’enorme pazienza, protestante e grande amante dei travestimenti di Carnevale. Quattro uomini per sostituire lei, Angela Merkel, sedici anni di potere, simbolo di una forza tranquilla che è entrata a far parte della grammatica di base della leadership, o almeno delle attese di leadership.

La scelta del cancelliere della Germania è sempre una faccenda che non riguarda soltanto i tedeschi per evidenti motivi, ma questa volta molto di più, perché c’è da sostituire la Merkel, che è stata l’àncora dell’Europa, “un’isola di stabilità in acque spesso in tempesta”, come scrive il Financial Times.

Amata e odiata dagli europei (una volta avremmo scritto “in egual misura”, ma non è più vero: è difficile non riconoscere alla Merkel il merito di aver tenuto insieme e di aver reso più forte l’Europa), la cancelliera ha mostrato, nel 2020 del dramma del coronavirus, di voler lavorare per il bene collettivo europeo più che di quello tedesco: si è visto quando ha violato il proprio tabù sul debito comune e ha permesso così che l’Ue si dotasse dei fondi antipandemia, Recovery fund e tutto il resto. Si è visto anche su quell’altro dramma, la Brexit: la Merkel ha insistito nel negoziato con Londra anche quando pochi lo volevano ancora, stremati e mortificati dagli inglesi come ci sentivamo tutti, e alla fine è riuscita a ottenere un accordo che protegge l’interesse europeo e pure quello inglese, rarissimo caso riuscito di “lo faccio per il tuo bene”. Per questo, perché questa transizione tedesca ci riguarda tutti e perché l’isola di stabilità sta entrando in acque molto mosse, ci siamo poste la domanda più dolorosa di tutte: che ne è dell’Unione europea senza Merkel? O per farci ancora più male: c’è un’Unione europea senza Merkel? Ecco le riposte che abbiamo trovato.

Angela Merkel, giovane ministro dell’ambiente (1991-1994).

La competizione.

Friedrich Merz, ricco imprenditore molto ostile alla Merkel per ragioni più personali che politiche, dice di essere l’unico in grado di poter dare alla Germania e all’Europa “una ripartenza” decisa ed energica. Armin Laschet, governatore del Nord-Reno Westfalia e molto merkeliano, punta sulla modernizzazione e sul termine “aggiustare”, che gli dà un senso di praticità che in realtà nella sua storia un po’ sfugge. Norbert Röttgen, parlamentare grande esperto di politica estera, gioca e bene come l’outsider della competizione e dice di volersi accomodare dove c’è un centro moderato, e poi tutti con lui. Nei sondaggi, Merz è avanti di poco, al 29 per cento, gli altri due sono attorno al 25 per cento. I commentatori giocano a “trova la differenza”, e in effetti i confronti tra i tre candidati sono stati molto noiosi perché sembrano d’accordo quasi su tutto.

Ma dietro la facciata, rivalità e ambizioni sono grandi perché in palio c’è non solo il posto della Merkel ma anche la possibilità di reindirizzare il conservatorismo tedesco plasmato dalla Merkel a immagine e somiglianza del suo moderatismo liberale. In più, oltre all’incognita bavarese, c’è quella del ministro della Salute Jens Spahn, che si presenta come vice di Laschet ma gode di una popolarità ben superiore alla sua e fa parte di quelli che scherzosamente in Germania chiamano i “domati” dalla Merkel: quelli che hanno tentato di emanciparsi o addirittura di disallinearsi rispetto alla cancelliera e lei li ha, appunto, domati (tra questi c’è anche la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen). Ma l’ipotesi Spahn non soltanto mette in dubbio questo processo avviato di selezione ma pone anche un’altra domanda: un “domato” lo è per sempre?

Per chi fa il tifo il Ppe.

