Guerra o non guerra: questo è il problema? by Geppetto

17 Dic 2015 | 0 commenti

 

GeppettoSe dobbiamo giudicare dai fatti e dai guasti prodotti  quella in Medio Oriente è una guerra. Il Papa ha precisato che è “la terza guerra mondiale a pezzi”. Gli storici dicono che è in realtà la quarta, essendo la terza quella passata alla storia come “guerra fredda”. I generali parlano di guerra asimmetrica o atipica, alludendo alla disparità delle forze in campo e alle tattiche usate dai contendenti. Non siamo in guerra, dicono invece i nostri governati. E sotto fanno le corna. Il presidente Obama nega sia guerra e nega sia scontro di religioni. Dalla Casa bianca sembra, a volte, più che un pragmatico capo di stato, un santone ispirato. E noi qui a non capirci niente, a vivere nell’incertezza, come avvolti nella nebbia, cominciando ad aver paura. Come stanno le cose?

Possiamo prendere come criterio per raccapezzarci, un fatto incontestabile: dal mondo bipolare siamo passati a quello multipolare e la globalizzazione dei mercati ha prodotto la globalizzazione della violenza. Da qui voglio partire, da uomo della strada, per fare il mio ragionamento. Lo faccio, paradossalmente, partendo dalle conclusioni, poiché esse sono in grado di spiegare i giudizi divergenti che ho appena ricordati: la verità e che qui ognuno sta facendo la sua guerra, la chiama come gli fa comodo, si sceglie nemici o alleati, pretende di recitare tutte le parti in commedia, opziona modi di combattere intercambiabili al pari degli obiettivi tattici e strategici, asseriti o reali, i mezzi di propaganda e di reclutamento sembrano quelli di una multinazionale alla conquista dei mercati.  Solo un esempio fra i tanti può bastare. L’Arabia Saudita copre e sostiene Isis e nello stesso tempo sfida gli USA sul prezzo del petrolio e detiene il 20% della ricchezza statunitense. E non parliamo della Turchia! Questo stato di cose non è da oggi. Parecchi degli Stati che hanno reso il mondo incerto e violento, sono quelli che lamentano incertezze e conflitti, ma che da decenni continuando a fornire armi alla varie fazioni in lotta (Italia compresa). Passato il bipolarismo, i centri di potenza che l’ha sostituito hanno preso a lottare con qualunque mezzo per la spartizione dei profitti e il controllo di aree strategiche, a cominciare del Golfo e dal Medio Oriente. Basta ricordare le guerre sanguinose e fallimentari: nel 1991 il Kuwait, nel 2001 l’Afghanistan, nel 2003 l’Iraq,  e dopo la crisi economica  del 2008, Siria, Libia, Mali, Yemen.

Nel vuoto creato dalla contesa multipolare, si sono inseriti l’ISIS, il cui nucleo originario è composto in gran parte dai quadri del disciolto esercito iraniano di Saddam Hussein, la Russia e l’Iran che, dopo l’accordo con gli USA sul nucleare, guida il fronte sciita e quelle forze non statali a base religiosa, quali Hezbollah in Libano e Siria, Hamas nella striscia di Gaza, gli Houthi in Yemen.

Stati Uniti e Russia sembrano avere, ognuno per motivi suoi, interesse affinché la Siria non sia ridotta al caos libico, diventando la base operativa del terrorismo sunnita. L’intervento russo in Siria, che tanto ha galvanizzato i nostri “interventisti”, secondo una vecchia volpe come Henry Kissinger, è solo in superficie funzionale alla politica iraniana, in realtà Putin vorrebbe così allontanare il pericolo sunnita dai confini col Caucaso e dalle regioni mussulmane meridionali. Kissinger sul Wall Street Journal, giudica sbagliata la politica di “moderazione strategica” e neoisolazionista di Obama, che avrebbe portato alla disintegrazione del ruolo americano per la stabilizzazione dell’area medio orientale. Nello stesso tempo formula un piano per punti che non dovrebbe dispiacere all’Obama sentito nel discorso alla nazione dei primi di dicembre 2015. In sintesi dice Kissinger: 1) la distruzione dell’Isis è più urgente del rovesciamento in Siria di Bashar-al-Assad. 2) bisogna accettare il ruolo militare della Russia in Siria, per evitare che i territori in mano all’Isis siano riconquistati dagli sciiti collegati all’Iran. 3) le terre liberate dovrebbero essere consegnate al governo locale sunnita che dovrebbe impegnarsi per un assetto “federale”, con l’assenso degli Stati del Golfo, Egitto, Giordania e Turchia. 4) Bisogna premere per separare Mosca da Teheran e trattare con l’Iran affinché cessi l’espansionismo sciita. Quanto questo piano è realistico? Difficile dirlo, ma provare è sempre meglio che stare fermi.

Isis

La posizione di Barak Obama è diversa, ma è anche quella sbagliata? Troppo presto e superficialmente, a mio parere, è stata liquidata come debole, ondivaga, peggio priva di ogni prospettiva strategica. Difetto che sarebbe esiziale per un super potenza. Ma è così? Obama nel suo discorso si è fatto ispirare dalle parole degli eroi liberal americani: da John Dewey a John Rawls a Martin Luther King.

Parlando ai connazionali Obama, senza preannunciare un cambio di strategia, ha sostenuto con efficacia le proprie tesi e la giustezza delle proprie scelte. In sintesi:

1)Il Califfato è un nemico orrendo e insidioso, ma non è una seria minaccia al nostro modello di vita e ai suoi fondamenti illuministici e democratici; Quindi nessun cambio strategico, nessuna legge speciale, nessuna riforma antiterroristica. Le minacce vengono da un branco di “predoni e assassini… che aderiscono ad una interpretazione perversa dell’Islam”, e che non rappresentano niente se non una minoranza infinitesimale di un gruppo religioso largamente pacifico e desideroso di stare dentro la modernità aperta e pluralistica”.

2)Non dobbiamo farci trascinare una volta ancora in una lunga e costosa guerra di terra in Iraq e Siria. Questo è quello che Isis vuole. Sanno che non possono sconfiggerci sul campo di battaglia… Ma sanno anche, se occupiamo terre straniere, che potranno mantenere le rivolte per anni, uccidendo migliaia di soldati, prosciugando le nostre risorse e usando la nostra presenza per attirare nuove reclute”  Obama vuole evitare di posare gli anfibi (ndr: scarponi militari) americani sul terreno per non fomentare un movimento di reazione contro l’occupante occidentale in chiave anticolonialista.

Quindi guerra dai cieli supertecnologica, accompagnata da una intensa azione diplomatica, volta a creare una coalizione che non si limiti a liberare i territori assoggettati da Isis, ma metta insieme i pezzi di un mosaico di interessi che per essere composti devono venire alla luce del sole e risolti con realismo politico e col massimo risultato possibile di stabilità. Può sembrare una posizione riduttiva, poco o nulla calzante con l’immagine dell’America yankee, ma mi sembra di buon senso. Resta il fatto che, nel frattempo, le bombe continuano a piovere in testa a povera gente innocente. Non mi sembra un buon motivo per gettarsi a testa bassa nella mischia, semmai per moltiplicare gli sforzi, svegliando dal lungo letargo la comunità internazionale, a cominciare dall’ONU.

 

 

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