David Bowie, nel ricordo di Carlo Verdone

12 Gen 2016 | 0 commenti

 

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Ho appena sentito alla radio che David Bowie è morto. Sono sconvolto, ho preso a telefonare agli amici per condividere un senso di smarrimento, di lutto. Venerdì scorso fa avevo preso quello che sarebbe stato il suo ultimo disci, “Blackstar”, e subito dopo postato su Facebook queste parole: «Buon week-end a tutti, oggi ho comprato il nuovo cd di David Bowie». Sapevo, da amici comuni nel mondo del rock, che stava molto male, ma non credevo fino a questo punto.

E tuttavia “Blackstar”, un titolo che suona come un oscuro presagio, un disco così ostico e non convenzionale, forse inciso sulla sua pelle, è un capolavoro, un testamento artistico, anche la testimonianza di come un artista così gigantesco abbia saputo fino all’ultimo rinnovarsi, qui forse, se posso dirlo, influenzato da Scott Walker, un musicista da molti considerato “minore”, non da Bowie, che gli aveva dedicato anche un documentario.?

Con la morte di Bowie si chiude davvero un’epoca: l’epoca dei grandi della musica rock. Di coloro che ci hanno accompagnato sin dagli anni Sessanta, la colonna sonora di molte generazioni. Era una rockstar, certo, capace di sconvolgerci con le sue trasformazioni estetiche, i suoi camuffamenti istrionici, i suoi alter-ego fantasiosi; ma anche un artiste fine e colto, sottile nell’inseguire i percorsi sotterranei della passione, a suo modo rivoluzionario. ?

Conservo tutti i suoi dischi, dico tutti, a partire da “David Bowie” del 1968, e spesso mi capitava di risentirli, specie “Aladdin Sane” e “Space Oddity”, ma anche “Hunky Dory” e “Heroes”.?L’avevo conosciuto personalmente a Milano, nel 1991, mentre giravo lì con Margherita Buy “Maledetto il giorno che l’ho incontrato”.

Fu Gianni Versace a invitarci a casa, dopo il concerto allo Smeraldo di Bowie e suoi Tin Machine. Lui era con la moglie somala Iman, fu subito gentile e disponibile. Ricordo che ci si mise a parlare di pittura, mio padre era un esperto di Futurismo e glielo dissi, lui rispose parlandomi di Prampolini, mica di Balla o Boccioni, i più famosi, io quasi non potevo crederci.

Diciamo la verità: quanti, nel mondo musicale italiano, conoscono Prampolini? Fu una serata felice. Uscendo da quella casa con Margherita ci mettemmo a canticchiare “Absolute Beginners”. Qualche anno dopo l’avrei rincontrato sul set del “Mio West” di Giovanni Veronesi, conservo ancora, con affetto, l’autografo sulla copertina di un suo disco.

Carlo Verdone per “il Secolo XIX”

 

https://www.youtube.com/watch?v=N4d7Wp9kKjA

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