PACHIDERMI E PAPPAGALLI

PACHIDERMI E PAPPAGALLI

Leggere l’ ultimo libro dell’ economista Carlo Cottarelli, Pachidermi e pappagalli (Feltrinelli), equivale a un esercizio d’ igiene mentale, per scrollarsi di dosso «tutte le bufale sull’ economia a cui continuiamo a credere», come dice il sottotitolo del volume. Sgombrare il campo da tanta confusione per arrivare all’ essenza delle cose. Purtroppo poco confortante, perché col voto del 4 marzo 2018 e il successivo governo gialloverde c’ è stata solo una «svolta statalista», scrive Cottarelli, forse appena attenuata dal successivo esecutivo giallorosso che comunque non è riuscito a produrre niente di meglio che «una manovra di galleggiamento».

Professore, cominciamo dal titolo. Perché «Pachidermi e pappagalli»?

«Viene da una canzone di Francesco Gabbani, dove si parla di bufale di ogni genere. Nel libro mi concentro su quelle economiche, ne ho elencate una cinquantina».

La più pericolosa?

«In realtà, il loro insieme, che forma una narrazione dove si attribuiscono ad altri colpe che sono nostre: l’ Ue, l’ euro, il Grande Vecchio invece di correggere i nostri errori».

Esiste un antidoto?

«Non è facile trovarlo. Per prima cosa bisogna capire le tecniche di produzione delle bufale. Per esempio, se un’ argomentazione è forte di per sé non c’ è bisogno di urlare o insultare gli interlocutori. Secondo, bisogna informarsi, sentire diverse voci e verificare se vengono da fonti qualificate. Cose che richiedono fatica, ma necessarie».

In un capitolo lei rivaluta il governo Monti, che nella narrazione corrente è invece sommerso di critiche.

«Io critico chi critica Monti, che poi, ricordiamolo, era sostenuto da tutti i partiti, tranne Lega e Italia dei valori. Il suo governo fece ciò che in quel momento era necessario per evitare il peggio. Che poi questo non fosse sufficiente è un’ altra storia. Effettivamente l’ intervento della Banca centrale europea per ridurre i tassi arrivò in ritardo, perché c’ erano resistenze nel Nord Europa. Ma chi oggi critica Monti in realtà proponeva politiche che avrebbero portato all’ uscita dell’ Italia dall’ euro».

Nel libro lei sostiene che manovre espansive sono incompatibili con la riduzione del debito. Allora non c’ è alternativa all’ austerità?

«C’ è una giusta via di mezzo. Se ci muoviamo per tempo, con una crescita del Pil dell’ 1-1,5% salgono le entrate e basta congelare le spese in termini reali e in 3-4 anni si raggiunge il pareggio di bilancio e il debito comincia a scendere. Potevamo farlo tra il 2014 e il 2018, ma abbiamo perso l’ occasione».

Neppure l’ ultima manovra migliora la situazione?

«Non è né espansiva né regressiva. È neutra, anzi un po’ peggiora i conti pubblici».

Il Reddito di cittadinanza e Quota 100 le piacciono?

«Il Reddito parte da un principio giusto: dare un sostegno rispetto all’ aumento della povertà, ma è stato fatto male: favorisce i single e penalizza le famiglie numerose, dove è più diffusa la povertà; non tiene conto del diverso potere d’ acquisto tra Nord e Sud. Quota 100 ha peggiorato l’ andamento della spesa previdenziale, che già era poco rassicurante prima».

Sulle pensioni lei propone di «consentire a chi fa più figli di andare in pensione prima».

«Sì, è una proposta da approfondire, ma secondo me avrebbe il vantaggio di incentivare la natalità senza un costo immediato per lo Stato».

Torniamo alla «svolta statalista». Se ne vedono le conseguenze anche nelle vicende Ilva e Alitalia?

«Su Ilva non conosco bene il dossier. Su Alitalia, invece, andiamo avanti da anni con “prestiti ponte” che non verranno mai restituiti. Il salvataggio ci è costato finora quasi 10 miliardi, ma non c’ è motivo per cui lo Stato debba avere una compagnia aerea».

“I miei tre precedenti libri (La lista della spesa, Il macigno e I sette peccati capitali dell’ economia italiana) hanno cercato di fotografare la realtà economica del nostro paese. Questo Pachidermi e pappagalli invece parla di come questa realtà sia percepita e, soprattutto, di come la si voglia far percepire. Parla di false informazioni economiche che circolano ormai da parecchio tempo e vengono considerate verità assolute, indiscutibili, quasi assiomatiche, da buona parte dell’ opinione pubblica italiana: costituiscono, per molte persone, la realtà.

