E’ IL TEMPO DELLA POP-ART ITALIANA

E’ IL TEMPO DELLA POP-ART ITALIANA

Un recente articolo apparso sul sito collezionedatiffany.com è dedicato alla rinascita di interesse dei collezionisti per le opere degli artisti che, negli anni del boom economico, diedero vita alla pop-art italiana. E’ l’occasione per ricordarne le storia e le idee e rivederne le opere, oramai quotatissime, che bene figurerebbero in una grande retrospettiva collettiva nazionale.

   

Salutata da Mario Ceroli come una ventata che «spazzò via la soffocante accademia informale che ancora imperversava in Europa», la Pop Art pur avendo indubbiamente un Dna anglo-americano trova radici in tempi precoci anche in Italia, come storicamente testimoniato dalla Biennale di Venezia del 1964. rotellaQuesta importante vetrina, che fa conoscere il fenomeno Pop all’Europa e che premia per la prima volta un artista americano quale Robert Rauschenberg, ospita infatti nel Padiglione Italia opere di artisti come Mimmo Rotella, Franco Angeli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Concetto Pozzati e Mario Schifano. Ma la Pop Art italiana, a differenza di quella inglese o americana, ha caratteri tutti suoi, è un’arte che potremmo definire della “dolce vita” o del “boom economico”, momenti cruciali nell’evoluzione della società e del costume italiano del XX secolo.

Mimmo Rotella, I comanceros

Mimmo Rotella, I comanceros

Se in generale in Europa l’ondata Pop corrisponde, infatti, a una messa in discussione di società, cultura, stili di vita e gerarchie dei valori estetici, tra le caratteristiche peculiari della Pop Art italiana emerge il rapporto irrinunciabile con la cultura alta, con l’arte e la sua storia.

Mario Schifani

Mario Schifani

«Un americano dipinge la Coca Cola come valore, per me  – dirà a tal proposito Tano Festa – Michelangelo è la stessa cosa nel senso che siamo in un paese dove invece di consumare cibi in scatola consumiamo la Gioconda sui cioccolatini». Mentre a New York la storia è chiusa in un museo, a Roma, Milano o Pistoia si incontra camminando per strada. Schifani operaL’interesse degli italiani ruota, quindi, intorno alle nuove immagini del contesto urbano e, contemporaneamente, a quelle della cultura tradizionale italiana. Anche per questo fino al 1962 nessuno cita il termine “pop” a proposito degli artisti italiani, poiché la confusione con la cultura bassa è sentita più come pericolo che come opportunità di scambio.

Mario Schifani:Le biciclette

Mario Schifani:Le biciclette

Gli italiani non riescono ad azzerare l’arte precedente e in generale il passato. La storia non è qualcosa di distante e sostituibile con l’attualità, ma è una continua presenza.

Enrico Baj

Enrico Baj

Precursori dell’ondata Pop che investirà la nostra Penisola sono Mimmo Rotella ed Enrico Baj che già tra il 1958 e il 1959 abbandonano le precedenti esperienze per dedicarsi a questo nuovo mondo di immagini. Il primo creando i suoi celebri decollages mentre le composizioni del secondo diventano lo slogan del kitsch contemporaneo.

Enrico Baj: il caporale

Enrico Baj: il caporale

Centri propulsori della “stagione” Pop made in Italy divengono, fin da subito, Roma, Milano e Pistoia. Nella capitale incontriamo gli artisti della cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo i cui maggiori rappresentanti sono Tano Festa, Mario Schifano, Franco Angeli

Tano Festa

Tano Festa

e Giosetta Fioroni che si riunivano al Caffè Rosati a Piazza del Popolo

Tano Festa: a livello del mare

Tano Festa: a livello del mare

o presso la Galleria della Tartaruga di Plinio de Martiis.

Fioroni: nascita di Venere

Fioroni: nascita di Venere

A questo primo nucleo si unirono presto nuovi artisti come Sergio Lombardo, Renato Mambor, Cesare Tacchi, Enrico Manera e Umberto Bignardi.

Accanto a questi nomi, va ricordato poi il gruppo milanese, vicino allo Studio Marconi – uno dei luoghi centrali di diffusione e affermazione della Pop nel nostro Paese, assieme alle storiche gallerie romane come La Tartaruga e La Salita – tra i quali spiccano i nomi di Valerio Adami, Emilio Tadini e Lucio Del Pezzo, autori di una Pop Art tesa a dialogare più con le coeve esperienze europee che con quelle americane.

