RECALCATI,RENZI E P.P.P.

RECALCATI,RENZI E P.P.P.

PASOLINIANI E ANTI–RENZIANI UNITI NELLA LOTTA- BOTTE DA ORBI FRA GLI EREDI DI LACAN: RECALCATI CENSURATO PERCHE’ AVREBBE VENDUTO LA PSICANALISI A RENZI, IL QUALE A SUA VOLTA E’ REO DI AVERE INFANGATA LA MEMORIA DI PASOLINI, INTITOLANDOGLI LA SCUOLA DI PARTITO. 

Nel mondo intellettuale italiano da tempo covava un risentimento diffuso nei confronti di Massimo Recalcati. “Troppo” successo non può essere perdonato. Almeno in Italia. Niente di nuovo, dunque, nell’attacco concertato di cui è stato vittima e che ha visto come protagonisti colleghi, i quali, per alimentare la loro scarsa potenza di fuoco, hanno chiesto il soccorso  dell’antico maestro di Recalcati, Jacques-Alain Miller, indiscusso punto di riferimento del lacanismo nel mondo. Perché il colpo inferto fosse durissimo sono stati utilizzati strumenti eticamente discutibili. Ad esempio, sono stati resi di dominio pubblico frammenti dell’analisi di Recalcati. Chi scrive non può che rinnovare la sua solidarietà all’amico.

Ma la questione che mi interessa sollevare è un’altra. Riguarda i “significanti” che in questa polemica sono stati utilizzati per far coagulare un rancore finora taciuto o comunicato solo indirettamente. Per un lacaniano, ricordiamolo, un significante non è un segno convenzionale apposto su di una cosa. Un significante è una potenza performativa, vale a dire un segno che produce degli effetti sensibili sui corpi, che li costituisce, li trasforma e può anche ditruggerli. Un soggetto, ha scritto Lacan, è un significante per un altro significante. Un “significante”, infatti, non è mai da solo. Esso si concatena sempre ad altri significanti, producendo una sorta di “ritornello” che s’installa nella nostra testa e che scambiamo per il nostro “io” che pensa. Siamo fatti di parole, dice il poeta, e ha ragione: non cessiamo mai di rispondere all’appello dell’Altro e anche quando restiamo in silenzio siamo parlati da una parola che ci appartiene solo a metà.

 

Massimo Recalcati

Ebbene, da una polemica nata nel seno delle scuole lacaniane ci si aspetterebbe che il “significante” decisivo sia il Nome del Padre, “Lacan”. Non si discute forse di un’eredità? Non si sollevano obiezioni nei confronti di chi millanterebbe quel nome? Eppure non è “Lacan” il significante che catalizza il risentimento contro Recalcati. “Lacan” è solo occasione, funge da detonatore. I significanti dell’odio sono altri due nomi propri, tutti interni alla storia politica e culturale italiana. Sono “Renzi” e “Pasolini” (li scrivo tra virgolette perché di quei nomi mi interessa non la verità ma solo l’effetto di senso che producono nel discorso).
Nella esilarante (involontariamente) intervista concessa al Fatto quotidiano, Miller dice che Recalcati avrebbe venduto la psicanalisi al potere, cioè al fantomatico “Renzi” paragonato “ad Alessandra, la zarina di Russia, sposa di Nicola II che per far guarire suo figlio malato di emofilia si affidò a Rasputin”. Si noti il fantastico delirio cosmico-storico di Miller, degno del Presidente Schreber: Recalcati come Rasputin, Renzi come la zarina Alessandra… Inoltre Recalcati avrebbe stuprato per l’ennesima volta il martoriato corpo del santo intellettuale del nostro secolo, “Pasolini”, intitolandogli una scuola di partito (democratico). Il reato commesso sarebbe in questo caso quello di aver reso gramscianamente “organico” l’eretico per definizione. Per difendere l’onorabilità del santo e per vomitare fiele sulla zarina e sulla canaglia al suo servizio, si sono cominciate a raccogliere firme dalla Francia. L’usanza è consolidata.

