LA VERA MORALE DELLA POLITICA

5 Feb 2021 | 0 commenti

Compromessi, coraggio, umiltà, competenza. Il governo ideale secondo l’ex capo della Bce

L’europeismo che non è solo una vocazione ma è una necessità- Saprà Salvini comprendere la differenza fra sovranità e indipendenza? -L’inazione che non è solo una non scelta ma è un atto di irresponsabilità: significa fallire- Il premier ideale secondo le parole di Mario Draghi.

Dopo il tentativo andato a male di fare un governo europeista fondato sui Ciampolillo, qualsiasi appello al compromesso rischia di rievocare il trasformismo. Eppure è proprio su questo metodo che Mario Draghi cercherà di fondare un governo capace di superare la crisi sanitaria, economica e politica del paese.

Esattamente due anni fa, all’Università di Bologna, l’allora presidente della Bce chiuse il suo intervento con un elogio della nobiltà del compromesso citando un sermone di Joseph Ratzinger fatto qualche decennio prima di diventare Papa Benedetto XVI: “Essere sobri e attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale… Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole… Non è morale il moralismo dell’avventura… Non l’ assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica”.

“E’ un momento difficile, la consapevolezza richiede risposte all’altezza della situazione”, ha dichiarato Mario Draghi accettando l’incarico per formare un governo

Nel discorso di Bologna non è indicato solo il superamento della sterile intransigenza, un tema che lacererà il M5s moralista, ma anche la distinzione fondamentale tra due concetti come “indipendenza” e “sovranità”, su cui invece dovrà riflettere la Lega sovranista. Draghi evidenziava come l’idea che l’integrazione europea produca dei costi in termini di perdita di sovranità nazionale, sia “sbagliata” perché “la vera sovranità si riflette non nel potere di fare le eleggi, come vuole una definizione giuridica di essa, ma nel migliore controllo degli eventi in maniera da rispondere ai bisogni fondamentali dei cittadini ”.

In un mondo globalizzato e interdipendente, l’idea di riprendere il controllo nazionale è illusoria perché “l’indipendenza non garantisce la sovranità”. Sono tanti gli stati formalmente autonomi che subiscono decisioni prese da altri altrove. In questo senso, l’Ue ha ampliato e non ridotto la capacità degli stati membri di autodeterminarsi rispetto alla complessità globale. Quella europea “è una sovranità condivisa, preferibile a una inesistente”.

Insomma, l’ europeismo per un paese come l’ Italia non è solo una vocazione ma una necessità :“In un mondo globalizzato tutti i paesi per essere sovrani devono cooperare” perché “la cooperazione, proteggendo gli stati nazionali dalle pressioni esterne, rende più efficaci le sue politiche interne ”. E’ la distinzione che, qualche anno prima, in una lecture alla Harvard Kennedy School, aveva fatto tra il concetto di sovranità degli assolutisti come Jean Bodin e quello, da lui preferito, dei liberali come John Locke e James Madison secondo cui “la sovranità è definita dalla capacità di fornire, in pratica, i servizi essenziali che le persone si aspettano dal governo: un sovrano che non fosse in grado di svolgere efficacemente il suo mandato sarebbe sovrano solo di nome”.

I benefici del compromesso e della cooperazione, affrontati in modo più alto a Bologna, Draghi li aveva indicati sul piano più concreto della politica monetaria l’anno precedente, alla Scuola Sant’Anna di Pisa, in un discorso sui vent’anni dell’euro. La moneta unica non viene indicata come un fenomeno di cessione di sovranità, ma come un processo che “ha consentito a diversi paesi di recuperare sovranità monetaria”, perché prima dell’euro “le decisioni rilevanti di politica monetaria erano allora prese in quanto condivise da tutti i paesi partecipanti”. Paradossalmente, è ciò che l’ex presidente della Bce dice ai sovranisti, ritornare a una moneta nazionale comporterebbe una perdita di sovranità perché farebbe perdere il controllo sulla politica monetaria.