Emilio Tadini

Emilio Tadini

E ancora la cosiddetta Scuola di Pistoia, che ha avuto la sua figura di punta in Gianni Ruffi autore di sculture come Intervallo del 1965, dove un televisore scolpito nel legno rievoca nello schermo una visione ideale della celebre immagine del Carosello.

Opera di Emilio Tadini

Opera di Emilio Tadini

Oltre a Ruffi il gruppo toscano ruotava, sostanzialmente, attorno ad altri due nomi; Roberto Barni e Umberto Buscioni, cui spesso si aggiunge il nome dell’architetto Adolfo Natalini.

Da ricordare, poi, figure anomale ma estremamente significative come quelle del toscano Alberto Moretti, del milanese Silvio Pasotti – autore di assemblage capaci di giocare ironicamente con il nuovo gusto “medio” italiano del tempo – e del bolognese Concetto Pozzati, tutti in diverso modo testimoni di un cambiamento fondamentale nella storia e nel costume dell’Italia del dopoguerra.

Domenico Gnoli

Domenico Gnoli

Accanto a questi nomi, unanimemente considerati protagonisti di questa stagione e di questo stile, ci sono poi autori che attraverso il linguaggio Pop sono passati solo per una breve stagione della loro vicenda creativa, ma che hanno contribuito a determinare le sorti e le immagini di questo periodo e di questa tendenza.

Domenico Gnoli, opera

Domenico Gnoli, opera

 

 

 

Si tratta di artisti come Domenico Gnoli, Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis, Aldo Mondino, Pino Pascali, artisti tra i più noti dell’arte italiana della seconda metà del secolo, le cui figure sono divenute, a loro volta, icone del mondo artistico contemporaneo.

 

 

 

 

 

 

GIOSETTA E LA POP-ART ROMANA

GIOSETTA E LA POP-ART ROMANA

MOMENTO MAGICO PER LA POP-ART ROMANA DEGLI ANNI ’60- VALE LA PENA DI RILEGGERE L’INTERVISTA A GIOSETTA FIORONI, UNA DELLA PROTAGONISTE DI QUEGLI ANNI. L’ANTIPATIA PER ELSA MORANTE, LO STRAZIO PER PASOLINI, L’AMICIZIA CON SANDRO PENNA. UNA SUPERBA TESTIMONE E UNA VALENTE PITTRICE CHE IL TEMPO SEMBRA SOLO SFIORARE. IN UN VIDEO IL RACCONTO SULLA SUA ARTE.

 

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Giosetta Fioroni per l’obiettivo di Marco Delogu

 

Articolo di Gianluigi Colin per “La Lettura – Il Corriere della Sera”11.11.2013

Goffredo Parise le ripeteva affettuosamente in dialetto veneto: «Giosetta se la fa e se la dise ». Ma Giosetta Fioroni, grande ragazza dell’arte italiana, quando parla della sua avventura fatta di colori, amori, tradimenti, dolori e passioni, non sembra affatto alimentare un’icona di se stessa, anzi. Sembra soffermarsi piuttosto sui dubbi, sulle complessità delle prove della vita: «Non è stato facile. Essere artista e donna. Avevo 25 anni. Avevo portato delle opere alla galleria di Carlo Cardazzo, allora una tra le più importanti in Italia.

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Galleria La Tartaruga Roma, anni ’60. Mostra di Mimmo Rotella (primo a sn.). Si riconoscono Tano Festa, Plinio de Martiis, Mario Schifano

Stavamo aspettando un collezionista e, quando arrivò, Carlo mostrò le mie opere appoggiate a terra. Io ero lì, intimidita, nascosta nella penombra. Ascoltavo la conversazione in silenzio. Il collezionista guardava incuriosito, sembrava davvero interessato, apprezzava il lavoro.

Poi, poi si soffermò sulla firma scandendo a tratti il mio nome: Gio , Gio , setta … chi è questa Giosetta? Un’artista bravissima, promettente, rispose il gallerista. Ma il collezionista lo bloccò subito: no, no, una donna no, poi si sposa, fa i figli, non dipinge più… No, non dà sicurezza… Questo è stato il mio primo contatto con il mondo dell’arte visto dagli uomini».