La corsa per la leadership della Cdu e poi quella per la cancelleria a Berlino avrà un impatto anche sul futuro del Partito popolare europeo. L’europeismo non è messo in discussione da nessuno dei tre candidati. “La linea europeista del nostro partito si è consolidata sotto la leadership di Angela Merkel”, spiega al Foglio un eurodeputato della Cdu, che chiede di rimanere anonimo: “Le decisioni più importanti più recenti, compresa la svolta sul Recovery fund e la solidarietà nei confronti dei paesi più deboli, non sono contestate da nessuno”. Tuttavia continuano a esistere “sensibilità diverse” su temi specifici che presto o tardi torneranno in cima all’agenda dell’Ue come il Patto di stabilità e crescita o la gestione dei migranti, spiega l’eurodeputato. Armin Laschet, Friedrich Merz e Norbert Röttgen poi sono tre personalità molto diverse. E “la personalità conta molto nella relazione più importante per l’Ue che è quella con l’inquilino dell’Eliseo”. Sul piano interno europeo l’incognita riguarda l’atteggiamento che il prossimo leader dei cristianodemocratici – e ancor di più il prossimo cancelliere – avrà sul rispetto dello stato di diritto e più in particolare sull’Ungheria di Viktor Orbán. “Merkel ha tollerato il Fidesz ungherese (partito di maggioranza in Ungheria n.d.r.) dentro il Ppe perché ha sempre ritenuto di poterlo controllare meglio”, spiega un’altra fonte del Ppe. Ma “la dottrina Merkel su Orbán in questi anni ha mostrato tutti i suoi limiti”.

La deriva del primo ministro ungherese è stata costante. Questa settimana il gruppo parlamentare del Ppe ha deciso di costituire un gruppo di lavoro per modificare il suo statuto interno e darsi la possibilità di espellere il Fidesz. Tuttavia il principale ostacolo all’espulsione del Ppe è la Csu. Il presidente della Baviera Söder potrebbe diventare il candidato cancelliere dell’Unione per le elezioni di settembre. “Una componente della Csu ha affinità ideologiche forti con il Fidesz e altri movimenti ultraconservatori nell’Ue”, spiega la fonte del Ppe. Anche per questo, aldilà della corsa per la leadership della Cdu, nei palazzi dell’Ue c’è chi spera in una configurazione totalmente nuova per la prossima maggioranza di governo a Berlino. “Una coalizione tra la Cdu-Csu e i Verdi potrebbe rafforzare la linea europeista, essere al passo con i tempi sul Green deal e la lotta al cambiamento climatico e adottare una linea più netta su valori e stato di diritto”, spiega l’eurodeputato.

Un consenso che durerà.

Di questa successione ci siamo ritrovate a parlare anche con Ivan Krastev, presidente del Centro di strategie liberali di Sofia e opinionista del New York Times, e gli abbiamo chiesto come faranno la Germania e l’Europa senza Angela Merkel.

“Credo che anche i tedeschi facciano fatica a immaginarsi senza di lei, è stata una figura così importante. C’è una cosa che la rende diversa da quasi tutti gli altri leader: lascia il potere, ma lascia anche un certo tipo di consenso politico”.

Angela Merkel ha unificato, è stata in grado di cambiare le sue idee e le sue posizioni quando è stato necessario e questo “ha creato un consenso politico che va ben oltre la sfera cristianodemocratica. Le sue decisioni sono condivise da socialdemocratici e Verdi. E’ stato Olaf Scholz a parlare di momento hamiltoniano dopo la scelta della Merkel di mutualizzare il debito. Un nuovo leader, e questo discorso vale in modo particolare se vince Merz che non ha avuto un buon rapporto con la cancelliera, può cambiare qualcosa, ma non potrà farlo in modo radicale”. Questa ricerca del consenso politico prima di fare cambiamenti è molto apprezzata in Europa, “la Germania è un paese che muta molto lentamente, e quando cambia cerca di farlo con tutti a bordo. Quindi quando arriverà il momento per Merkel di andare via, il nuovo leader entrerà in quest’atmosfera di consenso che durerà almeno per i prossimi due o tre anni”.

Angela Merkel nel 2005 eletta Cancelliera

Chi verrà dopo di lei non potrà rivoluzionare o disfare, non potrà decidere di tornare indietro, perché quello che ha creato Merkel è un fortino in cui la maggioranza della politica tedesca si trova bene. “E’ una leader molto fortunata, perché le sue politiche le sopravviveranno”. Ma non si sa se il suo elettorato rimarrà fedele alla Cdu. Angela Merkel, ci dice Krastev, è stata un elemento unificatore per la società, la politica e anche per il suo partito. “Dopo di lei, la battaglia politica cambierà, gli elettori della Cdu sono soprattutto tra le fasce più anziane della popolazione, probabilmente le elezioni a venire saranno più una lotta generazionale, che una sfida tra destra e sinistra”.

