SCARAFFIA

SCARAFFIA

 

 

Lucetta Scaraffia, la scrittrice: «Le donne per il Vaticano non esistono. La pedofilia? La Chiesa non ha mai affrontato la rivoluzione sessuale

Dopo il summit sulla pedofilia in Vaticano del febbraio scorso, le polemiche sul congresso mondiale sulla famiglia di domenica a Verona, ecco un’altra notizia che agita il mondo cattolico: la fondatrice della rivista femminile vaticana, l’inserto mensile dell’Osservatore Romano “Donne Chiesa Mondo”, Lucetta Scaraffia e il suo staff si sono dimessi dopo quella che dicono essere una campagna vaticana per screditarli e metterli “sotto il controllo diretto degli uomini”. In questo clima è interessante riproporre questa intervista a Lucetta Scaraffia, apparsa pochi mesi fa sul Corriere della Sera.

Al cancello della casa di vacanza, a Todi, è murata una piastrella che le ha regalato il regista Pupi Avati: «Vocatus atque non vocatus Deus aderit». Sono le parole dell’oracolo di Delfi — «Chiamato o non chiamato Dio verrà» — che Carl Gustav Jung fece scolpire sull’architrave della sua dimora di Küsnacht, leggibili anche sulla tomba dello psichiatra svizzero.

Nella vita di Lucetta Scaraffia, storica e scrittrice, Dio venne una domenica di marzo. «Vidi una folla radunata davanti a Santa Maria in Trastevere per il ritorno di un’icona della Madonna. Entrai. All’udire l’akathistos bizantino, l’antico inno dedicato alla Madre dell’altissimo, fui invasa dalla luce. Capii che Lui c’era». Benché non credente dal 1965 al 1985, non si può dire che quello sia stato il primo incontro con Dio: a 12 anni Scaraffia recitava dieci avemarie al giorno per non diventare suora e pregava Gesù per la conversione della zia Angela, una comunista che era stata l’amante di Gaetano Salvemini.

Ex atea, ex marxista, ex sessantottina, oggi è l’editorialista di punta dell’osservatore Romano e ne dirige il mensile Donne Chiesa Mondo. Si sussurra che papa Francesco presti molta attenzione alle opinioni della studiosa, spesso riprese da New York Times, Monde, Figaro, Libération. Elizabeth Barber, inviata del New Yorker, ha trascorso una settimana a casa sua per dedicarle un ritratto.Sposata con lo storico Ernesto Galli della Loggia, è fra le poche italiane che la Francia ha insignito del titolo di ufficiale della Legion d’onore

Chi è? Lucia Scaraffia è nata a Torino il 23 giugno 1948. Madre cattolica, padre massone. A 2 anni pretese di farsi chiamare Lucetta. Al liceo Parini di Milano era in classe con Claudia Beltramo Ceppi (caso «La Zanzara»). Nel 1969 diventò femminista. Ha insegnato storia contemporanea alla Sapienza di Roma. Dirige il mensile «Donne Chiesa Mondo» che esce con «L’osservatore Romano». Dal 2007 nel Comitato nazionale di bioetica. Autrice di una trentina di saggi, fra cui «Due in una carne» (Laterza), con Margherita Pelaja, su Chiesa e sessualità, e «Per una storia dell’eugenetica» (Morcelliana)

«La Croix» l’ha definita «la “féministe” du Vatican». Si riconosce?

«Non mi risulta che ce ne siano altre».

È ancora femminista?

«Certo, specie frequentando la Chiesa».

Luci e ombre del femminismo?

«Ha fatto sentire forti le donne. Ha sottovalutato la maternità».

Chi l’ha introdotta in Vaticano?

«Il direttore dell’osservatore Romano, Giovanni Maria Vian. Ci conosciamo da quasi trent’anni. Eravamo fra i pochi docenti cattolici dell’allora facoltà di Lettere della Sapienza».

Vian la assunse di testa sua?

«Seguì un’indicazione datagli da Benedetto XVI nel 2007, all’atto di nominarlo: “Vorrei più firme femminili”».

Chi vigila sull’ortodossia del mensile «Donne Chiesa Mondo»?

«Eeeh!». (Sospiro). «Tutti e nessuno. In Vaticano ci sono persino alcuni che fingono di non leggerlo. Non figuro nell’annuario pontificio. Il mio confessore, un gesuita, mi ha rincuorato: “Meglio così. Se fosse una carica istituzionale, brigherebbero per fregartela”».

