MALEDETTI TOSCANI

MALEDETTI TOSCANI

GUARDARE LA TOSCANA PER SAPERE COSA SUCCEDERA’ AL PD E QUALE SARA’ IL FUTURO DI RENZI- COSI’ LA PENSA GEPPETTO.

 

I partiti italiani si stanno posizionando in vista delle elezioni politiche previste per la primavera del 2018.

Tutti guardano alla Sicilia, dove il 5 di novembre si terranno le elezioni regionali. Con le sue “anomalie” si tratta di un test viziato, se il suo significato venisse allargato a livello nazionale, e in ogni caso non è alla Trinacria che bisogna guardare, se vogliamo capire cosa succederà nel partito di Renzi.

Maria Teresa Boschi al Festival del cinema di Venezia, insieme al fratello

Bisogna guardare alla Toscana, perché la perdita in casa affonderebbe ogni volontà di rivincita del segretario fiorentino. Il quale, di suo ci mette i capricci di chi rifugge la realtà, volendola piegare a ipotesi perdenti in partenza. Da settimane circola sempre più insistentemente la voce della candidatura a governatrice di Maria Elena Boschi. Dopo i fatti dell’Etruria e il disastro referendario, la ragazza è uscita malconcia, non è più lei, sicché pare che insieme allo smalto abbia perso anche la bussola. Il governatore uscente Rossi durante i due mandati ha amministrato con basso profilo, scansando decisioni impopolari, evitando di toccare i nervi coperti di una nomenklatura che costituisce per lunga tradizione l’asse portante della sinistra, ben collocata nei posti di comando in ospedali, università, aziende pubbliche, banche.

Enrico Rossi, governatore della Toscana

Il peso specifico di Rossi in Toscana è tutt’altro che relativo. Essendosi egli schierato con Bersani e D’Alema, salvo poi ripensarci e non uscire dal partito, la sua sostituzione dà un’opportunità agli antirenziani, che se imbroccano la candidatura alternativa, nel segno rassicurante della continuità, potrebbero dare filo da torcere al PD. Non dimentichiamo che la fila dei comuni persi dal PD si allunga ad ogni elezione: Livorno, Arezzo, Grosseto, e da ultimo Carrara e Pistoia. Se capitola Firenze il PD toscano salta. Il congresso regionale previsto per fine ottobre sarà un passaggio difficile e cruciale per il futuro assetto della regione e per il destino di Renzi.  La sedia di Dario Parrini, il segretario uscente, è pericolante. Metaforicamente, viene alla mente la voragine che si inghiottì duecento metri di strada del Lungarno Torrigiani nel 2016.

Ma c’è un motivo fondamentale per considerare inopportuna e perdente l’idea di candidare la bella di Laterina: al di là dei pochi meriti e dei troppi demeriti quella della Boschi sarebbe una candidatura divisiva, in un partito già lacerato. Laddove invece ci vorrebbe un candidato in grado di mantenere il gruzzolo, tagliare le ali al MDP e allargare verso l’elettorato di centro, anche in funzione anti 5 Stelle.

Dario Nardella

Ebbene, questo candidato c’è: è Dario Nardella, attuale sindaco di Firenze. Renziano ortodosso, ma non fanatico, è uomo dal profilo politico rassicurante, ha il merito di appartenere all’avanguardia della rottamazione e come sindaco si è mosso con avvedutezza, anche perché, al contrario di Renzi, ascolta i consigli. Ancora alle prime armi sullo scenario nazionale (pochi mesi come deputato poi rientro a casa al posto di Renzi) è una carta di riserva nel mazzo renziano che è venuta l’ora di giuocare. E’ insomma uno che da governatore potrebbe garantire gli equilibri, non è un fulmine, ma nemmeno un inconcludente trafelato o sboccato barricadero. Dopo più di tre anni da sindaco, Nardella non ha dato ancora alla città una realizzazione simbolo della sua consiliatura, che scadrà a maggio 2019. L’uso dell’acqua per scacciare i turisti intenti a bivaccare sui sagrati delle chiese, oppure l’ordinanza contro la prostituzione, rientrano nella politica spettacolo, cui anche Nardella ogni tanto indulge. La mossa vincente potrebbe essere la chiusura dei cantieri per le due tranvie, il tempo c’è, in quanto si voterà per il rinnovo della Regione sempre nel 2019, ma i fiorentini, che ricordano le sue promesse, si aspettano una città in ordine ben prima di allora.

Controllo prostituzione a Firenze – ANSA/MAURIZIO DEGL’ INNOCENTI

Si dice che Nardella preferirebbe rimanere dov’è, piuttosto che avventurarsi in uno scenario ancora nebuloso e incerto.

Tempo fa su un quotidiano locale diceva: “Le scommesse per Firenze sono così avvincenti e difficili che richiedono un governo di dieci anni”. Se i fiorentini me lo chiederanno, io ci sarò – ha aggiunto -, perché amo questa città”.

Ma egli sa che a volte le dinamiche politiche, apparentemente capricciose e casuali, hanno viceversa una loro logica, cui non sempre è dato sottrarsi. Oggi nel PD in Toscana attorno alla sua figura si potrebbe verificare, se non una convergenza decente, almeno una non aperta belligeranza interna, all’insegna di un gentleman’s agreement.

