MONGOLIA

9 Feb 2022 | 0 commenti

Per millenni i pastori nomadi mongoli hanno vagato attraverso il territorio, seguendo le stagioni. D’estate sostando vicino ad un fiume, nella pianura asciutta e ventosa. D’inverno al riparo dei venti, sulle colline o a ridosso della montagne. I pascoli sono da sempre considerati beni pubblici. Nella Mongolia, in un territorio grande come l’Europa, vivono diciassette etnie, ognuna con propria lingua, usi e costumi. Le forti tradizioni e l’isolamento che scandiscono la vita nomade ne hanno preservato la cultura, lo stile di vita, mantenendo intatta l’intima connessione e l’armonica convivenza fra uomo e natura, come traspare dalle foto che pubblico.

La familiarità e l’intimità fra essere umano e animali denota in questi popoli che il reciproco affidamento non è soltanto più necessario per il reciproco sostentamento, ma mostra i segni di una consuetudine secolare così radicale da annullare qualsiasi dualismo, o paura, o alterità, inconsapevole o meno. Istintivamente l’animale si abbandona nella mani della bimba o della ragazza, come farebbe con la madre. La bimba l’abbraccia con l’affetto e la fiducia che si avrebbe con un fratello, mentre intorno aleggia una serena armonia, se non l’abbandono fiducioso del sonno.

Potrebbe sembrare il monumento della Valchiria a cavallo di una renna. Lei maestosa, con la sua espressione indurita; l’animale col suo maestoso ramificare di corna. Fanno parte, in tutto e per tutto, dell’ambiente che li circonda.( https://it.wikipedia.org/wiki/La_Valchiria ).

Il freddo e la fatica non spaventano questo ragazzo che guida orgoglioso le sue renne. Gli adulti sono lontani, avvolti in un turbinio di tormenta, la strada è rivelata ddall’intuito dei sensi, magari dal profilo di una montagna, dal baluginio dietro una cresta. Ma la guida resta sicura, il volto sorridente, la certezza della meta riscalda le gambe e insieme anche il cuore.

“Sono rimasti in duecentotrentacinque: gli uomini renna si nascondono nelle foreste tra la Mongolia settentrionale e la Repubblica di Tuva, all’estremità della Siberia, in un territorio di centomila chilometri quadrati. Si spostano in continuazione, tra i 1800 e i 3500 metri di quota dei Monti Sayan, 510 parallelo, 99° meridiano, trascinati dai ritmi dolci e feroci della natura lungo invisibili itinerari costellati dalla presenza degli spiriti. Solo grazie all’intima alleanza con un migliaio di renne, la vita – la sopravvivenza – è ancora possibile in questo brandello crudele di pianeta.” Tratto dal libro di Federico Pistone: Tsaatan Uomini Renna

La famiglia

L’orgoglio traspare dallo sguardo del cacciatore, anche quando è ancora ragazzo, forse ancora inesperto, così la forza, insieme brutale e leggera, com’è il volo di un’aquila reale. Anche in questo caso la simbiosi è totale, incondizionato il rispetto reciproco: l’animale è unito all’uomo, mite nel suo addestramento, ma anche libero: se quel giorno l’aquila non vuole cacciare, ebbene si rispetta la sua volontà. L’aquila è mostrata, insieme alla preda che giace ai piedi del cacciatore, come una cosa tra le più care, il simbolo della emancipazione, della supremazia. L’aprirsi delle ali e il librarsi nel cielo è un urlo di libertà, senza confini, l’avverarsi di una promessa di una nuova vita. Secondo la tradizione religiosa, alla morte, il corpo umano (la prima anima) viene lasciato insepolto e abbandonato; le altre due anime (Atma, anima divina e Buddhi, l’anima spirito) appaiono qui in procinto di reincarnarsi, in quel battito di ali maestoso e divino. E’ il mito che ritorna, quello della Biga Alata illustrato nel Fedro da Platone. 