Giosetta Fioroni ricorda quel momento con distacco, quasi divertita, ma permane in lei un senso di amarezza: nonostante i suoi successi («Sono una donna fortunata, ho avuto molto dalla vita») sa che quell’esperienza racconta una verità difficile da rimuovere.

Elegante, una collana colorata, l’artista si muove nel suo silenzioso studio a pochi passi da Regina Coeli con la stessa leggerezza di quella bellissima ragazza che ha affascinato poeti, artisti, scrittori non solo per i suoi occhi luminosi e malinconici, ma anche per la sua determinazione nel seguire quella che considerava una vera vocazione: «Al liceo c’era una ragazza che improvvisamente dichiarò la sua conversione a Gesù. Anch’io ebbi, improvvisa e assoluta, una rivelazione simile. Da quel momento non ho concepito nient’altro che l’arte come unica possibilità di sopravvivenza».

Biennale 1964

Biennale Venezia 1964. Insieme alla Fioroni, G.T. Liverani, Tano Festa. Mario Schifani

Tensione per la sopravvivenza che assume la sostanza delle tele, dei colori argentei sulle carte, che diventa quasi carne nelle sculture presentate in questi giorni alla Galleria d’arte moderna e contemporanea di Roma con due inedite mostre («L’Argento» a cura di Claire Gilman e «Faïence» a cura di Angelandreina Rorro) che racchiudono stagioni importanti, quella che va dal 1960 al 1975 e quella del presente, dal 1993 a oggi.

Tensione confermata anche da un bel volume edito da Corraini che già nel titolo dichiara il senso del contenuto: My story . E della «sua storia» Giosetta Fioroni parla con dolcezza, quasi sottovoce, ma nel tono c’è insieme passione e fermezza, leggerezza mista a un dolore che ogni tanto riaffiora e appare insostenibile.

Lei che è stata compagna di una vita di Goffredo Parise («È morto a 56 anni con le sue mani tra le mie») sembra aver mutuato dall’autore de Il prete bello un modo rigoroso, ironico, profondo e disincantato di vedere il mondo: sceglie con cura le parole quasi a costruire un proprio sillabario esistenziale, ricordando la stagione che l’ha vista allieva di Toti Scialoja e compagna di viaggio di Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli.

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Giosetta Fioroni: La maison du peintre

Erano i ragazzi della Scuola di piazza del Popolo animati da una forza vitale potentissima, ma anche da una pulsione autodistruttiva che la giovane Giosetta non ha mai condiviso: «Trovavo la vita già complessa, non ho mai usato droghe, qualche spinello magari, ma su di me aveva solo un effetto calmante». E aggiunge: «Mario usava cocaina. E quando gli venne un infarto gli dissi quasi implorandolo: smetti, ti verrà un coccolone. Non è servito a niente». Non a caso, la sua arte appare più poetica dei suoi compagni di viaggio: un racconto in cui le tensioni del mondo femminile trovano forma in un dialogo tra pubblico e privato, tra visione intima e dimensione collettiva.

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Giosetta Fioroni: Liberty viennese, smalti colorati su tela

Nella sua pittura c’è sempre un richiamo alla speranza, all’idea di bellezza come promessa di salvezza. E anche il suo studio riporta a quest’idea utopica: appare come uno spazio sospeso nel tempo, qua e là opere recenti e pezzi storici. Intorno, tra pennelli e colori, un insieme di manifesti, ritagli di giornali, foto di Parise, schizzi, fotografie di amici: su tutto, isolato, un ritratto di Mario Dondero («Mario ha il dono della grazia, che uomo speciale»). Certo, di incontri Giosetta ne ha fatti tanti: in una foto con un giovane Cy Twombly, lei, capelli cortissimi, gli è accanto, seduta su una poltroncina, quasi stupita di essere al centro di un’avventura artistica che aveva in Roma un centro di gravità internazionale.

In quella Roma, benché di passaggio, c’erano personaggi come Duchamp: «Per un anno fu ospite di Gianfranco Baruchello e passava i pomeriggi alla galleria La Tartaruga . Ero stupita di una cosa: quando qualcuno si avvicinava a lui, cercando di presentargli un progetto o semplicemente per parlargli d’arte, sul suo volto si manifestava subito una smorfia. Non riusciva a nasconderla, non parlava più ed emetteva una specie di grugnito. Si illuminava soltanto se giocava a scacchi». E allora Giosetta Fioroni mima divertita la faccia di Duchamp: piega le labbra, arriccia il naso come se un cattivo odore aleggiasse intorno. Poi ride.