La pagano, almeno?

«Solo per gli articoli che scrivo».

Ma le donne come sono viste al di là delle Mura leonine?

«Non sono viste. Non esistono».

Con le suore ridotte a colf per i preti?

«Già. Devono persino difendere le loro case generalizie dai vescovi, che vorrebbero portargliele via. Spesso si fanno aiutare dalle consorelle al servizio di alti prelati. La Chiesa funziona per protettorati. Vale anche per i sacerdoti».

È favorevole al sacerdozio femminile?

«No. L’uguaglianza si rivela nella differenza. E l’unica istituzione che può testimoniarlo è la Chiesa, perché siamo tutti figli di Dio e per questo tutti uguali».

Si sente una Giovanna d’arco, come la dipinse «Il Foglio»?

«Preferisco Caterina da Siena. A Roma prego sulla sua tomba, in Santa Maria della Minerva. Aiutami tu, la supplico».

Ha avuto occasione di confrontarsi con papa Bergoglio, qualche volta?

«Non mi pare corretto parlarne».

Mi sa che le tocca farlo, invece.

«Gli avevo mandato l’edizione spagnola del saggio Dall’ultimo banco, che ho scritto per Marsilio. Un giorno sono a un convegno della Congregazione per la dottrina della fede. Squilla il cellulare. Mi ordinano di spegnerlo, ma io rispondo lo stesso. “Sono papa Francesco. Volevo ringraziarla per il libro. Mi è piaciuto molto”. Balbetto: Santità, sono troppo emozionata… “Stia tranquilla. Dov’è in questo momento?”. Gli spiego dove mi trovo. E lui: “Porti a tutti i miei auguri di buon lavoro e dica loro di comprare e leggere il suo libro”».

Ma davvero al sinodo sulla famiglia l’hanno confinata nell’ultimo banco?

«Altroché. L’ultimo di una trentina di file. Accanto a me, alcuni coniugi invitati dal Vaticano. Poveri, con 12 figli, felici. Ma quando mai? Nella vita reale non è così! Alzano gli occhi al cielo… Buoni e finti. Coppie ammaestrate, con il marito a comandare. Non le sopporto».

Perché l’«amoris laetitia» di papa Francesco scaturita da due sinodi sulla famiglia ha suscitato i dubbi di quattro cardinali e 45 studiosi cattolici?

«Perché applica la misericordia alla realtà. Brandire la morale come una legge inflessibile significa non tenere conto di quanta sofferenza c’è dietro i divorzi e le separazioni. Al sinodo tutti parlavano esclusivamente di padri, madri e figli. Non sanno che milioni di donne sono costrette ad allevarsi da sole la prole».

Nell’esortazione apostolica Francesco denuncia il «rifiuto ideologico delle differenze tra i sessi». Lei che cosa pensa delle teorie gender?

«Penso che sia arrivato il tempo profetizzato da Gilbert Keith Chesterton: “Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”. La Chiesa è costretta a difendere verità lapalissiane».

Amore coniugale e amore omosessuale a suo avviso sono equiparabili?

«No. Il secondo non prevede la procreazione, se non trafficando con uteri e gameti, e spezza la catena fra generazioni».

Ma la Chiesa non avrà un problema irrisolto con la corporeità?

«Io la vedo soffocata dalla teologia, che le impedisce di conoscere la vita. Come può parlare del corpo se ignora l’altra metà del genere umano?».

Nel clero allignano molti pedofili?

«Purtroppo. La Chiesa non ha mai affrontato la rivoluzione sessuale infiltratasi al suo interno. Tanti preti si sono convinti che la castità sia una repressione apportatrice di nevrosi, per guarire le quali tutto è ammesso».

Contro questa deriva, Francesco propone preghiera e digiuno. Non è poco?

«Legga bene la sua “Lettera al popolo di Dio”. Invoca anche “tolleranza zero” contro chi compie o copre questi delitti».

Lei ha scritto che le denunce dei mass media aiutano a far luce sugli abusi.

«Siamo arrivati a questo punto. Mi spiace moltissimo dirlo, ma per vie interne non si riesce a stroncare il fenomeno».

Le gerarchie coprono gli scandali.

«Ma anche i laici, intimiditi, spesso tacciono anziché rivolgersi alla polizia».