 

Rassicurati dalla presenza al loro fianco del potente re straniero, molti si sono fatti coraggio e hanno apposto  il loro nome nella lista dei buoni e sinceri democratici (pasoliniani e anti-renziani ut decet)
Se non ci andasse di mezzo la vita di un uomo, i suoi affetti e la sua onestà intellettuale, ci sarebbe solo da ridere a crepapelle. In realtà la cosa è seria ed  è rivelativa di un clima politico inquinato nel quale il significante “Renzi” è diventato il significante divisivo per eccellenza, il vero e proprio catalizzatore di ogni risentimento. C’è da chiedersi perché già il solo essere accostato a quel nome susciti nella parte maggioritaria dell’intellettualità italiana un senso di ribrezzo più forte di quello provocato da fascisti, razzisti o populisti con i quali infatti ci si allea tranquillamente, turandosi un pochino il naso, se la posta in gioco è la disfatta del renzismo. Mi si perdoni il gioco di parole ma è sintomatico che questo sintomo nevrotico della politica italiana si sia  manifestato come tale proprio nell’ambito di una querelle che investe la psicanalisi.

 

Matteo Renzi

Qualche tempo fa, un amico che si era schierato per il Si al referendum e che dopo la sconfitta si era iscritto al PD  mi diceva di aver vissuto quella scelta come un vero e proprio outing. Con quella affermazione, fatta distrattamente bevendo un caffé, l’amico era andato subito al nocciolo della questione: mi aveva squadernato gli effetti sensibili del significante “Renzi”. In un  paese il cui DNA è la controriforma cattolica e nel quale il desiderio di mantenere tutto immobile si coniuga splendidamente con la retorica massimalista delle anime belle (la “sinistra”), l’opzione riformista, pragmatica e liberale (il significante “Renzi”) ha infatti quasi il senso di una confessione pubblica della diversità del proprio orientamento sessuale. In questa luce, l’adesione di Recalcati al significante “Renzi” mi è parso un atto di vero anticonformismo. Lo ha fatto alla vigilia del referendum quando il vento dell’opinione pubblica andava decisamente contro “Renzi” e lo ha ribadito quando il portatore di quel nome era nella polvere. Nessuno può in buona fede sostenere che tale scelta abbia comportato per lui un qualche vantaggio, soprattutto nel mondo intellettuale: i fatti che stiamo discutendo lo attestano ampiamente

Ed è sempre per anticonformismo che Recalcati ha licenziato l’altro significante intorno al quale ruota la polemica. “Pasolini” funziona infatti come significante dell’eresia e della differenza. Così vuole il luogo comune. A questo proposito, credo però che Recalcati sia stato vittima di un equivoco. Il fraintendimento discende direttamente dal modo in cui Recalcati legge Lacan. A differenza di Miller, che di Lacan è l’ermeneuta per così dire “ufficiale”, l’interpretazione recalcatiana è infatti orientata in un senso “esistenziale” e “cristiano”, sebbene si tratti di un esistenzialismo e di un cristianesimo particolari, un esistenzialismo senza ontologia ed un cristianesimo senza Dio-sostanza. Se ci si incammina su questa via – e se si è italiani – inevitabile è imbattersi nell’ombra del poeta friulano la cui opera è un condensato di  questi temi.

Ma “Pasolini” come significante ha agito nella storia culturale e civile italiana anche ad un altro livello, più sociologico che poetico, ed è in tale forma che vi ha lasciato un segno duraturo. C’è infatti il Pasolini “corsaro”, implacabile critico della modernità, nostalgico cantore di una innocenza perduta e/o tradita, populista estetizzante e etologo delle periferie urbane. Questo “Pasolini” è ben presto diventato il ritornello preferito degli intellettuali italiani che ne hanno scimmiottato in vario modo la postura moraleggiante vestendo i  nobili panni dei censori della decadenza e dei profeti dell’ “autentico” (curiosamente anche il successo del Recalcati-pensiero si deve, in parte, al fatto che nell’immaginario dei suoi lettori egli, meglio di tanti altri, avesse occupato il posto lasciato libero da quel “Pasolini”). Ebbene, il significante “Pasolini”  non si coniuga affatto con l’altro significante “Renzi”. Sono, se si vuole, due ritornelli inconciliabili: il primo rimanda all’arcaico, all’immobilità semi-sacrale della tradizione, all’orrore per il cambiamento, il secondo ad una modernità più immaginata che reale, ad una curisosità compulsiva e quasi infantile per il “nuovo” (il boy scout Renzi, Renzi su twitter…). In ogni caso non stanno insieme e se l’opzione per il significante “Renzi” (un’opzione, temo, perdente) ha il senso della rottura con il conservatorismo italico, l’opzione “Pasolini” ribadisce invece tutte le ragioni dell’italico spirito controriformistico duro a morire.

