Madre in affitto

Madre in affitto

MADRE IN AFFITTO: COMMERCIALIZZARE IL PROPRIO UTERO

Prof. Gianpaolo Donzelli, autore dell'articolo

Prof. Gianpaolo Donzelli, autore dell’articolo

NON E’ NE’ EQUO NE’ SOLIDALE. UN BIMBO CHE NASCE DA NOI

NON E’ MAI FIGLIO DI ALTRI- PUBBLICHIAMO LA FORTE PRESA

DI POSIZIONE DI GIANPAOLO DONZELLI NEONATOLOGO E

PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE MEYER DI FIRENZE.

 

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Proprio perché l’utero in affitto, come sbrigativamente si dice, è vietato dalla legge italiana, era scontato che, prima o dopo, la magistratura dovesse occuparsi di una genitorialità non genetica né biologica. E’ successo a Lucca, come su questo giornale (Repubblica Firenze n.d.r.) riferiva di recente Massimo Vanni. Il Tribunale dei minori di Firenze è stato chiamato a pronunciarsi per il reato di falsa attestazione di stato giuridico di due coniugi. Avvalendosi di una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il Tribunale fiorentino ha stabilito che due gemelli, avuti in Ucraina con l’utero in affitto e col materiale genetico del marito, potevano essere tenuti dalla madre non biologica, da considerarsi “madre sociale”. Forse vale la pena di riflettere sulla portata del fenomeno che abbiamo di fronte, ancorché esso oggi interessi i pochi italiani che si possono permettere l’esborso di somme rilevanti, che oscillano da 40 a 120 mila euro. Donna incintaLa definizione utero in affitto è intuitiva ma inappropriata e, per la gestante, una pratica che non esisto a definire umiliante, anche se non tutti la pensano così. Mettere al mondo un figlio -che sia o meno a pagamento poco importa- vuole dire per la gestante molto più di fungere da incubatrice per nove mesi. La gravidanza non è solo una pancia che cresce e un utero che si dilata. Essa segna l’avvio di una profonda trasformazione e di crisi nella donna. Dal concepimento in avanti, infatti, inizia nella gestante un processo profondo di cambiamento del corpo e del suo funzionamento. Il sistema osseo e muscolare, la respirazione, la quantità di sangue, il battito cardiaco, la cute e le mammelle, il fegato e l’intestino sono sottoposti ad una prova difficile per reggere una svolta irreversibile nel ciclo vitale, destinato a trasformare la stessa identità femminile, attraverso l’acquisizione e l’integrazione delle funzioni materne. Sono altresì noti i sintomi di ansia e di depressione che spesso caratterizzano, da un punto di vista neurologico, soprattutto i primi mesi di gestazione, in cui la madre ha verso il feto l’ambivalente sentimento di amore e rifiuto. Non voglio giudicare qui l’istinto materno e il desiderio profondo che può spingere una donna a chiedere ad un’altra di surrogarla, mettendo questa circostanza basilare fra parentesi, quasi fosse un mero fatto viscerale. Ognuno risponda alla sua coscienza. Voglio invece dire qualche cosa su chi si presta alla gestazione per conto. Un atto di tale portata, anche se nobilmente motivato, e verosimilmente non lo è quasi mai, non esaurisce i suoi effetti con la nascita, ma segna la vita della madre naturale per sempre, con profondi risvolti psicologici e etici. Nascita neonatoEcco perché ho prima definito umiliante la pratica dell’utero (rectius madre) in affitto. Non siamo di fronte a una cessione temporanea e occasionale del proprio corpo come si potrebbe credere, ma a qualcosa di molto più pervasivo e permanente. Se possiamo accogliere e imparare ad amare come figlio“ nostro” una creatura generata da altra donna, un figlio che nasce da noi, viceversa, non è mai altrui. Sarà sempre qualcosa che ci manca, un vuoto che non riusciamo a colmare. Quali potranno essere i sentimenti verso una vita che abbiamo accondisceso a dare e che ci verrà strappata per mutuo consenso? Quale il rapporto di noi stesse con il nostro corpo, trasformato in una macchina generatrice? Sono domande difficili che non tollerano risposte liquidatorie o superficiali, ma che non devono sparire dal nostro orizzonte etico, solo perché la tecnologia medica ci consente questa possibilità generativa. La commercializzazione della capacità riproduttiva non è mai una passeggiata, e non possiamo definirla nemmeno uno scambio equo e solidale. Non è equo in quanto la donna surrogata, scelta giovane e sana, è sovente inesperta, spesso povera, in posizione di evidente svantaggio. In quanto alla solidarietà essa è da escludere, trattandosi spesso di donne segnalate da agenzie prontamente collocatesi su questa nuova frontiera del business. In queste condizioni il pericolo di una mercificazione del corpo della donna è più che una eventualità. Non sorprendono quindi le prese di posizione di note femministe, contrarie all’utero in affitto. Così come non meraviglia che alcune madri surrogate, in un momento di resipiscenza, pretendano poi di tenere il neonato per sé, negandolo ai committenti. Per chiudere una domanda a coloro che intendono avvalersi di questa pratica: se il vincolo del sangue è attenuato per impedimenti oggettivi e valgono di più per loro le ragioni del cuore e l’affetto verso il bambino, perché non scegliere un orfano o un bimbo abbandonato? Uno, (quello surrogato) è più “mio” dell’altro (quello adottato)?  Immaginiamo, se potessimo, di chiederlo a  loro: le risposte sarebbero differenti?

Articolo apparso su La Repubblica fiorentina del 18 febbraio 2016

 

https://www.youtube.com/watch?v=6ffCkql1rLo

 

 

 

 

 

 

La felicità di  Dolce & Gabbana

La felicità di Dolce & Gabbana

“Solitario, confuso sessualmente, troppo libero per dare felicità”. E’ la risposta che lo stilista Gabbana (che parlava anche per il compagno Dolce) dà in un’intervista a un giornale, a proposito di famiglia, adozioni, procreazione assistita, ecc. La domanda era: “come vede il futuro?”.  E’ l’ultima parte della frase, quel “troppo libero per dare felicità” che mi ha colpito.

Si è sempre sostenuto che la libertà senza limiti sconfina in arbitrio e dispotismo, quindi nel suo contrario. Lo stesso vale per la felicità? Nessuno può ragionevolmente sostenere che il fine dell’esistenza (quella terrena;  per l’altra, se c’è, è un altro paio di maniche) non sia la felicità, cioè appagamento, realizzazioni dei desideri, ora e per sempre. La relatività di spazio e tempo hanno posto una base “scientifica” a questa pretesa, dando all’esistenza una  libertà senza confini o limiti. Ma l’uomo è finito, quello occidentale poi è non analogico e non riesce che a concepirsi come una parte del tutto e, perciò stesso, limitato, circoscritto, transeunte. Dunque, la felicità va cercata nel piccolo, nell’insignificante, nell’irrilevante? Va cercata nei vincoli e legami e protetta da confini, poiché oltre non c’è memoria ma oblio, non c’è normalità ma follia, non c’è vita ma morte?

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