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico a Washington, ha invitato Francesco a dimettersi per aver coperto dal 2013 gli abusi sessuali su seminaristi compiuti dal cardinale Theodore Mccarrick, che a luglio il Papa ha privato della porpora.

«Provo un dolore profondo di fronte a simili vicende e mi chiedo perché monsignor Viganò si sia rivolto alla stampa soltanto dopo cinque anni».

Non ha la sensazione che il numero dei sacerdoti omosessuali sia elevato?

«Nettissima. Troppi diventano preti per paura di confrontarsi con le donne».

Ai gay che diritti riconosce?

«Accetto le unioni civili, ma non i matrimoni, le maternità surrogate e le adozioni».

Mi risulta che un cardinale volesse stilare un documento vaticano sui vestiti discinti delle ragazze di oggi.

«È vero. Parliamo di un fine giurista. Pensava che l’abito dovesse connotare la donna cattolica».

Tanti preti si sono convinti che la castità sia una repressione che genera nevrosi, per guarire le quali tutto diventa ammissibile

Anche lei vede in giro troppe nudità?

«Più che altro siamo stati anestetizzati dalla pornografia soft della pubblicità».

A 50 anni di distanza ha ancora un senso l’«humanae vitae» di Paolo VI?

«Eccome. La pillola rovina la salute. Tant’è che oggi le ragazze usano più volentieri i metodi naturali, senza sapere che obbediscono a un’enciclica papale».

Vi ricorrono anche prima di sposarsi.

«Le coppie arrivano ai corsi prematrimoniali già con figli, c’è poco da fare. La Chiesa non riesce a convincere i giovani delle sue buone ragioni. Infatti la migliore l’ho letta in un libro di Erri De Luca».

E quale sarebbe?

«La fedeltà coniugale richiede allenamento. Un po’ sportiva però efficace».

Il ministro Lorenzo Fontana vuole ridiscutere la legge 194. Ha torto?

«Penso che dopo 40 anni una revisione occorra. Ma l’equazione peccato uguale reato è antistorica. L’aborto entrò nei codici penali con Napoleone. E non per ragioni morali: per la coscrizione obbligatoria. Alla Francia servivano soldati».

In Italia si arriverà all’eutanasia?

«Temo di sì. È la conseguenza dell’accanimento terapeutico dettato dalla medicina difensiva per evitare le denunce presentate dai parenti dei malati».

E la Chiesa a quel punto si adeguerà?

«Mai! Però l’alimentazione artificiale è sbagliata, perché può prolungare vite senza speranza. Al contrario l’idratazione va garantita per evitare la sofferenza».

Come mai sull’«osservatore» criticò i trapianti di organo a cuore battente?

«Non accetto i criteri di morte cerebrale introdotti mezzo secolo fa dall’harvard Medical School, una convenzione medica bisognosa di verifica, che ha a che fare con i soldi. Esiste un mercato clandestino degli organi, lo sanno tutti. È giusta una pratica che lo incentiva?».

Lei accetterebbe di morire piuttosto che subire un trapianto?

«Sì. Ma per vigliaccheria: la vita dei trapiantati, imbottiti di farmaci immunosoppressori antirigetto, è un inferno».

E se l’organo servisse a un suo caro?

(Lungo silenzio). «Non so rispondere»

Articolo di Stefano Lorenzetto per il Corriere della Sera

CASPITA CHE FIMMINA!

CASPITA CHE FIMMINA!

UTERO IN AFFITTO E’ USARE LIBERAMENTE IL PROPRIO CORPO?- LA DONNA E’ EMANCIPATA PERCHE’ MASCOLINA?- LA MATERNITA’ E’ UN OSTACOLO ALL’AFFERMAZIONE PERSONALE?- LE DOMANDE SCOMODE DI UNA DONNA SCOMODA, LUCETTA SCARAFFIA.

 

Qualcuno, per liquidarlo, lo descriverà senz’ altro come un libro reazionario. In realtà il pamphlet La fine della madre (Neri Pozza, 160 pagine, 12,50 euro) di Lucetta Scaraffia – storica e celebre firma di testate autorevoli – è un testo rivoluzionario. Perché affronta di petto un argomento scottante, e perché sbriciola uno dopo l’ altra le imposizioni del politicamente corretto.

LUCETTA SCARAFFIA

Lucetta Scaraffia

Di solito si parla di evaporazione del padre. La «fine della madre» è un tema inedito.