Lo status quo.

A proposito del ruolo di unificatrice, è uscito uno studio del Center for european reform dal titolo: “Choosing Merkel’s successor: None of the above?”. La domanda è semplice e se la sono posta in tanti. Il fatto, spiegano i due ricercatori Sophia Besch e Christian Odendhal, è che se la cancelliera è riuscita a mantenere un consenso così alto è proprio perché ha unito il voto centrista, ha incrementato il voto delle donne che la Cdu aveva perso a partire dagli anni Sessanta, e ha raggiunto il voto dei cittadini tedeschi con origini straniere. E’ difficile credere che uno degli uomini che potrebbe succederle riuscirà a tenere insieme tante categorie. “Merkel è stata una cancelliera dello status quo di un popolo dello status quo” e chi verrà dopo dovrà innanzitutto capire come partire proprio dallo status quo. Le opzioni sono tre, scrivono i ricercatori. La strategia proposta da Röttgen è di spingere un po’ questo status quo verso la modernizzazione, ma le sue opinioni progressiste mancano di sostegno nel partito e rischierebbe di creare fughe di voti verso i liberali dell’Fdp e l’estrema destra dell’AfD. La linea di Merz è quella di riportare la Cdu più a destra, ma questo rischia di regalare voti centristi ai Verdi. Rimane il ticket Laschet-Spahn, il più naturale, il più merkeliano, ma Laschet in questi mesi ha fatto disamorare tutti. Se dovessero vincere, è possibile che alla fine sarà Spahn, nonostante le polemiche sui vaccini, a essere candidato come cancelliere. E se alla fine arrivasse Söder? Se il bavarese vuole avere qualche speranza di diventare cancelliere gli converrebbe che sabato vincesse Röttgen, l’unico disposto a consultarsi con lui e lasciare che si candidi alla cancelleria quello con più chance. Spiegano i ricercatori che le prossime elezioni si terranno in un clima di rinascita, di eccitazione post pandemia, e un partito in carica da sedici anni dovrà quindi farsi vedere in grado di competere contro il volto rassicurante del ministro delle Finanze Olaf Scholz e contro Annalena Baerbock – i Verdi sembrano inclini a preferire lei rispetto alla star Robert Habeck – leader di un partito proiettato nel futuro e pieno di idee. Per la Germania ricostruire la sua leadership dopo la Merkel sarà dura, ma dalla loro analisi Besch e Odendhal non escludono l’aspetto europeo. L’Ue, tanto quanto la Germania, “perderà una statista esperta e dotata”, ma da chiunque venga dopo di lei nella Cdu, non ci sarà di certo da aspettarsi una ventata di proposte macroniane, nonostante la tentazione di Röttgen; neppure un ritorno all’austerità, come potrebbe volere Merz; e neppure il tentativo di stringere strane amicizie geopolitiche, Laschet ha mostrato simpatia per Putin, Erdogan e anche per Assad. Angela Merkel era molto brava a capire fin dove si spingesse la voglia di riforme e di cambiamento dei tedeschi, è difficile capire chi dei tre o quattro pretendenti alla successione sia il più adatto finché ci sarà lei a esercitare la sua leadership, chiunque arriverà dopo non avrà la sua esperienza, la sua statura, ma anche se non in modo dirompente, significherà cambiamento e anche nuove idee tedesche per il dibattito europeo.

L’Unione europea dovrà quindi sforzarsi per restare quello che è dopo che non ci sarà la Merkel. Per ora intanto cerca di fare i conti con la Brexit. E tra tutte le tragicommedie cui abbiamo assistito in questi anni, l’ultima è balzata in cima alla nostra classifica. Una televisione olandese ha filmato delle guardie di frontiera che sequestravano il cibo ai viaggiatori che arrivavano nel paese dal Regno Unito dicendo: lo vuole la Brexit. A un trasportatore dicono: “Da quando c’è la Brexit, non hai più il permesso di portare cibo come carne, frutta e verdura, pesce in Europa”. Queste sono le regole, è la Brexit, sorry. Ma lo strazio deve ancora venire. Il conducente aveva dei panini nella carta stagnola e ha chiesto: “Posso almeno tenere il pane e darvi il prosciutto?”. No.