Spesso la satira politica vede più lontano dei suoi protagonisti

Se i discorsi di Bologna e di Pisa mostrano come l’approccio cooperativo ed europeista possa guidare l’azione politica di un eventuale governo Draghi con le forze politiche e le istituzioni europee, un terzo intervento, tenuto sempre nel 2019 in un’ altra università, la Cattolica di Milano, indica le tre caratteristiche individuali che secondo Draghi dovrebbero guidare le decisioni di un policy maker: la conoscenza, il coraggio e l’umiltà. “L’incertezza in cui operano i policy maker è a maggior ragione le loro decisioni dovrebbero cercare di essere fondate sulla conoscenza degli esperti”. Ciò che l’allora banchiere centrale indica agli studenti non è un modello tecnocratico guidato dai più saggi, ma l’importanza della conoscenza per comprendere la natura dei problemi, per tenere distinto il merito tecnico dalle implicazioni politiche, per prendere le decisioni più adeguate ed eventualmente correggerle se cambiano le circostanze e le evidenze. Insomma, il modello di riferimento non è un’autoritaria repubblica platonica governata dai sapienti, ma il metodo einaudiano del conoscere per deliberare: “Viviamo in un mondo in cui la rilevanza della conoscenza per il policy making è messa in discussione. Sta scemando la fiducia nei fatti oggettivi, risultato della ricerca, riportati da fonti imparziali; aumenta invece il peso delle opinioni soggettive che paiono moltiplicarsi senza limiti, rimbalzando attraverso il globo come in una gigantesca eco. In questo contesto è più facile per il policymaker rispecchiare semplicemente quelli che egli reputa essere gli umori della pubblica opinione, sminuendo il valore della conoscenza, assumendo prospettive di breve respiro e obbedendo più all’istinto che alla ragione. Ma solitamente ciò non serve l’interesse pubblico”. L’altra caratteristica è il coraggio: il politico deve studiare, deve dialogare, deve raggiungere compromessi, ma deve decidere .“La conoscenza non è però tutto. Una volta stabilito nella misura del possibile come stanno i fatti arriva il momento della decisione … Vi sono situazioni in cui anche le migliori analisi non danno quella certezza che rende una decisione facile: la tentazione di non decidere è frequente. E’ in questo momento che il policy maker deve far leva sul coraggio ”. Perché :“Anche il non agire rappresenta infatti una decisione. Quando l’ inazione compromette il mandato affidato al policy maker legislatori, decidere di non agire significa fallire ”.

Il coraggio nel prendere decisioni non è qualcosa che Draghi ha solo predicato, ma è stato praticato e soprattutto in situazioni di crisi. Ed è un aspetto che gli è stato riconosciuto anche da chi, come i tedeschi, nella Bce si è duramente opposto alle sue scelte :“Lei– ha detto un anno fa a Draghi il presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier conferendogli la Gran Croce al Merito – è dovuto intervenire usando gli strumenti di una banca centrale in un momento in cui non esistevano strumenti europei per contrastare le crisi. Ha dovuto agire in un contesto per cui non c’ era un copione europeo. Ma aspettare non era un’ opzione. E lei ha agito. In questo modo in tempi burrascosi ha mantenuto unito l’euro e quindi l’Unione europea”. In questo senso, soprattutto in una situazione critica come quella attuale, Draghi sarà un decisionista.

La terza caratteristica è l’umiltà, che “discende dalla consapevolezza che il potere e la responsabilità del servitore pubblico non sono illimitati ma derivano dal mandato conferito che guida le sue decisioni e pone limiti alla sua azione”. Anche in questo caso c’è un’applicazione concreta.

Pochi ricordano che le celebri tre parole magiche “whatever it takes” con cui Draghi salvò l’euro, erano precedute da altre tre “within our mandate” e cioè “nell’ambito del nostro mandato”. Ma l’umiltà, secondo Draghi, non va intesa solo come rispetto dei limiti legali e istituzionali ma anche dei limiti individuali di ognuno di noi. Nel 2006, quando era ancora governatore della Banca d’Italia, in un intervento in ricordo di Luigi Einaudi, Draghi disse che l’insegnamento intellettuale più importante del grande economista liberale è “l’idea cioè che l’uomo è fallibile; che legislatori e pianificatori possono sbagliare al pari degli altri esseri umani; che disposizioni di legge o amministrative spesso mancano gli obiettivi desiderati o portano a conseguenze impreviste; che è dunque indispensabile creare le condizioni perché l’uomo sia libero di sperimentare, di innovare senza costrizioni, di cercare continuamente soluzioni innovative a vecchi problemi; sbagliando, se occorre; ma contribuendo a fare crescere la società nel suo complesso”.

Compromesso, cooperazione, competenza, decisionismo, umiltà. Il ritratto di Draghi è molto più complesso di quello, grigio tecnocrate o infallibile salvatore della patria, dipinto da detrattori o adulatori.

Articolo di Luciano Capone, il Foglio Quotidiano

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