«Ho cominciato a pensarci riflettendo sul fenomeno dell’ affitto dell’ utero, che è una cosa ripugnante. Molti Paesi la ritengono una cosa possibile e una parte delle femministe pensa che faccia parte del diritto delle donne a usare il proprio corpo. Mi ha molto spaventato capire a che punto di degrado dell’ idea di maternità siamo giunti. E mi sono detta: se siamo arrivati a questo, deve esserci stato un percorso».

LUCETTA SCARAFFIA - LA FINE DELLA MADREQuale percorso?

«L’ho rintracciato nell’ emancipazione femminile che si è affermata come mascolinizzazione della donna, come appiattimento della donna sul ruolo maschile. Non solo sul piano professionale, con la ricerca di affermazione e potere, ma anche sul piano sessuale. Negli anni Settanta l’obiettivo principale delle donne sembrava essere quello di controllare la propria fertilità, negando la possibilità della maternità. La maternità era considerata la negazione dell’affermazione personale».

In parte lo è.

«Sì, effettivamente lo è, se l’affermazione avviene attraverso il modello maschile. Quello che chiedevano le femministe erano anticoncezionali di ogni genere e tipo, purché fossero le donne a controllarli. E poi, ovviamente, dovevano chiedere l’aborto, per le situazioni in cui gli anticoncezionali non funzionavano. Sembrava che il movimento femminista avesse un solo obiettivo: rimuovere la maternità, che diventava un ostacolo all’ affermazione delle donne e dunque rendere le donne sempre più simili agli uomini».

IL FEMMINISMO DEGLI EMOTICON

Anche gli emoticon hanno immagini che richiamano la donna forte

Crede che questo sia stato un modo per creare individui «neutri», sempre disponibili al lavoro?

«Tutto questo ha reso le donne sempre disponibili al lavoro, è vero, ma anche al sesso. La rivoluzione sessuale non sarebbe potuta esistere senza anticoncezionali e diritto all’aborto, che hanno reso le donne sempre sessualmente disponibili, senza il pericolo che rimanessero incinte. Con la rivoluzione sessuale si è affermata una sessualità libera e senza impegno molto più aderente al modello maschile che a quello femminile».

le groupie si sentivano femministeA me sembra però che quella in cui viviamo sia una società, almeno in superficie, molto «materna». Lo Stato, per esempio, è una mamma che si preoccupa di che cosa mangiamo o fumiamo o beviamo.

«Qui però c’ è un tornaconto economico molto evidente. Lo Stato spende meno per l’assistenza sanitaria se le persone mangiano meglio. I casi che lei cita non sono questioni di maternage, ma di attenzione alle risorse. Materna è ogni esperienza di dedizione gratuita, e questa è una cosa che manca nella nostra società. Mi preoccupa molto: se anche le madri sono a pagamento, nessuno vive più l’esperienza totale di amore gratuito, che è l’unica che può farci capire qualcosa di Dio. La secolarizzazione nasce anche da questo».

Parlava, riguardo alla rivoluzione sessuale, di un modello maschile. Ma si è sviluppata anche secondo un modello omosessuale.

«Certo, perché per gli omosessuali la sessualità è solo ludica. E una volta che le donne sono tutte inibite a procreare, come lo sono oggi le giovani donne, anche per noi la sessualità diventa solo ludica: non c’è più differenze fra sessualità etero e omosessuale».

concerto lesbo femministaLa sessualità diviene un bene di consumo.

«Sì, un bene di consumo come un altro. A cui poi si allacciano altri beni di consumo di cui la nostra società vive: biancheria sexy, sex toys, appuntamenti sui social network, weekend romantici: c’è tutto un indotto di questo genere di cose. E poi ci sono le palestre, le cure di bellezza…».

Perché se si è sempre disponibili bisogna anche essere sempre performanti.

«Certo: devi essere magro, scattante, vestito in un certo modo. La sessualità è un grande mercato. C’ è ovviamente il mercato sessuale della prostituzione, ma al di là di questo c’ è pure un grande mercato indotto».

E poi c’ è il mercato dei figli.

«Ovvio. Perché i figli non vengono più, magari perché la donna si è scassata il sistema ormonale prendendo la pillola per vent’ anni o perché è in età troppo avanzata. Poi ci sono gli omosessuali che vogliono figli. Da qui il mercato».

mutandoni femministiMa perché le donne hanno così avversato la maternità? Una differenza per cui, tra l’altro, gli uomini hanno sempre avuto invidia.

