LE CENTO VEDUTE DI HOKUSAI

18 Ott 2017 | 0 commenti

SULL’ONDA DI HOKUSAI, IL GIAPPONESE CHE INCANTÒ MONET E VAN GOGH – UNA MOSTRA A ROMA AL MUSEO DELL’ARA PACIS CELEBRA L’ARTISTA NIPPONICO CHE HA RIVOLUZIONATO L’ARTE MODERNA – FU TRA I PRIMI A USARE LA PAROLA “MANGA”. E CERCO’ FINO ALL’ULTIMO LA PERFEZIONE

«Anche se fantasma me ne andrò per diletto sui prati d’estate», si legge in un haiku composto da Katsushika Hokusai nel 1849, quando stava per esalare l’ultimo respiro. L’artista giapponese era un uomo perennemente alla ricerca della perfezione. Persino in punto di morte. In una celebre storia Zen, il discepolo viene invitato a udire il suono del battito di una mano sola; allo stesso modo l’incisore di Edo (l’antica Tokyo) cercava di ottenere lo stesso risultato con lo scalpello e la pittura.

Si dice che nessuno, come lui, abbia rivoluzionato la storia dell’arte moderna. Di certo, vi ha impresso una svolta estetica e assieme ironica; così come certe innovazioni della pop art.

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«Dall’età di sei anni – scrisse con falsa modestia, nella postfazione delle sue Cento vedute del monte Fuji – ho la mania di copiare la forma delle cose, e sono cinquant’anni che pubblico disegni ma, tra quel che ho raffigurato, non c’è nulla degno di considerazione».

Segue il bilancio dei progressi sin qui compiuti, e l’elenco degli obiettivi, invero soprannaturali, da raggiungere: «A settantatré anni ho a malapena intuito l’essenza della struttura di animali e uccelli, insetti e pesci, della vita di erbe e piante e perciò a ottantasei progredirò oltre; a novanta ne avrò approfondito ancor più il senso recondito e a cento anni avrò forse veramente raggiunto la dimensione del divino e del meraviglioso». Infine, «quando ne avrò centodieci, anche solo un punto o una linea saranno dotati di vita propria. Se posso esprimere un desiderio, prego quelli tra lor signori che godranno di lunga vita di controllare se quanto sostengo si rivelerà infondato».

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ESOTISMO Hokusai non ebbe la fortuna di vivere tanto a lungo (morì a 89 anni), ma riuscì comunque a diventare una impareggiabile fonte d’ispirazione per artisti come Monet, Van Gogh, Gauguin. Non era solo una questione di esotismo, così alla moda all’epoca, ma di sguardo sulla realtà. Per descrivere al fratello Theo la vista di un barcone carico di carbone, con quei marinai in marsine colorate sul ponte, che l’aveva molto ispirato, l’artista olandese scrisse che «era puro Hokusai»; in un’altra lettera cita il nome dell’incisore nipponico accanto a quello di Daumier, tra coloro che, a suo parere, eccellevano nel ritrarre dal vero. Allo stesso modo il pittore impressionista di Le déjeuner sur l’herbe si descriveva come un «fedele emulo» del suo collega giapponese; e l’artista che prediligeva le bellezze tahitiane conservava, e talvolta ricopiava con religioso rigore, le stampe del suo beniamino.

IL LAMPO Si narra che l’artista – celebrato a Roma da giovedì con una mostra al Museo dell’Ara Pacis, Sulle orme del maestro (da giovedì prossimo) dopo la grande esposizione al British Museum diventata un docufilm – ricevette il dono del talento allorquando un fulmine lo colpì nella sua casa, lasciandolo tramortito.

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Aveva già cinquant’anni; ma la sua arte si sarebbe evoluta negli anni a seguire, e avrebbe raggiunto livelli sublimi. Maestro della silografia policroma, e quindi dell’incisione sul legno, si rivolgeva a editori che stampavano le sue opere in migliaia di esemplari, finché le matrici cedevano. Nato forse da una concubina, Hokusai divenne rapidamente un uomo di grande successo; ma i debiti di un nipote lo costrinsero a vendere la casa; ed è proprio all’interno della sua nuova, povera abitazione, che si ritrasse in tarda età, chino sul foglio da disegno, accanto alla figlia prediletta. Pochi anni più tardi, quella stessa casa bruciò in un incendio, riducendo in cenere centinaia di opere inestimabili. 

HOKUSAI 9PROTO-FUMETTI Hokusai fu anche tra i primi a usare la parola manga, per indicare una serie di bozzetti satirici, in quel suo stile così particolare, simile (eppure diverso) ai fumetti di oggi. Ma eccelleva anche nell’illustrazione di favole e di veri e propri romanzi, molto apprezzati all’epoca.

Tutti, in Occidente, lo conoscono per un’opera iconica come La grande onda di Kanagawa, con quei marinai inghiottiti dai marosi. In patria, la più nota delle sue stampe è invece la serie del Fuji rosso, con le nuvole bianche che risaltano sul cielo blu, in una mattinata limpida e ventosa. I veri capolavori però sono i dipinti degli ultimi anni, quando Hokusai toccava le vette della perfezione. In uno di questi si vede il solito monte simbolo del Sol Levante, che diventa una sorta di piramide, con un pennacchio di fumo nero da un lato. Al suo interno compare un drago: si direbbe lo stesso artista, ormai anziano, pronto a librarsi in volo verso un altro mondo.

Articolo di Riccardo De Palo per il Messaggero

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