MANGIARE PRIMO ATTO POLITICO

26 Set 2016 | 0 commenti

CELEBRATO A TORINO TERRA MADRE-SALONE DEL GUSTO. IL PROFETA CARLIN PETRINI DICHIARA: MANGIARE E’ IL PRIMO ATTO POLITICO. IL CIBO DEVE ESSERE BUONO,PULITO, GIUSTO. DOBBIAMO TRASFORMARCI DA CONSUMATORI A CO-PRODUTTORI.  GUARIRE LA SOCIETA’ MALATA CON GLI ORTI E IL COMMERCIO EQUO SOLIDALE A KM ZERO.

 

 

 

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La kermesse del Salone del Gusto è al termine. Dal 22 al 26 settembre ha invaso Torino, rendendo ancora più appariscente il caotico turismo mordi e fuggi che dal 2006, anno delle olimpiadi invernali, ha trasformato la sonnacchiosa capitale sabauda, radicando una tardiva vocazione turistica che sotto l’epoca Fiat non era neppure da immaginare.

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Carlo Petrini durante la presentazione del Salone

L’impatto ecologico è pesante, in quanto a traffico e inquinamento, e mette a dura prova la sopportazione dei cittadini del centro. Il patron Petrini oggi sulla stampa locale dice: rimedieremo ai disagi. Non si capisce come. Forse il vento e la poggia potranno fare meglio di lui.  Le pur capienti strade torinesi non sono adatte per i tir, gli articolati, i furgoni, che hanno scaricato di tutto, ingombrando strade, deviando percorrenze, imbrattando marciapiedi. L’amico che mi accompagna minimizza:” Magari, per la prossima edizione, Slow Food rinuncerà a invadere il centro storico (vezzo che sa di provincialismo), spostando le bancarelle in piazze più capienti, lungo le rive del Po, in qualche parco cittadino, dove sia facile arrivare, trovare parcheggio -anche per gli stessi espositori, poveretti! – suonare musica etnica fino a tardi senza scocciare gli abitanti”. Imponenti le forze dell’ordine, mobilitate per la visita del presidente Mattarella, la cui presenza al Salone sigilla l’intimo rapporto istituzionale che Slow Food e il suo visionario fondatore Carlo Petrini da Bra, classe 1949, hanno saputo tessere, non rinunciando alle scomode critiche alle multinazionali sugli ogm, fedeli all’approccio terzomondista e pauperistico delle origini.

Carlin Petrini nasce, orgogliosamente, da madre cattolica e da padre comunista, una famiglia antisignana del Compromesso Storico. Divisa fra falce/martello e particola, insomma. Carlin frequenta sociologia all’università di Trento, ma senza laurearsi. Erano gli anni in cui in quell’ateneo Renato Curcio predicava la rivoluzione armata, non restava molto tempo per il libri. Il giovane milita da subito nella estrema sinistra, si butta in politica, scopre la gastronomia e comincia a scriverne sul Manifesto, l’Unità, la Repubblica. Nel 1989 l’ormai quarantenne Carlin ha l’idea vincente: fonda a Bra Slow Food; poi nel 2003, nella vicina frazione di Pollenzo, lungo lo stradone che porta ad Alba, adocchia la ex tenuta reale di Casa Savoia e fonda lì la sede della Università di Scienze Gastronomiche, con rette da capogiro, ma, direbbe Briatore, qui “siamo al top”. Il momento è quello buono, alla gente non basta mangiare, vuole sapere cosa mangia e da dove proviene il cibo che mangia.

 

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Il presidente Mattarella saluta Petrini. Sullo sfondo il sindaco Appendino, il presidente del Piemonte Chiamparino.

 

Presto Carlin Petrini ha il vento in poppa: passa da una presidenza all’altra, le beneficenze piovono, le lauree ad honorem pure. Oramai è conosciuto e apprezzato internazionalmente. Un percorso singolarmente vicino a quello di un altro piemontese di successo, nato anche lui nel cuore delle Langhe, ad Alba: Oscar Farinetti patron di Eataly, dalla vocazione più disinvoltamente commerciale.