“Una volta le si chiamava «palle» o «bufale». Oggi spesso si definiscono «fake news», ma preferisco usare termini italiani, e in questo caso specifico ancora di più, visto che il termine «fake news» è stato, se non inventato, almeno rilanciato dal presidente Trump che ha talvolta contribuito alla diffusione di informazioni, diciamo, non del tutto aderenti alla realtà.”

Il tema delle bufale mi sembra di particolare attualità.

“Certo, le bufale sono sempre esistite. Fanno parte integrante degli strumenti di propaganda politica utilizzati per influenzare e guidare l’ opinione pubblica verso direzioni desiderate. Mi sembra, però, che negli ultimi anni le bufale economiche abbiano avuto in Italia una particolare diffusione.

A questo hanno contribuito tre fattori.

Il primo è la facilità con cui le notizie trasmesse in rete da chiunque riescono a raggiungere milioni di persone.

Noi italiani siamo grandi utilizzatori dei social media, attraverso i quali le bufale si diffondono rapidamente. Il grado di penetrazione (utenti rispetto alla popolazione) dei social media in Italia è del 57 per cento (53 per cento nella media europea e 42 per cento nel mondo) e il grado di penetrazione nell’ uso dei social tramite cellulari è del 51 per cento (45 per cento nella media europea e 39 per cento nel mondo). Ancora più evidente è la nostra dipendenza dai social in termini di tempo: siamo al quarto posto in Europa, dopo Portogallo, Svezia e Regno Unito.

Il secondo fattore è la potenziale efficacia comunicativa, consentita dalla rete stessa, nel combinare parole e immagini che «parlano alla pancia».

Questa potenzialità viene facilmente sfruttata da parte di esperti (lo chiamano «neuromarketing») e strutture organizzate che, conoscendo gli algoritmi con cui funziona la rete, sono in grado di posizionare al meglio e rendere più credibili le bufale che si vogliono far circolare.

Il terzo motivo alla base del successo delle bufale economiche in Italia, un fattore più oggettivo, riguarda il deludente andamento dell’ economia italiana nell’ ultimo quarto di secolo. Il tasso di crescita del nostro reddito pro capite, al netto dell’ inflazione, negli ultimi venticinque anni è stato il secondo più basso fra tutti i paesi avanzati (solo la Grecia ha fatto peggio) e fra i più bassi al mondo. La verità è che questo andamento deludente è dovuto in gran parte alle nostre colpe. Si potrà anche attribuire tali colpe ai governi che si sono succeduti nel tempo.

Ma chi ha eletto quei governi? No, è colpa nostra. Ma riconoscere questa verità può far male, come cantava Caterina Caselli nel 1966, ed è più comodo quindi trovare spiegazioni fittizie per i nostri problemi. Anche da qui il proliferare delle bufale.

Parlare di bufale economiche ci consentirà però anche di parlare dell’ economia italiana, dei suoi sviluppi degli ultimi decenni e di quelli futuri.

Molte delle bufale di cui parleremo sono state infatti utilizzate per screditare e rigettare le politiche economiche tradizionali, ortodosse, che gli altri paesi dell’ eurozona hanno seguito negli ultimi anni, per giustificare invece politiche alternative, populiste nel senso rivendicato dagli stessi proponenti, che sono riflesse nell’ azione, o per lo meno nei proclami, del governo gialloverde andato al potere dopo le elezioni del 4 marzo 2018. Politiche che, peraltro, non sembrano aver avuto un gran successo nel rilanciare l’ economia italiana e che certo hanno contribuito alla caduta di quel governo.

I primi cinque capitoli del libro riguardano bufale che, per lo più, sono care a gruppi e movimenti populisti, cioè a chi lotta contro l’ establishment. Si tratta di bufale (sull’ euro, sulle banche, sulle ricette economiche ortodosse, sulle pensioni, sui poteri forti) spesso utilizzate proprio per catalizzare la protesta contro chi ci ha governato in passato. Nel sesto capitolo invece ci occuperemo di quelle che ho chiamato «bufale dell’ establishment», solitamente orientate a presentare la realtà in modo migliore di quella che è e a cercare di convincere il popolo che tutto vada bene.