“Gli uccelli più utilizzati sono le aquile reali, tra l’altro particolarmente difficili da addestrare e da gestire. Oggi, circa 300 persone hanno forgiato un legame unico e profondo con i loro compagni rapaci, lavorando con abilità al loro fianco per cacciare volpi e lepri. Le aquile nascono in natura. I cacciatori li catturano quando hanno quattro anni, arrampicandosi su rupi pericolose per prenderle dai nidi e portarle a casa. Anche se inizia in un modo così brusco, il legame tra umano e aquila diventa giorno dopo giorno più inteso. I rapaci vengono tenuti in casa e nutriti direttamente dai palmi delle mani. La temperature delle montagne della Mongolia può raggiungere i -40°C, e la cura e il comfort delle aquile è molto importante per i cacciatori.
Abbastanza potenti da abbattere animali 10 volte il loro peso, inclusi anche cervi e, a volte, i lupi, le aquile non diventano mai davvero animali domestici. Nei giorni in cui non hanno voglia di cacciare, gli addestratori rispettano il loro desiderio di riposo. ” Tratto dal sito Wonews.it

Nella vita quotidiana, le solite cure, le faccende da sbrigare, secondo quanto dispone la divisione de ruoli, la disciplina della casa, la familiarità intrusiva della renna non disturba. Poi non può mancare la musica, in preparazione delle feste religiose o dei riti sciamanici intorno all’Ovoo, il cumulo di pietre, ricoperto di rami o stracci, elevato ad altare. Il Morin Khuur è lo strumento più diffuso, ha due corde, mosse con l’archetto. In mongolo la parola morin significa cavallo. Infatti è proprio il riccio a forma di testa di cavallo la caratteristica che permette di individuare immediatamente lo strumento tra gli altri.

I nomadi hanno per casa una struttura fatta con pareti smontabili, soffitto sferico, coperto di teli o feltri, perfettamente isolata, spesso alimentata con energia eolica o solare. Ecco la Gher o Yurta, come viene chiamata nel nord-ovest della Mongolia, verso i confini con la Cina. Lo sua esistenza è antichissima e viene testimoniata da Erodoto (400 a.c.). Alberto Moravia nel 1976 compie un viaggio in quelle terre. Nel suo reportage scrive: ” Ogni tanto tra quelle colline che sembrano, così verdi e calve, dei cocomeri posati sul bilico ai due lati della valle, ecco, si apre uno slargo o gola..e vedo una o due tende rotonde, bianche della forma di enormi torte nuziali, oppure addirittura venti o trenta tende simili”. La porta della Gher è sempre orientata a sud, per prendere il sole e evitare il forte vento che soffia da nord. L’impatto ambientale è pari a zero. Una volta smontata, a terra non rimane nessuno scarto o rifiuto.

Naadam significa giochi. Tre i principali: corsa dei cavalli, tiro con l’arco, lotta a corpo libero. Nel confronto fra cavalieri, arcieri e lottatori si rievocano le gesta del mitico Chinggis Kha.

Lo sciamanesimo, conosciuto anche come Tengerismo, si tramanda da tempi preistorici ed esiste ancora nelle steppe dell’Eurasia, in particolare, in Mongolia. Da quei tempi antichi, pastori e cacciatori adorano la Madre Terra (Etugan), e il Cielo Eterno, vale a dire Munkh Tenger, insieme ad altri spiriti della natura e dei loro antenati. Una tradizionale sessione sciamanica è un insieme di rituali musicali e danzanti. In Mongolia, diverse regioni continuano a praticare lo sciamanismo, anche dopo la passata repressione comunista. Lo sciamano ricopre il ruolo più importante del villaggio in quanto egli è consigliere spirituale, da consultare prima di prendere qualsiasi decisione; guaritore, l’esperto di cure a base di erbe e piante officinali; il sommo sacerdote, in grado di mettersi in contatto con gli Spiriti; lo psicopompo, cioè colui che accompagna l’anima del defunto nelle regioni ultraterrene dopo la sua dipartita.

Le foto sono di Daniel Kordan e Hamid-Sardar Afkhami

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