Non diamola vinta a Berzebù

10 Set 2015 | 0 commenti

Nathan Rosenberg

Nathan Rosenberg

In un suo vecchio libro, oramai un classico, dal titolo Come l’Occidente è diventato ricco, Nathan Rosenberg (di recente scomparso) ci ricordava che la condizione normale dell’umanità è la povertà e che l’Occidente ha fatto i progressi che sono sotto i nostri occhi perché l’imprenditore nostrano ha potuto storicamente rinnovarsi nella fabbrica, nei laboratori e sul mercato grazie al fatto di essere stato libero di cimentarsi e sperimentare, magari di sbagliare, sottratto ai legami della politica e della religione. E’ ciò che la nostra Costituzione chiama “libertà di intrapresa”. Povertà come condizione naturale e libertà come presupposto indispensabile per progredire. Un binomio che pure dovrebbe ispirarci qualche chiave interpretativa per decifrare questi primi anni del XXI sec. che non si sa se sono una estrema propaggine del ‘900 o il preludio ad una nuova era. Che i poveri siano sempre, o sovente, privi di libertà è evidente a tutti: non solo della libertà di “fare” (crescere sani, studiare, progredire, ecc.), ma anche di non “subire” (malattie, fame, ignoranza, emarginazione, ecc.). Che colui che è persona libera, sia anche libero dalla povertà, è assai probabile, mentre è certo che ne possa uscire. Siano d’accordo che ancora troppa gente è denutrita e troppi bambini africani o asiatici muoiono di malattie per noi banali, ma il fattore che sta all’origine dell’epocale flusso di migranti dall’Africa e dal Medio Oriente in fiamme mi pare un altro.

Zygmunt Bauman

Zygmunt Bauman

Ed è questo: è tutta gente senza libertà e, perciò, senza speranza se non l’avventura per mare o per terra. Il modello verso cui queste masse si sentono attratte, quello delle democrazie di mercato, pur con limiti e storture, dimostra che ha funzionato, avendo assicurato, come ci ricorda Rosenberg, un progresso civile, sociale e tecnologico come mai nella storia dell’uomo. E’ quindi inspiegabile paradosso la descrizione decadente che l’Occidente, e in particolare l’Europa, dànno di sé. Questo modo di ragionare catastrofistico sui nostri tempi è diffuso, contagia in alto è in basso, in lungo e in largo. Al punto che è diventata una moda e il modo per dimostrarsi pensosamente saggi e sagaci. Lo dimostra il libro appena uscito da Laterza, un lungo dialogo fra il sociologo Zygmunt Bauman (quello della società “liquida”) e il direttore di Repubblica Ezio Mauro. La critica che i due illustri personaggi fanno alla società attuale è impietosa e senza speranze, tutto è descritto come oscuro e indecifrabile, nessun orizzonte appare certo e possibile nelle loro parole.

Ezio Mauro, direttore di Repubblica

Ezio Mauro, direttore di Repubblica

Il ‘900 è passato e non c’è più, ma è storicamente scorretto rievocarlo come qualcosa di armoniosamente stabile, quando quel secolo ci ha regalate due guerre, tre dittature, una lunga guerra fredda retta sull’equilibrio atomico. Anche la distinzione che Mauro fa fra informazione e conoscenza, attribuendo solo ai cari e vecchi giornali, contrapposti al “pulviscolo informativo” del web, la possibilità di dare conoscenza, descrive un mondo che non c’è mai stato, se non nei suoi desideri.

Ossessione da internet

Ossessione da internet

Se guardiamo i parametri fondamentali della qualità della vita o gli indicatori del benessere (non solo quindi l’antiquato P.I.L.), le tesi degli apocalittici mostrano come esse siano spesso frutto di impressioni deformate o congetture approssimative.

Durata media della vita, numero di poveri affamati e degli analfabeti, tasso di mortalità infantile, reddito medio, assistenza medica e tutele previdenziali, salubrità delle case, tasso di criminalità, infortuni e sfruttamento sul lavoro, violenza sulle donne e i bambini, ecc.  sono tutti parametri che da decenni evolvono in modo positivo, contribuendo in maniera fondamentale al miglioramento della qualità e durata della vita ad ogni latitudine, pur con vistose, inammissibili diseguaglianze e stridenti deviazioni nelle realtà geopolitiche più martoriate o arretrate del globo, a causa di fattori incistati, oramai diffusi come metastasi.

In questa prospettiva storica i formidabili problemi, che pure abbiamo, escono dalla fosca e pessimistica visione degli sfiduciati, mostrandosi per quello che realmente sono: epocali sfide che abbiamo di fronte e che, per essere affrontate vittoriosamente, necessitano dell’energia della volontà e non di querule e nostalgiche lamentazioni. A meno che non si credano veritiere le parole di chi diceva: “ sarà dura per Berzebù se pensa di fare gli uomini peggiori di quello che sono”.

 

 

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