Hanno dunque in un certo senso ragione i nemici di Recalcati a protestare per l’abuso che egli farebbe del nome del santo martire intitolandogli una scuola di partito, ma non hanno la ragione che credono di avere. Recalcati-Rasputin, argomentano, avrebbe trasformato l’eretico in un intellettuale organico. In realtà le cose sono rovesciate ed è per questo che ho parlato di un abbaglio di Recalcati. Il significante “Pasolini” non funziona infatti per un progetto politico riformista e pragmatico, per un progetto, cioè, in Italia, decisamente “eretico”,  piuttosto lo contraddice. C’è tuttavia qualcosa che accomuna Recalcati a Pasolini, questa volta senza virgolette, al di là di tutti gli equivoci. Ed è la passione per la “risposta”: la responsabilità vissuta come obbligo etico e conseguenza inevitabile della professione intellettuale. Massimo Recalcati non ha mai smesso di intendere la psicanalisi come una presa di posizione sul reale, costi quel che costi, perfino la rottura con il suo amato maestro, l’isolamento e l’ingiuria, ed è per questo che nonostante le nostre tante differenze d’ordine teorico mi onoro di averlo come amico.

Pierpaolo Pasolini sul set di un film

Articolo di Rocco Ronchi, apparso sul sito http://www.doppiozero.com

 

ISTANTANEE DELL’ESTATE

ISTANTANEE DELL’ESTATE

LA GRANDE SCOMMESSA E UNA SCENA D’ALTRI TEMPI. SI CHIUDE AGOSTO DOPO L’ABBUFFATA OLIMPICA, IL BRUTTO RISVEGLIO DEL TERREMOTO, L’ AMATRICIANE DI SOLIDARIETA’, I SOLITI SBARCHI, IL PIL INCHIODATO, LA RAGGI BAMBOLINA CHE BAMBOLEGGIA.  

COSI PARLA GEPPETTOGeppetto

 

 

Una notizia e una scena per chiudere un agosto noioso e piovoso (almeno dalle mie parti). A parte il terremoto in Centro Italia, di cui avremmo preferito non sentire mai niente e non piangere i tanti morti fra le macerie. Ai colpiti solidarietà e auguri di speranza per una rapida ripresa.

 

Marchionne luiss

 

Una notizia e una scena, diccvo. Per l’una e per l’altra dobbiamo parlarvi di lui: Sergio Marchionne, presidente e amministratore di non so quante società. Uomo rappresentativo, dunque, non uno che passa per la strada.

Il 27 agosto è alla LUISS di Roma, deve premiare i vincitori del Rotman European Trading Competition.

Dopo i convenevoli su FCA e Ferrari, dice ai giovani: “Fate i conti con la vostra coscienza”. Ohibò! Non è più il pescecane senza scrupoli che ama descrivere la Camusso?

Invece Marchionne fa sul serio, e questa volta si fa capire fino in fondo (non è un affabulatore nato, più che parlare si sente a suo agio a comandare, a fare). Sentite:” Non possiamo demandare al mercato la creazione di una società equa”. Fin qui, liberisti di Wall-Street e pianificatori statalisti di qualche ex repubblica russofona, possono trovarsi. Ma Marchionne si spinge più avanti, passa al giudizio: “i mercati non hanno morale, non hanno coscienza, non sanno distinguere fra cosa è giusto e cosa non lo è”.  Attribuire morale e coscienza a soggetti impersonali, per quanto reali, anzi realissimi, è rischioso. Ma se non si parla ai giovani col cuore in mano, con chi?

 

marchionne matteo

 

Morale e coscienza sono argomenti scivolosi da trattare, specie per un imprenditore globale. Ci vuole del coraggio, o rocciosa determinazione, quella che non manca a Marchionne, anche per il dna delle origini: l’ironia presa dal padre e la determinazione della madre Maria, profuga istriana. Probabilmente gli tornano alla mente, come ricordo adolescenziale, le parole del padre Concenzio, un abruzzese di Cugoli, maresciallo dei carabinieri (Sergio per i Caramba o la Pula ha una venerazione).

“La vita umana non è una merce, il profitto oltre un certo limite diventa avidità….” Chi si sente di dargli torto? Ma quante volte le abbiamo sentite dire? Anche il regista Oliver Stone è riuscito ad infilare un severo sguardo sull’avidità degli affaristi nel suo film Wall-Street.

