“Crede in Dio?”, chiede l’intervistatore.“Difficile rispondere”… un sorriso indefinibile, un’espressione quasi ilare attraversano per un istante il volto di Carl Gustav Jung. “Non ho bisogno di credere, lo so!”E’ la sua ultima intervista, anno 1959, due anni prima della morte, siamo a Küsnacht, piccolo paese affacciato sul lago di Zurigo.
Sento molto vera questa risposta, in fondo la fede è una qualità così intima e peculiare che non necessita di prove. L’ateo, alla fine, non è altro che un una persona che pretende di misurare ciò che non ha peso o misura, che è fuori dal tempo e dello spazio, che rifugge a ogni argomentazione e a ogni logica raziocinante. Usa strumenti inappropriati, e dove li cerca? Nel luogo sbagliato: fuori di sé.Spesso rileggo queste parole, le ha scritte un inesauribile amico di Dio, Ernesto Olivero, fondatore del Sermig a Torino, che Dio ha saputo dove cercarlo:
Diversamente gli agnostici, quando non risolvono tutto con un’alzata di spalle, più che dai dubbi esistenziali paiono affogare nella noia di una ricerca che nasce e muore nel cervello, senza dare nessun frutto, un gesto, una parola. La vita una sinapsi? I sentimenti, la coscienza solo segnali elettrici o biochimici?
L’antropologia che si esaurisce impoverendo la storia umana ai soli istinti, alle pulsioni irrazionali, che sfociano inevitabilmente nella violenza e nel male, è stato un altro degli argomenti affrontati da Jung nella sua intervista.Non trovando la fede si aprono per l’ateo o l’agnostico gli assilli di sempre, le eterne domande senza risposta: cos’è la vita, perché la morte, perché il male? La posizione di Jung è netta: “il vero pericolo per l’uomo è l’uomo stesso.
Noi siamo all’origine di tutto il male che viene.”
Per quanto attiene alla vita dopo la morte, riflettendo sulle facoltà peculiari della psiche da lui tanto tempo indagate, Jung si dice convinto che tali qualità non possono essere confinate nel tempo e nello spazio, cioè nella sola dimensione corporea. Esiste una esistenza che non è solo fisica, bensì psichica, che non cessa con la morte.
Questa idea della esistenza psichica richiama sorprendentemente quanto scrive oggi Federico Faggin, il fisico vicentino inventore del microprocessore che dà inizio all’era digitale. Faggin sostiene che la coscienza è un fenomeno quantistico e che, in quanto tale, non risponde alle leggi della fisica classica. Le caratteristiche del nostro corpo e quelle della coscienza come relazione col mondo sono tali che solo la fisica quantistica, che disciplina l’infinitamente piccolo, può spiegare. La coscienza è posta da Faggin a fondamento della conoscenza e quest’ultima è necessaria per avere fede. Come esperienza cosciente conoscibile solo da dentro la spiritualità appartiene a “noi e al tutto” contemporaneamente, in ciò preesistendo e permanendo oltre al corpo.
Ma, per una più chiara e esaustiva comprensione del lettore, in basso sono riprodotti due video. Il primo è l’ultima intervista a Jung, il secondo la conferenza tenuta da Faggin al Festival scienza e filosofia nell’aprile del 2024.