«Certo che hanno avuto invidia. Perché la maternità ti mette in contatto con il mondo trascendente. È un miracolo che ancora oggi non abbiamo del tutto spiegato, anche se fabbrichiamo bambini in provetta. È un mistero, un contatto con il sovrannaturale che rende le donne miracolose rispetto agli uomini.

Ecco perché gli uomini sono sempre stati invidiosi, e hanno asservito le donne. Le hanno oppresse: pensavano, mortificando la loro potenza, di ristabilire un’ uguaglianza. E in qualche modo ci sono riusciti: oggi nel mondo capitalistico prevalgono successo e denaro, di cui beneficiano – in media – soprattutto gli uomini. Per avere successo, potere e denaro, le donne devono diventare come uomini. La donna ha rinunciato alla maternità per avere potere e denaro. E in parte lo ha anche avuto».

Nel dibattito recente sul caso Weinstein e sul caso Brizzi, però, non sembra emergere una donna mortificata. Anzi, si vedono figure femminili molto aggressive.

«Lei non è una donna, non sa cosa le donne devono e hanno dovuto sopportare. Io appartengo alla generazione di donne che per prime sono entrate in un mondo maschile come quello dell’ università. Ho dovuto subire molestie mostruose che non ho alcuna intenzione di denunciare. Tutte molestie vere.

Uomini impresentabili, che con il corteggiamento non avrebbero mai ottenuto nulla, cercavano di sopperire utilizzando il potere. Era una cosa diffusissima, forse oggi lo è un poco meno perché ci sono anche donne in posizioni di comando. Ma quando io sono entrata all’ università ero l’unica giovane donna in un ambiente maschile.

chanel sfilata con femministeCerto, io ero una femminista dura e pura e rispondevo per le rime, se necessario anche con le mani. Credo che quella che vediamo oggi sia, in parte, anche un’ esasperazione delle donne. Nel mondo dello spettacolo, poi, penso che le situazioni siano ancora più pesanti. Gli uomini sono sempre stati abituati a usare il potere e questo per le donne è vergognoso e umiliante. È una situazione orribile che va cancellata. Poi però c’ è un altro aspetto».

Ovvero?

femministe«Alcune donne, su questa situazione, hanno costruito delle carriere. Ci sono state donne, magari meno capaci, che sono passate davanti agli uomini, i quali non potevano andare a letto con il capo, e alle altre donne, che rifiutavano di andare a letto con il capo. Attorno al potere c’ è sempre una zona grigia».

Non crede che la rivoluzione sessuale abbia favorito questo sistema di potere?

«Sì, lo ha fatto. Perché ha tolto la vergogna. Quando un uomo di potere chiede a una donna dei favori, è più semplice accontentarlo. Perché, in fondo, egli chiede una prestazione che non vale nulla: per questo molte donne la prestazione la offrono. Così facendo non perdono più la loro dignità, come invece accadeva in passato. La rivoluzione sessuale ha reso più fattibile lo scambio. L’identità femminile – e io dico per fortuna – non è più legata esclusivamente al comportamento sessuale».

femministe 2Quali sono le conseguenze della «fine della madre»?

«Le conseguenze le soffrono soprattutto le giovani donne, che vorrebbero fare figli e non ci riescono. Per via del lavoro, certo. Ma anche perché non trovano uomini con cui farli. Gli uomini vivono un bengodi sessuale e non hanno l’ orologio biologico. Le donne lo hanno.

Ecco perché, oggi, è aumentato il divario fra uomini e donne che si voleva abolito. Per le donne è difficile trovare un padre per i loro figli. Gli uomini non hanno alcun interesse ad assumersi un compito di responsabilità. Hanno una vita sessuale senza responsabilità e senza sacrificio. Riguardo ai figli possono dire: aspettiamo ancora un po’. Le donne invece non possono aspettare».