 

matteo ferrari

 

Ma Marchionne completa il suo pensiero, evitando sofismi filosofici, da manager e imprenditore qual’ è. Di fronte ai giovani premiati non si traveste da filosofo esistenzialista, ma terra terra dice che, ferma restando la libertà di mercato (che poi vuole dire di chi vi opera), bisogna comportarsi non da persone avide perché alla lunga un siffatto mercato “mette a repentaglio la prosperità”. Per la smodata voglia di pochi ad arricchirsi si diventa poveri tutti. Il suo ragionamento non sconfina di campo, rimane sul suo terreno Marchionne, né si atteggia da moralista. Dice ai giovani: fare giochi sporchi e perseguire il vostro solo profitto speculativo non vi conviene. Unire libertà individuale (di fare) a responsabilità sociale (impegno etico collettivo) pare di capire sia l’equilibrio suggerito da Marchionne. Bisognerebbe spiegarlo al Mercato Globale, e qui la vedo difficile. Chissà se, in questi anni di impegno in FIAT ora FCA, Marchionne ha trovato il tempo, davanti ad un aperitivo, di impartire al giovane Elkann la lezione. Come erede degli Agnelli, che certo non brillavano per filantropia e impegno sociale, forse ne avrebbe bisogno.

 

marchionne merkel

 

Per quanto riguarda la scena, è quella in pompa magna fra le mura della Ferrari in Maranello. Bandiere che garriscono al vento, picchetto d’onore fra gli inni italo-germanici. Dall’ingresso non spuntano Hitler con a fianco Mussolini in orbace, ma la Merkel, che avanza impettita, chiusa nel suo abbigliamento giacca/pantalone d’ordinanza (rinnovarsi il guardaroba e, magari le idee, no?).

 

maranello cerimonia

 

Anche Marchionne veste d’ordinanza: il solito maglioncino blu, con quel caldo! In fila come scolaretti per la consegna del diploma. Stretta di mano, un breve scambio di benvenuto, con lui un indugio un po’ più lungo degli altri, mentre con Elkan per vedere il saluto bisogna usare la moviola. L’amico Renzi ha preparato tutto con attenzione, tutto calibrato. Se la cancelliera annuncia che darà i soldi per ricostruire una scuola, Sergio non è da meno: in palio una Ferrari, base d’asta un milione di euro. Gli sceicchi arabi e i magnati russi già in linea.

 

m e m

 

Peccato, proprio un peccato, quel saluto affettuosissimo di Anghela a Leo. Quella stretta, quel vezzeggiarsi, quasi a scodinzolare come fra vecchi amici. Leo ha tolta un po’ la scena a Sergio e Matteo, diciamocelo. Ma d’altra parte, poteva mancare il cane che è diventato un eroe, frugando fra le macerie del terremoto di Amatrice?

 

https://www.youtube.com/results?search_query=cane+leo+amatrice

 

 

 

 

RENZI EPIFENOMENO

RENZI EPIFENOMENO

 

 

Il fenomeno Renzi è ancora da capire e da osservare, dal momento che per qualche tempo ancora la sua parabola sarà in crescita. I due anni trascorsi come segretario del PD e Presidente del Consiglio ci dicono molto di lui, ma ancora di più dell’Italia. Sì, perché è ancora vero il detto che un popolo si trova i governati che merita.

Renzi appare sulla scena alla fine del ciclo berlusconiano e nel pieno della crisi economica più lunga del dopoguerra. Emerge in due mosse. Si impadronisce del PD, in cui l’anima cattolica e quella post comunista, dopo l’iniziale emulsione, sono tornate a separarsi come acqua e olio irranciditi. Poi, al termine di una lite di palazzo con predecessore e senza essere eletto, si impadronisce del Governo. Come premier fa man bassa di tutto senza colpo ferire, solo qualche rottamazione di facciata (il bolso D’Alema, l’ineffabile Rosaria Bindi), ma con discontinuità ed eccezioni. Con l’istinto che precede l’analisi fa propri furbescamente alcuni facili slogan della destra, come meno tasse, più lavoro; litiga con i sindacati, distribuisce etichette di gufo a destra e a manca, approfitta di un Parlamento stordito per infilare in porte oramai fondate, alcune riforme vecchie come il cucco, ma col piglio giovanile, che piace alla gente, di chi ci crede e ci prova. Esordisce sulla scena internazionale con qualche approssimazione, ma non trova intorno al tavolo statisti degni di questo nome, e la sa vendere bene, è attivo e dinamico. Il suo nome e il suo viso devono richiamare solo cose positive. Evita perciò accuratamente non dico  di stare in compagnia, ma persino di sfiorare e associare se stesso a fatti o persone negative: rifugge funerali,  non conforta gli  alluvionati o le vittime della mafia, Roma capitale sembra per lui una città straniera, mentre è pronto a stare a fianco sorridente di  campioni sportivi, premi Nobel, astronaute, imprenditori di successo, capitani d’impresa rudi e positivi, come Marchionne. Supplisce all’evidente inesperienza e alla mancata conoscenza delle burocrazie, delle regole, del fair play istituzionale, con un tono sostenuto che rasenta l’arroganza, ma soprattutto con dinamismo, voglia di fare che spiazza le sonnolenti classi dirigenti post mani pulite. Per tutto ciò, in fondo, è anche simpatico, e suo tramite gli italiani si sono tolti parecchi sassolini dalle scarpe.