Articolo di Paola Peduzzi e Micol Flammini (ha collaborato David Carretta) apparso sul Foglio Quotidiano, rubrica EuPorn, il lato sexy dell’Europa.

Su questo sito: https://www.ninconanco.it/evviva-la-signora-merkel/ il primo fra gli articoli pubblicati da Ninconanco nel lontano febbraio 2015.

IL PREMIER SPELACCHIO E L’EUROPA

IL PREMIER SPELACCHIO E L’EUROPA

COSI’ LA PENSA GEPPETTO- LA MERKEL E MACRON VOGLIONO UNA NUOVA EUROPA, A DUE VELOCITA’- SPELACCHIO RIUSCIRA’ A FAR SENTIRE IL SUO PESO, OPPURE FINIRA’ NEL GIRONE DEI RIPETENTI?

 

L’Europa è la grande assente nel dibattito elettorale italiano. Lo rimarrà fino al 4 marzo, data delle elezioni politiche? E’ probabile, ed è un peccato, perché è proprio lì che ci giochiamo parte importante del nostro futuro. Ma sembriamo ignorarlo. Una volta esclusa la delirante idea di tornare alla nostra liretta, alzando la frontiera sul Brennero e, perché no, interrando il tunnel del Monte Bianco, la domanda vera rimane: quale Europa? I radicali della Bonino hanno già risposto: + Europa. Già, ma non è che aggiungendo zucchero dopo avervi versato sale rendi migliore il caffè. Dal canto suo Matteo Renzi continua ad avere verso l’Europa l’atteggiamento dell’innamorato respinto, dispettoso e capriccioso, ma sempre disposto a qualche sveltina, se conviene per portare a casa qualcosa. Insomma: ci sto, ma le carte le do io. Peccato che più che carte sono cambiali scadute, quelle che Renzi ha in mano.

Uscita l’Inghilterra, i due paesi più forti rimasti, cioè Germania e Francia, hanno un loro disegno per i prossimi passi? Sembra di sì e ha un nome: Europa a due velocità. Lo vedremo il 22 gennaio prossimo, in occasione delle celebrazioni in pompa magna a Parigi del 50° anniversario del Trattato dell’Eliseo, firmato nel 1963 fra De Gaulle e Adenauer. Celebrazione ignorata quasi del tutto sui giornali italiani. L’occasione servirà a Angela Merkel e a Emanuelle Macron per accelerare la reciproca integrazione dei loro paesi su argomenti cruciali, quali il mercato unico e lo stato sociale, come premessa per un assetto a due velocità della U.E., più consono al ruolo egemone che i due paesi intendono svolgere e politicamente realistico. Basti pensare che i paesi dell’Est sono dominati da partiti di destra e nazionalisti, stanno in Europa per convenienza e sono poco disposti, come nel caso degli emigrati, a farsi carico delle rogne degli altri paesi; mentre perdura lo stato di crisi nei bilanci pubblici e il ritardo nelle riforme di Italia e Spagna, nonostante che l’ombrello della BCE e il costo del denaro irrisorio o nullo, avessero posto le condizioni più ottimali per una svolta radicale e risolutiva.

La riforma dell’eurozona con lo sdoppiamento dell’Europa e il rinnovato asse fra Parigi e Berlino rientra tra gli obiettivi strategici di Macron, epigono di un gollismo aggiornato e corretto e esponente degli interessi delle classi dominanti, allevate in questi decenni dall’EDA.(https://www.ena.fr)

Quanto alla Merkel sa che il suo quarto mandato di Cancelliera avrà un senso solo se riuscirà a liberare l’Europa dalla paralisi democratica e decisionale in cui versa. Proprio ciò sta rendendo complicata la formazione del suo nuovo governo. Né è possibile, in questo frangente, mettere su un governo abborracciato alla meglio. I sondaggi di opinione sono chiari: il 52% degli intervistati giudica “pessima” l’idea di CDU/CSU-SPD insieme. Anche per questo dalle elezioni di settembre scorso nessun passo in avanti sostanziale è stato fatto verso la Große Koalition. Pesano le pretese dei malconci socialdemocratici di Schulz, per non dire dei liberal-democratici del Freie Demokratische Partei, decisamente euroscettici.