Ciascun capitolo si conclude con una breve sezione su «cosa c’ è di vero», perché una buona bufala richiede un minimo di verità per essere credibile. Ma occorre saper distinguere questo minimo di verità da tutte le frottole che i produttori di bufale intendono propinarci, distinzione che è necessaria se si vogliono trovare le soluzioni giuste ai problemi esistenti. Il settimo capitolo si concentra proprio su chi produce le bufale e sulle relative tecniche di produzione.

Credo infatti che conoscere tali tecniche consenta di sviluppare anticorpi adeguati. L’ ottavo e ultimo capitolo offre una visione dall’ alto della mandria di bufale economiche circolate in Italia negli ultimi decenni. Non si tratta infatti di un raggruppamento casuale: l’ immagine che emerge dalla combinazione delle bufale è stata creata ad arte, funzionale alla riproposta di politiche economiche presentate come nuove, ma che in realtà sono vecchie e hanno generato i problemi di cui l’ economia italiana attualmente soffre.”

Articolo di Enrico Marro per “il Corriere della sera”

REDDITO CITTADINANZA SPIEGATO ALLE MASSE

REDDITO CITTADINANZA SPIEGATO ALLE MASSE

BASTA CHIACCHIERE, ORA VI SPIEGO IL REDDITO DI CITTADINANZA – PASQUALE TRIDICO, IDEATORE DEL PROVVEDIMENTO, DESCRIVE IL PIANO PER IL CONTRASTO ALLA POVERTÀ E L’ATTIVAZIONE NEL MERCATO DEL LAVORO: “QUANDO FINIRÀ LA POLEMICA SUL ‘DIVANO’, SCANSAFATICHE E LE ‘VACANZE’ DEI POVERI, SI APPREZZERANO GLI OBIETTIVI…”

L’autore dell’articolo, Pasquale Tridico, è sottosegretario al ministero dello Sviluppo Economico e docente di Economia del Lavoro all’ Università Roma Tre. È consulente del ministro del Welfare, Luigi Di Maio, e viene considerato come il padre della riforma che sta portando all’implementazione del reddito di cittadinanza.

L’autore ritiene che si tratti di «un formidabile strumento per inserire nel mondo del lavoro coloro che finora ne sono stati lontani e includere nella società le famiglie più povere». Molti sono gli interrogativi sulla capacità del sistema di trovare a disoccupati e inattivi fino a tre offerte di impiego. Dubbi a cui Tridico risponde spiegando i meccanismi con cui il governo punta a contrastare la povertà e a rimettere in moto il mercato del lavoro.

pasquale tridico 1

Pasquale Tridico

Quando finirà la polemica sterile contro il Reddito di cittadinanza, quella che tira fuori solo problemi inerenti l’ elusione, i furbi, gli scansafatiche, fino ad arrivare al «divano», e alle «vacanze» dei poveri, e quando si comincerà a leggere il provvedimento come misura di reddito minimo in Italia, di contrasto alla povertà e di riattivazione verso il mercato del lavoro, allora, necessariamente si apprezzeranno gli obiettivi, i mezzi attraverso i quali agisce e le risorse che mobilita.

Quando la critica al reddito di cittadinanza è meno aggressiva, si tirano fuori argomenti del tipo: «Si poteva rinforzare il Rei». Anche in questo caso la critica non trova fondamento, poiché non solo si è «rinforzato» il Rei in modo oggettivo ed evidente in termini di beneficiari, platee e risorse, passando da un contributo individuale massimo di 187 a 780 euro e da una platea potenziale di 1 milione ad una di quasi 5 milioni di persone, e da un fondo di poco più di 2 miliardi complessivi a poco più di 8 miliardi complessivi.

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Luigi Di Maio e Pacquale Tridico

Ma si è anche «rinforzato» il Rei nella parte che riguarda il «cuore» di quel provvedimento, ovvero il contrasto alla povertà, la rete dei Servizi sociali attraverso i Comuni e l’ inclusione sociale. Infatti, per questo obiettivo le risorse aumentano notevolmente, di circa 130 milioni nel 2019 passando a circa 347 milioni, raggiungono 587 milioni nel 2020 e triplicano nel 2021 passando a 615 milioni di euro.