La parabola di Carlin tocca il suo culmine (per il momento) in Vaticano. Scrive il Fatto quotidiano: “Si chiami Terra Madre o Casa Comune poco importa: Carlo Petrini e Papa Francesco (nota prima viene Petrini poi il Papa. ndr) hanno fatto un pezzo di strada insieme. Il fondatore di Slow Food infatti è l’autore delle 22 pagine che introducono il testo di Laudato si’, la nuova enciclica di Francesco. Sei capitoli che contengono 246 paragrafi tra cui: “La questione dell’acqua” , ” La debolezza delle reazioni”, “Il principio del bene comune”, “La giustizia tra generazioni”, “La necessità di difendere il lavoro” oppure ancora “Puntare ad un altro stile di vita”.”

 

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Ma torniamo alle novità dell’edizione Terra Madre/Salone in chiusura, con gran afflusso di pubblico, favorito dal clima mite.

Intanto il nome: Terra Madre, che campeggia, poi il sottotitolo Salone del gusto. Che poi da quest’anno salone proprio non è. Lasciati gli angusti e scomodi padiglioni del Lingotto, ora il Salone, come un torrente in piena, ha invaso ben 25 location di pregio di Torino: dal Carignano, a piazza Castello, a Palazzo Reale, a quello di Città, alla Mole Antonelliana, al Valentino, ecc. 

Il passante sprovveduto potrebbe pensare di essere di fronte ad un mega raduno di appassionati della tavola, ad un macroscopico mercato enogostronomico, allestito coi prodotti frutto del lavoro di crepuscolari, strenui testimoni di un mondo rurale che non c’è più.

 

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Il nome Terra Madre, diversamente dall’equivoco e commerciale Salone del gusto, va meglio, molto meglio. Non ricorda riti borghesi, quanto piuttosto “l’impegno rivoluzionario per il futuro del pianeta”, come ama dire Petrini. Nella visione olistica di stare nel creato Petrini si sente attratto irresistibilmene dell’epica e dal mito, dall’eterno ritorno a una verginità primigenia, anche se questo implicasse la rarefazione di ogni impronta antropica. Una decrescita felice, insomma. Ecco cos’ha detto in un convegno promosso dall’omonimo movimento: “Dobbiamo trasformarci da consumatori in co-produttori perché il nostro modo di mangiare è il primo atto agricolo ed è in grado di cambiare un modello di produzione che ci sta portando sull’orlo del baratro. Dobbiamo scegliere i gruppi di acquisto solidale, i mercati dei produttori locali e soprattutto essere coscienti e informati per sostenere una nuova forma di resistenza”. I nostri nonni stenterebbero a crederlo, siamo una società che spende più per dimagrire che per mangiare”. 

 

Certo che le tonnellate di cibo riversate per le strade di Torino non aiutano la decrescita. Così penso mentre giro per gli stands rigorosamente bianchi, allineati oltre i portici di via Roma o nell’adiacente piazza Castello, proprio sotto la sede delle Regione. Tutto è illuminato da gruppi elettronici alimentati a gasolio che eruttano in cielo pesanti nuvole di gas, mentre una fiumana di gente si sperde fra le bancarelle. Le insegne di Terra Madre sono ovunque, posters giganteschi riportano gli slogan della manifestazione, le convinzioni ideologiche e le scelte di campo degli organizzatori: agricoltura sostenibile, benessere animale, lotta contro le contraffazioni, il rapporto con la terra, lo spazio per i produttori marginali, i presidi per le varietà colturali in estinzione, ecc.