Il 22 gennaio i due parlamenti di Francia e Germania dovrebbero approvare un documento che segnerà l’avvio di questa nuova fase per l’Europa. Solo allora, forse, il governo tedesco potrà vedere la luce.

E l’Italia?  La visita dell’altro ieri a Palazzo Chigi di Macron è solo un giro di valzer oppure per il capo del Stato francese c’è l’intenzione di aprire una triangolazione con Roma? I complimenti fatti a Gentiloni sono solo melina, oppure il preannunciato Patto del Quirinale sarà una cosa seria? Certo, Macron segue i fatti italiani e sa che il premier Spelacchio, partito dimesso e insediato da vicino, meglio assediato, da Renzi, ha ben operato in questi mesi e rappresenta il volto dialogante e popolare della politica italiana.

Peccato che Gentiloni sia isolato. La politica italiana è distratta a combinare liste e seggi elettorali. Continua a trattare il tema come fosse politica estera, confida nell’ombrello di Draghi per rinviare le riforme, non riesce a fermare il debito pubblico, anzi ne programma di nuovo, e riesce a litigare anche sulle sportine biodegradabili per frutta e verdura.

Chissà se Spelacchio alla fine non rimanga l’unica carta spendibile nel mazzo post-elezioni del Quirinale. Renzi ragioni: ambisce per sè insieme segreteria e guida del prossimo governo? Non ce la può fare, i miracoli non si ripetono. Piuttosto che uscire di scena, e di brutto, non gli conviene dire urbi et orbi che Spelacchio va bene dove sta e ricandidarlo a nome del PD?  Un giovane banchiere italiano oggi ai vertici della Goldman Sachs ha detto: “davvero non capisco come sia possibile che il nostro Paese perseveri nella sua stasi apparente, nella sua attitudine autodenigratoria e nella sua scarsa capacità di costruirsi una reputazione internazionale all’altezza del suo peso specifico” (Sole 24 Ore  del 7 gennaio u.s.). Si chiama Massimo Della Ragione, nome e cognome che possono diventare, senza nemmeno anagramma, un richiamo ai nostri politici e alla classe dirigente: sperare nel massimo del culo è tenerario, lavoriamo piuttosto col massimo della ragione. 

 

ISTANTANEE DELL’ESTATE

ISTANTANEE DELL’ESTATE

LA GRANDE SCOMMESSA E UNA SCENA D’ALTRI TEMPI. SI CHIUDE AGOSTO DOPO L’ABBUFFATA OLIMPICA, IL BRUTTO RISVEGLIO DEL TERREMOTO, L’ AMATRICIANE DI SOLIDARIETA’, I SOLITI SBARCHI, IL PIL INCHIODATO, LA RAGGI BAMBOLINA CHE BAMBOLEGGIA.  

COSI PARLA GEPPETTOGeppetto

 

 

Una notizia e una scena per chiudere un agosto noioso e piovoso (almeno dalle mie parti). A parte il terremoto in Centro Italia, di cui avremmo preferito non sentire mai niente e non piangere i tanti morti fra le macerie. Ai colpiti solidarietà e auguri di speranza per una rapida ripresa.

 

Marchionne luiss

 

Una notizia e una scena, diccvo. Per l’una e per l’altra dobbiamo parlarvi di lui: Sergio Marchionne, presidente e amministratore di non so quante società. Uomo rappresentativo, dunque, non uno che passa per la strada.

Il 27 agosto è alla LUISS di Roma, deve premiare i vincitori del Rotman European Trading Competition.

Dopo i convenevoli su FCA e Ferrari, dice ai giovani: “Fate i conti con la vostra coscienza”. Ohibò! Non è più il pescecane senza scrupoli che ama descrivere la Camusso?