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Fotomontaggio Edoardo Baraldi per Dagospia

In fondo Renzi è un epifenomeno, come Berlusconi lo è stato della prima repubblica. Renzi ha capito che la democrazia oggi non è quella ateniese o quella che si apprende nei testi di sociologia politica. Nella sua versione pop essa è fatta da un insieme di indicatori di benessere, di qualche libertà basilare e da una buona dose di demagogia in cui predomina un populismo alquanto opaco e una rappresentazione della  realtà affidata ad un’informazione eterodiretta e alla messaggeria a 140 caratteri, vera e propria agorà globalizzata.

La legge di stabilità 2016 (ex finanziaria) si muove coerentemente in carattere, con un colpo al cerchio e una alla botte, tenendosi ben lontana dal tagliare le unghie alla burocrazia, o da mettere a stecchetto le fameliche orde che si annidano nelle segreterie assessorili, nei centri di spesa sparsi per la Penisola, nelle aziende di Stato e in quelle partecipate da enti locali e regioni, nelle redazioni della tv pubblica e dei giornali sovvenzionati, insomma, in quel onnivoro e babelico carro di Tespi che è lo  Stato italiano.

Renzi non è un rivoluzionario, non ne ha la vocazione, né l’ardore visionario. Non è nemmeno un riformista, perché gliene manca l’ispirazione e il passo lungo. Si dice che stia svendendo la cultura della Sinistra italiana. In realtà non può disfarsi di quello che non ha. La parola “compagni” detta da lui, se non sembra un insulto, gronda sarcasmo.  E’ un post-democristiano (generazione politica di rango, a ben vedere storicamente le cose) con un bagaglio culturale approssimativo, privo di strategia politica di lungo termine. E’ un tattico, con buona capacità manovriera, armato di astuzie per lusingare gli uomini, sfruttarli senza farli crescere, rimanere solo al comando.

RenziQuesta storia del “ducetto” va però meglio descritta, perché in parte è una banale caricatura politica del personaggio, in parte è sintomatica del fare politico renziano, che molto è influenzato dal suo carattere, un po’ come succedeva a Bettino Craxi, altro politico tattico per eccellenza, che non seppe capire che con il crollo del Muro di Berlino la politica, imperniata sugli storici partiti di massa, sarebbe stata rovesciata.

Renzi non fa squadra, non farà scuola né lascerà eredi, avrà sempre più postulanti che amici perché sa solo usare i compagni di viaggio per poi lasciarli da parte e nel momento inevitabile dell’eclissi si ritroverà solo con se stesso e dimenticato. Chi lo rimprovera ignora i precedenti illustri, ma soprattutto (e qui sta il punto!) pensa ad un agire politico inesistente, perché la politica può ammettere convergenze, compromessi, ostaggi, ricatti, certamente corruzione, ma non ammette amicizie, mai! Chi lo pensa è un idealista, cioè un ottimista disinformato dei fatti.

Si potrebbe fare di più e meglio? Domanda sbagliata perché “se e ma” non ammettono varianti reali, ma solo la nostalgica incomprensione e la marginalità politica. Poi, sarebbe ingeneroso nei confronti del primo ministro in carica, il quale ha ereditato un Paese in bilico e ha di fronte problemi parecchio complicati.  Credo non resti che dargli corda, non per augurargli che vi si impicchi ( i primi a penzolare saremmo noi), ma perché, magari senza volerlo, combini qualcosa di buono. E’ giovane, ardito e ha fortuna,pare.

 

 

 

 

 

 

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