Una dotazione di risorse mai vista prima per l’ obiettivo della lotta alla povertà. Una vera rivoluzione, e per conoscerne bene la portata basterebbe chiedere alla Caritas o alla Alleanza contro la Povertà che negli anni scorsi non hanno mai visto tante risorse. Tutto questo fa parte del cosiddetto Patto per l’inclusione sociale, per quelli più distanti dal mercato del lavoro, con particolari disagi sociali.

pasquale tridicoI beneficiari di Reddito di cittadinanza che stipulano il Patto di inclusione sociale presso i Comuni e i Servizi sociali avranno condizionalità e obblighi diversi, prevalentemente di tipo sociale, rispetto a coloro che stipulano il Patto per il Lavoro, come succede in tutti i paesi europei. Perché la povertà non dipende solo dalla mancanza di lavoro. Perché la povertà è un problema multidimensionale.

Infine, oltre a «rinforzare» il Rei in lungo e in largo, si è aggiunto un altro fondamentale pilastro, che potremmo definire «lavorista», di riattivazione verso il mercato del lavoro, costruendo un reddito minimo che possa garantire una vita dignitosa combinato con incentivi alla integrazione nel mercato del lavoro. Anche in questo caso, la critica al pilastro «lavorista» è priva di fondamento. I Centri per l’ impiego (Cpi) non sono pronti, si dice, le politiche attive sono inesistenti o quasi, e via discorrendo. Vero. Ma proprio per questo è giusto partire al più presto possibile, e questa è una occasione d’ oro.

reddito di cittadinanzaDel resto la finalità di contrasto alla povertà e sostegno al reddito, rispetto alla quale il reddito di cittadinanza dovrà anche essere valutato, rimane soddisfatta anche durante la costruzione e il potenziamento dei Cpi, da cui quella finalità è indipendente, e con cui la riforma dei Cpi non è in conflitto. Come per il contrasto alla povertà e la rete ad essa connessa, anche i Cpi, le regioni e tutti i servizi ad essi collegati, non hanno mai visto tante risorse: 120 milioni nel 2019 e 160 milioni dal 2020 per 4000 nuove assunzioni presso i Cpi. 200 milioni per l’ assunzione di 6000 navigator nel 2019, 250 milioni per il 2020 e 50 milioni per il 2021, attraverso Anpal servizi Spa.

reddito di cittadinanza bancomatA ciò si aggiunge una ulteriore dotazione di 480 milioni nel 2019 e di 420 milioni nel 2020 per strutture e infrastrutture fisiche e tecnologiche presso i Cpi e le regioni che in questo hanno competenza. Inoltre, la differenza tra il Fondo per il Reddito di cittadinanza, cioè 8,32 miliardi a regime dal 2021, e l’erogazione del beneficio, pari a regime a 7,21 miliardi, è di oltre 1 miliardo; risorse per il mantenimento di tutta la struttura dei CPI, di Anpal, e di tutti i soggetti convolti (Inps, Caf, Comuni, Enti di formazione, Enti accreditati, sistemi informativi, piattaforme, ecc).

Il programma del Reddito di cittadinanza ha una architettura complessa, studiata sulla scia dei migliori esempi europei di reddito minimo, e prevede formazione e condizionalità, oltre che un vasto programma di incentivi alle imprese e agli enti di formazione accreditati, che identifica un approccio molto orientato verso il reinserimento nel mercato del lavoro attraverso un Patto per il Lavoro o un Patto per la Formazione. Le imprese che assumono un beneficiario a tempo indeterminato ottengono un incentivo sotto forma di esonero contributivo, pari alla differenza tra 18 mesi e i mesi usufruiti.

REDDITO DI CITTADINANZA BY VAURO

Vignetta di Vauro

Gli enti di formazione stipulano un Patto di formazione, finalizzato allo svolgimento di un percorso professionale, alla fine del quale se il beneficiario ottiene un lavoro coerente con il profilo formativo, ottengono la metà dell’ esonero contributivo pari a 18 mesi meno i mesi già usufruiti. L’altra metà va all’ impresa che assume il lavoratore. Gli Enti di formazione saranno quindi spinti ad organizzare corsi di formazione per posizioni per cui esistono vacancy, perché i loro incentivi dipendono dall’ assunzione, piuttosto che da opachi finanziamenti regionali a pioggia.

Inoltre questi incentivi spingono imprese e enti di formazione a stipulare il Patto di formazione e ad assumere al più presto un beneficiario, per ottenere un beneficio più cospicuo. Nel caso in cui il beneficiario avvia un’ attività di lavoro autonomo o costituisce un’ impresa individuale o una società cooperativa sono previsti anche incentivi fino ad un massimo di 6 mensilità.