Invece Marchionne fa sul serio, e questa volta si fa capire fino in fondo (non è un affabulatore nato, più che parlare si sente a suo agio a comandare, a fare). Sentite:” Non possiamo demandare al mercato la creazione di una società equa”. Fin qui, liberisti di Wall-Street e pianificatori statalisti di qualche ex repubblica russofona, possono trovarsi. Ma Marchionne si spinge più avanti, passa al giudizio: “i mercati non hanno morale, non hanno coscienza, non sanno distinguere fra cosa è giusto e cosa non lo è”.  Attribuire morale e coscienza a soggetti impersonali, per quanto reali, anzi realissimi, è rischioso. Ma se non si parla ai giovani col cuore in mano, con chi?

 

marchionne matteo

 

Morale e coscienza sono argomenti scivolosi da trattare, specie per un imprenditore globale. Ci vuole del coraggio, o rocciosa determinazione, quella che non manca a Marchionne, anche per il dna delle origini: l’ironia presa dal padre e la determinazione della madre Maria, profuga istriana. Probabilmente gli tornano alla mente, come ricordo adolescenziale, le parole del padre Concenzio, un abruzzese di Cugoli, maresciallo dei carabinieri (Sergio per i Caramba o la Pula ha una venerazione).

“La vita umana non è una merce, il profitto oltre un certo limite diventa avidità….” Chi si sente di dargli torto? Ma quante volte le abbiamo sentite dire? Anche il regista Oliver Stone è riuscito ad infilare un severo sguardo sull’avidità degli affaristi nel suo film Wall-Street.

 

matteo ferrari

 

Ma Marchionne completa il suo pensiero, evitando sofismi filosofici, da manager e imprenditore qual’ è. Di fronte ai giovani premiati non si traveste da filosofo esistenzialista, ma terra terra dice che, ferma restando la libertà di mercato (che poi vuole dire di chi vi opera), bisogna comportarsi non da persone avide perché alla lunga un siffatto mercato “mette a repentaglio la prosperità”. Per la smodata voglia di pochi ad arricchirsi si diventa poveri tutti. Il suo ragionamento non sconfina di campo, rimane sul suo terreno Marchionne, né si atteggia da moralista. Dice ai giovani: fare giochi sporchi e perseguire il vostro solo profitto speculativo non vi conviene. Unire libertà individuale (di fare) a responsabilità sociale (impegno etico collettivo) pare di capire sia l’equilibrio suggerito da Marchionne. Bisognerebbe spiegarlo al Mercato Globale, e qui la vedo difficile. Chissà se, in questi anni di impegno in FIAT ora FCA, Marchionne ha trovato il tempo, davanti ad un aperitivo, di impartire al giovane Elkann la lezione. Come erede degli Agnelli, che certo non brillavano per filantropia e impegno sociale, forse ne avrebbe bisogno.

 

marchionne merkel

 

Per quanto riguarda la scena, è quella in pompa magna fra le mura della Ferrari in Maranello. Bandiere che garriscono al vento, picchetto d’onore fra gli inni italo-germanici. Dall’ingresso non spuntano Hitler con a fianco Mussolini in orbace, ma la Merkel, che avanza impettita, chiusa nel suo abbigliamento giacca/pantalone d’ordinanza (rinnovarsi il guardaroba e, magari le idee, no?).

 

maranello cerimonia

 

Anche Marchionne veste d’ordinanza: il solito maglioncino blu, con quel caldo! In fila come scolaretti per la consegna del diploma. Stretta di mano, un breve scambio di benvenuto, con lui un indugio un po’ più lungo degli altri, mentre con Elkan per vedere il saluto bisogna usare la moviola. L’amico Renzi ha preparato tutto con attenzione, tutto calibrato. Se la cancelliera annuncia che darà i soldi per ricostruire una scuola, Sergio non è da meno: in palio una Ferrari, base d’asta un milione di euro. Gli sceicchi arabi e i magnati russi già in linea.

 

m e m

 

Peccato, proprio un peccato, quel saluto affettuosissimo di Anghela a Leo. Quella stretta, quel vezzeggiarsi, quasi a scodinzolare come fra vecchi amici. Leo ha tolta un po’ la scena a Sergio e Matteo, diciamocelo. Ma d’altra parte, poteva mancare il cane che è diventato un eroe, frugando fra le macerie del terremoto di Amatrice?

 

https://www.youtube.com/results?search_query=cane+leo+amatrice

 

 

 

 

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