Quadro Fioroni

Opera di Giosetta Fioroni

In quella Roma approdavano gli americani: «Eravamo a Fregene e c’era Rothko con moglie e figlia. Tre obesi. Grassissimi e timidissimi». Se c’è una cosa che colpisce di Giosetta Fioroni è come ogni percorso della memoria sia ricondotto all’interno di una esperienza estetica. Forse anche per questo è rimasta nella capitale: «Il cambiamento di colore delle foglie d’autunno lungo il Tevere è indimenticabile». Quattro anni a Parigi, dal 1959 al 1963, non le hanno fatto cambiare idea. E neanche gli Stati Uniti: «No, l’America è a basso regime estetico».

La sua era una Roma animata da poche amiche («con Elsa Morante avevamo un’istintiva e reciproca antipatia»), tantomeno cercava la complicità delle artiste («francamente non ce n’erano e poi, forse, ho sempre preferito l’amicizia degli uomini») e aveva soprattutto un’ammirazione per scrittori e poeti. Tra questi, l’amato Paul Celan, Andrea Zanzotto, Sandro Penna: nel ricordare quest’ultimo, cita sottovoce due suoi versi quasi fossero il simulacro di un universo intimo, nascosto:«Io vivere vorrei addormentato/ entro il dolce rumore della vita».

Foto-fioroni di Delogu

Giosetta Fioroni in una foto di Marco Delogu

Di lui ricorda con affetto il pessimo profumo, i suoi vestiti eccentrici e gli scherzi un po’ goliardici che gli faceva Parise: «Goffredo lo inseguiva quando andava con la sua biciclettina a cercare uomini lungo il Tevere. Gli diceva: “Allora, hai combinato stasera?” E lui si rivolgeva a me dicendomi: “Senti Giosetta, portamelo via, portamelo via…” Era molto spiritoso».

Pier Paolo Pasolini. «L’ho incontrato poche volte, era amico soprattutto di Goffredo: lo apprezzavo come poeta, ma c’era qualcosa in lui che mi teneva lontana. Ci davamo del lei. Era il 1975 e uscimmo a cena noi tre. La mattina dopo Goffredo e io saremmo partiti per New York. Ricordo ancora com’era vestito, quei jeans aderenti che segnavano il suo corpo magro, il rumore sinistro degli stivaletti di coccodrillo.

Si tingeva i capelli e ormai, a furia di tingerli, erano completamente divorati, come stoppa dipinta: “Adesso vado a battere”, ci disse e, di fronte alle nostre domande sulle aggressioni che aveva subito, si tolse il giubbino e sotto la maglietta ci fece vedere una lunga cicatrice provocata da un colpo di cacciavite. “Non vada Pier Paolo, non vada”, dissi forse con una dose di ingenuità. Quando Pier Paolo uscì di casa, Goffredo era esterrefatto e mi disse: “Lo ammazzeranno”. Dopo due mesi fu assassinato».

Giosetta Fioroni riavvolge i fili di quella disperata memoria: «È morto di omosessualità, era la sua religione, la sua vocazione. Ha scritto delle bellissime poesie, gli ho dedicato una scultura con un verso dedicato alla madre: “È dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia” . È stato una figura straziante, cristologica».

Il tempo sembra aver accarezzato Giosetta senza toccarla. Sicuramente non ha sfiorato lo spirito che ha animato il lavoro di una vita. Con la volontà di spiegare il senso della sua ricerca prende le distanze dalla Pop Art rivendicando una forte matrice nella cultura europea: «La mia arte è ancorata alla storia dell’arte, alla tradizione. Nei miei quadri c’è la manualità della pittura, il legame a uno spazio metafisico. È una pittura volutamente a-ideologica.Fioroni davanti sua opera

Soprattutto, inseguo un racconto, una narratività. Eravamo coetanei del Pop, ma profondamente lontani da quella cultura». Giosetta Fioroni si ferma, poi aggiunge con un sussurro: «Sono più vicina a Morandi che a Andy Warhol». Ma sorridendo e ricordando il suo amore che la prendeva in giro: «Goffredo mi diceva sempre: Giosetta è perfetta: se la fa e se la dise ».

 

 

 

 

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