La combinazione tra l’ impossibilità di rifiutare più di 3 offerte di lavoro congrue, a scalare su 100 km, 250 km e tutto il territorio nazionale, insieme ai forti incentivi all’ inserimento lavorativo, permette di affermare, ragionevolmente, che sebbene il Reddito di cittadinanza sia un reddito minimo strutturale, per sempre, per un singolo beneficiario potrebbe durare massimo due cicli.

Veniamo inoltre al cosiddetto doppio bonus per le imprese. Nel caso in cui il datore di lavoro abbia esaurito gli esoneri contributivi in forza degli sgravi previsti nella scorsa legge di bilancio per le imprese nel Sud gli incentivi contributivi previsti nel Reddito di cittadinanza si trasformano in credito di imposta.

Conclude questa batteria di incentivi all’ inserimento nel mercato del lavoro l’ assegno di ricollocazione (AdR), una somma di denaro che può variare tra 250 e 5.000 euro. Una dote che può essere spesa presso enti accreditati e Cpi, ed è effettivamente incassata solo nel momento in cui il lavoratore trova lavoro.

La logica di fondo alla base di questa batteria di incentivi è la riattivazione nel mercato del lavoro di un gran numero di inattivi, tra cui moltissimi giovani NEET. L’ afflusso degli scoraggiati presso i Cpi permetterebbe di rivedere al rialzo il tasso di partecipazione alla forza lavoro, che nella metodologia europea contribuisce alla crescita del Pil potenziale. Si aprirebbe così uno spazio fiscale aggiuntivo che può essere utilizzato per aumentare l’ occupazione evitando di far crescere in percentuale il deficit strutturale a livelli passibili di sanzioni comunitari.

reddito di cittadinanzaInoltre, rafforzare lo Stato sociale, attraverso il reddito minimo, pone un freno ad una tendenza di riduzione del welfare e di salario indiretto che negli ultimi 3 decenni ha costituito, insieme alla flessibilizzazione del mercato del lavoro, una costante della politica economica italiana, che ha favorito il declino della quota salario sul Pil, e la perdita di potere contrattuale da parte dei lavoratori, con inevitabile stagnazione dei salari.

In questo senso, il Reddito di cittadinanza, la più grande politica sociale degli ultimi 30 anni almeno, può rappresentare anche la spinta iniziale di una pressione verso l’ alto dei salari.

Dall’ altra parte, le finalità sociali, di contrasto alla povertà sono necessari, in una economia avanzata come la nostra, per garantire la stabilità sociale, soprattutto in periodi di dinamica lenta del Pil come quella che sembra profilarsi per via di una congiuntura internazionale sfavorevole. In questi periodi, azionare la leva anticiclica della politica economica, addirittura in anticipo, potrebbe rivelarsi fondamentale per garantire la stabilità dei consumi e della domanda aggregata, con la soddisfazione che per una volta almeno si potrà dire che si è iniziato dagli ultimi.

Articolo apparso sul Corriere della Sera

LAVORO VS ASSISTENZA

LAVORO VS ASSISTENZA

Il reddito di cittadinanza cambia, le sue storture restano.“Ambiguo e impraticabile. Oltre al sussidio, poco o niente”. La sociologa del lavoro Chiara Saraceno analizza la bozza fatta circolare dal governo

Il reddito di cittadinanza cambia, le sue storture restano

Foto Imagoeconomica

Centro per impiego a Palermo

Alla fine, l’unica cosa certa rimarrà l’erogazione del sussidio. “Il che non è di per sé un male, io ho non ho nulla contro l’assistenza ai più deboli. Il problema, però, è che se oltre al versamento mensile non c’è nulla, dall’assistenza si passa all’assistenzialismo, e questo non va più bene”. Sociologa del lavoro, studiosa ormai da mezzo secolo dei problemi connessi alla povertà, Chiara Saraceno mostra una certa delusione, nel leggere la bozza del decreto sul reddito di cittadinanza che in settimana, stando ai proclami di Luigi Di Maio, dovrebbe essere approvato dal consiglio dei ministri. E pure l’ironia che mostra si corrompe subito in amarezza: “Gli unici che avranno davvero la certezza di trovare un posto di lavoro sicuro, grazie a questo ambiguo provvedimento, saranno i quattromila navigator, queste strane figure professionali per le quali si è adottato un nome che solo un pazzo o un ignorante poteva scegliere”.