Articolo di Francesco Borgonovo per “la Verità”

 

PRETE PEDO

PRETE PEDO

GIUSEPPE SCARAFFIA DEMOLISCE L’ULTIMO LIBRO DI WALTER SITI BRUCIARE TUTTO. “A parte l’erratica implausibilità della trama, è eresia pura — altro che fede o non fede cattolica — citare Flaubert o Dostoevskij o Hardy o Bernanos o Nabokov o perfino quel vero pedofilo di Gide (l’unico a fornire, in un racconto, Corydon, un possibile antecedente alla costruzione narrativa), che sono scrittori e hanno saputo riscattare con la scrittura le mediocrità e le frivolezze, le viziosità e le bassezze della natura umana”.

giuseppe scaraffia

Il critico Giuseppe Scaraffia

Il nuovo libro di Walter Siti, “Bruciare tutto”, Rizzoli, è la strana storia di un prete pedofilo che si dà fuoco per il rimorso di non avere abusato di un bambino di dieci anni che gli si è offerto e che, costernato dal suo rifiuto, si è a sua volta suicidato. Trama tanto poco verosimile quanto gremita di sentenze dal sentore ecclesiastico tanto superficiale quanto blasfemo (“Inculare un angioletto è il solo gesto rivoluzionario che si possa concepire oggi”, “Vedere nudo un ragazzino per toccare Te, mio Dio”, e via dicendo) e di spezzoni crudamente pornografici, specie nei passaggi che l’autore afferma di avere attinto al Deep Web.

Un libro in cui il protagonista sogna che Gesù “incarnandosi si è aperto il costato, si masturbava, ha pianto” e che alla fine allo stesso dio rimprovera con prosa ineffabile: “Sei un bastardo, te le fai tu le regole… muori o resusciti secondo come ti gira, ti lasci sputacchiare sapendo che cadrai sempre in piedi”.

WALTER SITI BRUCIARE TUTTOChe tuttavia una compatta tifoseria di recensori ha cercato di presentare come una raffinata riflessione filosofica se non addirittura teologica sul tema del male, della tentazione, della religione. Di cui Siti sostiene di non avere il dono, al contrario del suo personaggio. Il quale però è, dichiaratamente, anche il suo alias (“Don Leo c’est moi”, ha confidato, riecheggiando Flaubert).

E così via, in un crescendo di contraddizioni la cui goffaggine sarebbe trascurabile se da ogni angolo di giornale, sito o social non ci si fosse affannati a pagare al libro il tributo di attenzione cui probabilmente fin dall’inizio l’autore aspirava con l’ovvia scandalosità dell’argomento, la compiaciuta scabrosità della scrittura, gli svogliati spunti di denuncia buttati qua e là.

            Fin dall’inizio tutti gli opinionisti, affannosamente interpellati sul falso problema della maggiore o minore liceità di rappresentare in un libro la pedofilia o la tentazione pedofila, si sono giustamente trincerati dietro la necessità della critica di non rifarsi a categorie moralistiche ma di valutare l’arte letteraria di ogni opera, per quanto al primo impatto disgustosa. Ma il fatto è che il giudizio su cosa sia o non sia letteratura è affidato agli addetti ai lavori e questi ultimi, in Italia almeno, hanno abitudini peculiari.

WALTER SITI

L’autore del romanzo Walter Siti

            Sembra esserci, nella minuscola falda di sottobosco che a volte generosamente  si suole chiamare ambiente letterario italiano, una sorta di assicurazione che permette ai suoi tutelati di figurare degnamente in imprese editoriali senza correre il rischio di essere giudicati se non da un ristretto novero di periti di cui peraltro entrano contestualmente a far parte.

La generosità della copertura è talmente superiore al premio assicurativo — un po’ di obbedienza politica, rinuncia all’esplicita opinione personale nelle recensioni, gioco di gruppo nelle giurie dei premi, insomma piccoli oboli — da generare una fidelizzazione da polizza scudo.

Siti, che pure ha audacemente dichiarato di “non occuparsi del successo materiale dei suoi libri”, ma che ha purtuttavia ottenuto il premio Strega, cosa oggettivamente impossibile senza un minimo interesse per quanto sopra, fa parte di questo dinamico giro di relazioni pochissimo pericolose, anzi, tese a evitare a chi le coltiva gli infortuni del giudizio e della critica.

walter siti            L’anomalia si è però verificata proprio all’inizio di quello che sembrava essere il solito percorso del solito libro un po’ furbo, un po’ improbabile, scritto con un orecchio al cicaleccio dei forum tv e un occhio alla chiesa. Incredibilmente, è stato stroncato il giorno stesso della sua uscita in libreria e proprio dalle colonne del giornale più autorevole, politicamente corretto e generoso verso la letteratura scudata.

