Lavoro in Italia? Meglio se donna, vecchia e straniera.

6 Set 2015 | 0 commenti

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Luca Ricolfi, sociologo

Il sociologo torinese  Luca Ricolfi, in un articolo apparso sul Sole 24 ore, a proposito del ciclo economico recessivo mondiale  apertosi dal 2007 e che in Italia ha portato alla perdita di circa 950 mila posti di lavoro, svolge alcune considerazione sugli effetti di questa “distruzione creativa” sul mercato del lavoro. Ricolfi nota che i posti perduti sono il saldo fra posti persi e gli incrementi avuti invece in alcuni comparti e per alcune categorie di lavoratori. L’esame di dettaglio è sorprendente e ci dice come le cose stanno effettivamente andando. Scrive Ricolfi: “ I lavoratori di nazionalità italiana, ad esempio, hanno perso 1 milione e 650 mila posti, ma i lavoratori stranieri ne hanno guadagnati circa 700 mila. I lavoratori relativamente giovani (under 45) hanno perso 2 milioni e 700 mila posti, ma quelli relativamente vecchi (over 44) ne hanno guadagnati quasi 1 milione e 800 mila. E dentro ciascuna di queste categorie, le donne occupate sono sempre andate meglio dei maschi…”….. Al punto che Ricolfi può dire che il crollo dell’occupazione è interamente maschile, e concludere:” In sintesi possiamo dire l’apparato produttivo italiano si è ristrutturato privilegiando i vecchi sui giovani, le donne sugli uomini, gli stranieri sugli italiani”

Lavoratori stranieri, vecchi e donne, meglio se donna, vecchia e straniera: questo pare oggi prediligere il mercato del lavoro. Come è potuto succedere? Domanda difficile, cui lo stesso Ricolfi esista a dare risposta, trovandola in un parallelo con quanto successo in una precedente crisi, quella del 1964.italia-crisi Ma quello era un altro mondo, veramente. Esiste però una costante, con il modo di rispondere allora alla crisi. Come si sa, da una crisi si esce ristrutturando l’economia e il sistema produttivo, recuperando produttività e margini, ristrutturando le aziende, innovando il ciclo, spostando la produzione verso prodotti a maggior valore aggiunto, ecc., e  a parità di carico fiscale, diminuendo i costi, in primis quello del lavoro.  Quella della diminuzione del costo di lavoro (in un momento, per di più, di calo dei consumi), magari usando l’elusione e lavoro nero o sottopagato, è in realtà una scorciatoia che, passata la crisi economica , lascia i problemi irrisolti, anzi li aggrava, aumentando il divario con gli altri sistemi produttivi e le altre economie che invece hanno, durante la crisi, recuperato efficienza.

Se così stanno le cose, la responsabilità degli imprenditori italiani è grande. Certo le donne si pagano di meno, gli anziani sono più esperti e produttivi nel breve, gli stranieri si accontentano e fanno lavori che gli italiani non fanno più e in condizioni di lavoro peggiori. Ma se queste sono le “leve” esse possono aiutare a sopravvivere, non ha innovarsi e a guardare con ottimismo al futuro.

Né bastano le riforme annunciate da Renzi,( anche ammesso che riesca a farle), perché come sappiamo lo sviluppo economico e i posti di lavoro non si creano per decreto. Allora? Allora la ripresina italiana non solo è timida, ma illusoria. Si conferma che la storia non insegna nulla e che la classe dirigente italiana, in particolare gli imprenditori, purtroppo, non sembrano  avere il respiro e il l pensiero lungo. Diversamente da quelli che sanno puntare al profitto oggi come presupposto del benessere di domani.

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