A suggerirlo al leader del M5s è stato in effetti dal prof. Mimmo Parisi, che non è né pazzo né ignorante ma ha importato questa e altre novità dal Mississippi, e che anche così si è guadagnato la presidenza dell’Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive. “Ma si può sapere quali competenze devono avere, questi navigator?”. Andrà stabilito, visto che nella bozza non c’è alcuna indicazione, al riguardo. E poi andranno ripartite le risorse tra le varie regioni, ché da loro dipendono i centri per l’impiego. “E poi si dovrà preparare un bando, e attendere i tempi tecnici, e svolgere un concorso, e formalizzare le assunzioni”. Sempre che nel frattempo venga definita la deroga per le regioni; sempre che poi i centri per l’impiego trovino spazio fisico e dotazioni per questo nuovo esercito di navigator. “Un iter lungo e complicatissimo”.

Ma ad aprile, costi quel che costi, si deve partire. “E’ evidente che l’unica cosa tangibile sarà il sussidio”. E il resto? “Il resto, da quello che si legge, è un percorso farraginoso e iperburocraticizzato. Impraticabile. Il rischio è quello di nutrire l’ennesima illusione, e tutto ciò perché si è scelto di tenere insieme due problemi che andavano invece affrontati in modo distinto”. Si è scelto, cioè, di promuovere da un lato un “Patto per il lavoro”, per i soggetti per i quali è ipotizzabile un reinserimento nel mondo del lavoro, e dall’altro un “Patto per l’inclusione sociale”, per tutte quelle persone che non sono occupabili e hanno invece bisogno di una assistenza più specifica: “Ma le politiche attive e il contrasto alla povertà – spiega la Saraceno – non sono la stessa cosa. Si è scritta una bozza che investe entrambi i fronti, e che è su entrambi alquanto velleitaria”. Di idee nuove, di progetti innovativi, la Saraceno non ne rintraccia, tra le righe del decreto. Il patto per l’inclusione sociale, ad esempio, non è altro che la prosecuzione del ReI sotto altra “denominazione”, come esplicitamente si ammette al comma 13 dell’articolo 4. “Si allarga la platea dei beneficiari, ma non si aumentano le risorse agli enti locali: ben venga l’aiuto ai disagiati, ma non c’è alcuna misura per affrancare queste persone dal loro disagio”.

E le politiche attive? “Ai beneficiari vengono richiesti degli oneri puramente formali, come quello di sostenere ‘colloqui psicoattitudinali’, corsi di ‘auto-imprenditorialità’, o come quello di ‘consultare quotidianamente l’apposita piattaforma digitale’ per la ricerca del lavoro”. Fuffa? “Fuffa, certo. Non mi pare si trovi così, un lavoro. E del resto, se mai funzionerà, questo reddito, funzionerà non certo per ‘gli ultimi’, di cui pure tanto si riempiono la bocca nel governo, ma soltanto per quelli con un piede già dentro il mercato del lavoro”. E non a caso i centri per l’impiego sono obbligati, si legge, a trattare con priorità i casi di persone disoccupate “da non più di due anni”, di “età inferiore a 26 anni”, di essere beneficiari già inseriti in percorsi di ammortizzazione sociale o di reinserimento nel mercato del lavoro. “E anche gli sgravi alle imprese che assumono sono più consistenti per coloro che sono immediatamente occupabili”, osserva la Saraceno. Quanto alle offerte di lavoro, “ci sarebbe da indignarsi per il fatto che impongono formalmente una mobilità su tutto il territorio nazionale, loro che hanno urlato contro le presunte ‘deportazioni’ della Buona Scuola, che pure riguardavano persone a cui si garantiva un posto fisso e duraturo”. Se non fosse che l’obbligo di spostarsi – alla terza ipotetica offerta di lavoro, dopo oltre 18 mesi di sussidio – si può aggirare facilmente, specie per chi ha in famiglia un minore o un disabile, e cioè per oltre il 60 per cento dei beneficiari. “E se non fosse, soprattutto, che di offerta di lavoro ce n’è pochissima, specie in alcune zone del paese, e questo provvedimento non fa nulla per rilanciarla”.

Articolo a cura di di Valerio Valentini per il Foglio.it

 

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