E’ stato questo il vero scandalo, che ha scatenato la danza di sdegnate reazioni difensive, che hanno confuso il lettore comune, il quale ha forse cominciato a credere di non capire nulla di letteratura.

Altrimenti, perché i critici avrebbero dovuto scrivere cose tanto complicate e contraddittorie? lodare del libro l’”energia artistica e visionaria” e la “mano magistrale” nel rappresentare la “lussureggiante foresta di scrupoli e ossessioni”,  attribuirgli l’enunciazione filosofica di “un paradosso etico classico: quale azione compiere se entrambe ci dannano”, facendo entrare il lettore “nelle temperature torride del ‘romanzo d’idee’” alla Dostoevskij, alla Gide, alla Thomas Hardy? sostenere che  l’autore è un “miscredente” ma nello stesso tempo non ha alcun intento blasfemo perché è “sempre tentato dall’incendio della fede”?

            A questo punto il lettore non si raccapezza più. Perché tutti negano che si tratti di un libro pedofilo, quando la scena più riuscita, a detta dell’autore per primo, è “l’atto d’amore” pedofilo tra il protagonista adulto e l’undicenne Massimo (“Forzo con l’imboccatura della bottiglia la muscolatura anale, rosa; la contrazione è incontrollabile, col conseguente rilassamento esce un liquido scuro”), definita da Siti “molto casta” e dai critici la più autentica? e quando poi, per la mancata consumazione di un ulteriore atto pedofilo, quello che il decenne Andrea reclama e il prete scrupoloso non concede, si suicidano in due, prete e bambino?

Walter Siti            Guai a dirlo. Perché la parola pedofilia, secondo Siti, non designa, come invece suggerirebbe il dizionario, l’atto sessuale tra un impubere e un adulto, bensì una generica “filìa”, ossia attrazione per i bambini. In pratica, per indicare la benevolenza divina verso tutto ciò che è umano Siti interpreterebbe la pedofilia come filantropia, parola usata anche nel vocabolario teologico.

Donde il grave dilemma: occorre rompere ogni tabù pur di affermare quello che i Frankie goes to Hollywood chiamavano il Potere dell’amore? Ovvio che no, e che quello che Siti finge di porre è un dilemma inesistente.

Messo alle strette in un’intervista, chiama incautamente in causa Freud e il suo concetto di “perversione polimorfa” infantile, ignorando o dimenticando che nella teoria freudiana dello sviluppo sessuale questa fase si riferisce alla costituzione della psiche precedente la genitalità e rischiando di far incorrere il lettore nell’equivoco più grave dei pedofili: interpretare la richiesta di un bambino nel linguaggio della sessualità adulta, incanalarla nel desiderio, farla diventare atto sessuato. Non tutti i tabù si possono rompere. Ci sarebbero anche l’infanticidio e l’antropofagia, allora, ma ci vuole la penna di Swift per avanzare quella “Modesta proposta”.

            Il punto è che Siti non è Swift, né somiglia ad alcun altro degli autori pomposamente evocati nella gara dei critici ad alzare il tiro così che la palla sfugga agli occhi del pubblico finendo in una zona dove la barriera della presunta alta cultura lo scoraggia a guardare. Ma non è così che funziona la letteratura. Lo scrittore scrive, il lettore legge, e deve poter giudicare senza che gli siano parate davanti intimidatorie barriere protettive.

         Alcuni dei critici hanno ricordato l’obbligo dell’artista di guardare nell’abisso. Ma se è vero che, come diceva Nietzsche, se guardi nell’abisso l’abisso guarderà in te, l’abisso su cui Siti si è chinato deve essere rimasto veramente deluso. A parte l’erratica implausibilità della trama, è eresia pura — altro che fede o non fede cattolica — citare Flaubert o Dostoevskij o Hardy o Bernanos o Nabokov o perfino quel vero pedofilo di Gide (l’unico a fornire, in un racconto, Corydon, un possibile antecedente alla costruzione narrativa), che sono scrittori e hanno saputo riscattare con la scrittura le mediocrità e le frivolezze, le viziosità e le bassezze della natura umana.

Non è certo il confronto con loro a riscattare le analoghe caratteristiche — mediocrità, frivolezza, viziosità, bassezza — che riscontriamo nella scrittura di Siti. Al contrario, le esaltano.

Articolo di Giuseppe Scaraffia per ”Il Messaggero

Contact Us