 

 

Braghe e comune senso del pudore

Braghe e comune senso del pudore

 

Gazing Ball di Jeff Koons

Gazing Ball di Jeff Koons

Il sindaco di Firenze, il giovane Dario Nardella mette le braghe alla statua di un fauno per salvare il pudore. Detta così potrebbe sembrare il titolo di un giornale satirico, di un Charlie Hebdo di provincia. Per la precisione il fauno è di gesso e, in effetti, ha gli attributi al vento. Si tratta di Gazing Ball (Barberini Faun), calco di una scultura del periodo greco-romano, esposto attualmente a Firenze in Palazzo Vecchio, alla quale l’estroso autore, l’americano Jeff Koons, ha aggiunto una lucida sfera azzurra. Dopo l’inaugurazione dell’evento in pompa magna non è che Nardella si è pentito e abbia voluto autocensurarsi?

Il sindaco di Firenze Dario Nardella

Il sindaco di Firenze Dario Nardella

Naturalmente non è così, più semplicemente ( credo opportunamente) il sindaco fiorentino ha voluto usare delicatezza nei confronti di un ospite illustre, il principe ereditario degli Emirati Arabi, sceicco Mohammed Bin Zayed Al Nahyan, arrivato a Firenze ospite del governo italiano. E’ noto, infatti, che nei paesi arabi, anche se alcuni sono abbastanza aperti, è normale oscurare le parti sessuali. Non si sa se la richiesta sia pervenuta direttamente dallo staff dello sceicco, oppure se si sia voluto agire preventivamente e in autonomia. Né si tratta di una gran rinuncia, in via di fatto, pur restando l’episodio complesso in via di principio. Attenzione: qui non c’entra la libertà artistica, né è questione di censura. Più semplicemente, volendo prendere spunto dall’episodio e generalizzando, si tratta di stabilire fino a che punto il rispetto delle convinzioni e dei dettami della altrui cultura abbiano cittadinanza a scapito della nostra, e di farlo con la mente rivolta al futuro, non alle guerre puniche o alle Crociate. Nella storia gli incontri stabili fra i popoli, liberamente scelti o imposti, sono avvenuti finora attraverso forme di integrazione culturale di un popolo ad opera di quello egemone; oppure attraverso forme di multiculturalismo instabile, cioè permettendo alle culture diverse di sopravvivere in quanto tali, seppure in forme chiuse e avulse, come le banlieue francesi o le chinatown di tante città.

Koons in laboratorio

Koons in laboratorio

Ma è ancora così in epoca di globalizzazione? Uso questa parola con prudenza, perché dubito che di essa si abbia una definizione condivisa. Il termine è così sfaccettato da essere confuso, e tanto più è confuso tanto più lo si usa, col risultato che esso spiega sempre meno. Simultaneità e interconnessione, come Mc Luan nel lontano 1964 scriveva, non bastano da soli a farci capire il fenomeno. Quello che veramente conta è che scambi, influenze e confronti oggi si muovono in un unico orizzonte in cui l’integrazione è una sfida che non si può rifiutare. Qui sta il punto. Faccio solo due esempi recenti del modo sbagliato di rispondere a tale sfida. Al Salone del libro di Torino gli organizzatori ritirano l’invito al paese ospite d’onore, l’Arabia Saudita, per via della condanna a morte del ragazzo ventunenne, reo di avere protestato contro le autorità. Proprio in questi giorni, l’Iran ha deciso di boicottare la Fiera di Francoforte (sempre dedicata al libro, e ci sarebbe da interrogarsi su questa coincidenza, dato che la gente di libri ne legge sempre meno!) in odio allo scrittore “blasfemo” Salman Rushdie, colpito da una fatwa. Sotto l’orizzonte comune del villaggio globale queste e altre consimili risposte sono errori di un vecchio e superato modo di pensare.

Koons ai tempi di Ciccolina

Koons ai tempi di Ciccolina

Chi continua a mettere steccati o a dividere, addirittura incitando all’odio e all’intolleranza, mortifica l’ispirazione alla totalità, all’empatia e alla consapevolezza che ci attende nei prossimi decenni e che nessuno potrà fermare: mercati e internet sono spinte propulsive formidabili e che non conoscono confini. Prima delle nazioni saranno i popoli a omologarsi, sostituendo tradizione e costumi locali con uno stile di vivere e modi di pensare sempre più simili. Sarà l’avvento del famoso villaggio globale, lo si voglia o no.

Lo scrittore Salman Rushdie

Lo scrittore Salman Rushdie

In attesa che ciò avvenga non mi pare sbagliato assumere atteggiamenti di rispetto e di dialogo, come il sindaco fiorentino ha fatto, specie su questioni che non toccano i princìpi. E se li toccano? Io penso che nella difesa di un principio, specie se morale, occorra mantenere doverosamente il punto, senza camuffamenti o compiacenze, o, come nel caso di Torino, esclusioni. La via è sempre il dialogo, anche quando è aspro o sgradevole. Con un’avvertenza: nel villaggio globale non si tratta di avere l’ultima parola, né di mettere insieme ciò che ognuno ha, ma di trasformare insieme convincimenti e cose. Sperando di non doverlo fare, per miopia umana, dopo violenze e guerre, per constatare poi che in fondo siamo tutti uguali.

 

 

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