 

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La centralissima piazza Carignano, sede delle conferenze di Terra Madre- Salone del Gusto

La manifestazione è accompagnata da dibattiti di approfondimento e divulgazione. Naturalmente Carlin non dimentica le sue origini. I relatori sono tutti legati fra loro da un comune filo ideologico. Da Gian Carlo Caselli, a don Luigi Ciotti, a Gino Strada. I temi quelli soliti. Con una puntatina sul rapporto del cibo con l’arte, il cinema, la prevenzione.

L’impressione finale che ricevo, anche parlando con alcuni espositori, è che Slow Food sia arrivato ad un punto di svolta. E’ cresciuto molto, forse troppo, una pausa di riflessione forse sarebbe utile prima di lanciarsi nell’avventura internazionale, come certo aspira il visionario e carismatico Petrini.

 

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Ingresso Museo Egizio a Torino, insolitamente deserto. Tutti al Salone del Gusto.

Accanto a Slow Food, oggi operano la Slow Food Promozione srl, Slow Food Wine, Slow Food educa, la Fondazione per la bio diversità, una casa editrice che cura la pubblicazione di ben 4 riviste. Come si legge sul sito, ben navigabile, esaustivo e trasparente, i soci sono 31 mila, 230 i presìdi, 300 le associazioni locali, 102 i dipendenti. Una vera macchina da guerra, ma troppo fragile e isolata per una guerra mondiale all’insegna del “buono, pulito e giusto”, com’è il titolo di un lavoro di Petrini ora in ristampa che retoricamente afferma di “avere reinventata la gastronomia del XXI secolo”.

 

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Via Roma, sullo sfondo Palazzo Reale

 

Un esempio cade a proposito. La fusione fra Monsanto e Bayer, con la nascita di un super colosso in campo agricolo, viene sul sito Slow Food così commentata: “Il problema è che non possiamo non guardare con preoccupazione a queste condizioni di dipendenza, non possiamo mettere il futuro del nostro cibo in così poche mani, perché il cibo interessa ogni singolo vivente sul pianeta. D’altra parte vale però la pena notare un’altra lettura: queste operazioni finanziarie sono al contempo anche un segnale di debolezza, perché la necessità di unirsi è figlia di un calo dei profitti che va combattuto facendo sinergie su costi e operatività. Perché per fortuna il mondo dell’agricoltura è ancora fatto da più di 500 milioni di aziende familiari che ogni giorno lottano per difendere la biodiversità, promuovere sementi autoctone, agire localmente per sviluppare economie sane e pulite. Questa moltitudine spaventa i giganti perché disegna e difende un mondo alternativo, delinea futuri possibili in cui la sovranità alimentare è realizzata e diffusa, in cui il cibo non è schiavo di un mercato senza volto e senza freni. Loro sono giganti e non c’è dubbio, ma i contadini di piccola scala sono una moltitudine diffusa e tenace.”

 

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La lussuosa Galleria san Federico, nuova sede di Coop Fiorfiore, la linea top del gigante della distribuzione cooperativa che ha partecipato con propri eventi al Salone.

Per vincere la lotta di “liberazione della società malata attraverso il cibo”, come ama dire Petrini, occorrono ben altre forze e quella capacità di alleanze, fattore critico di successo, che forse manca ai profeti come Petrini . Costoro sono troppo avanti rispetto ai propri tempi e alla fine ti lasciano solo o isolato. Esserci nelle Assisi internazionali dove si decide è fondamentale. Ma non lo è altrettanto guardare negli occhi e stringere le mani e ascoltare chi col proprio lavoro ha reso tutto ciò possibile? L’albero può crescere, diventare robusto solo a patto che non dimentichi che chi lo sorregge e lo nutre sono le radici. Piuttosto che le rivoluzioni promesse non è meglio un sano pragmatismo? Non cambia di più le cose? Sono domande che parecchi dovrebbero porsi nel movimento Slow Food per assicurargli, oltre il Fondatore, una prospettiva e un ruolo strategico nel mondo della globalizzazione.

 

 

 

 

 

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