O LA BORSA O LA VITA

26 Feb 2022 | 0 commenti

Donald Tusk, ex presidente del Consiglio europeo e attuale presidente del ppe, è un europeista con i fiocchi e ieri mattina ha illuminato un problema importante che riguarda il conflitto in Ucraina. “In questa guerra – ha detto – tutto è reale: la follia, la crudeltà di Putin, le vittime ucraine, le bombe che cadono su Kiev. Solo le vostre sanzioni sono immaginarie. Quei governi dell’UE che hanno bloccato decisioni difficili (Germania, Ungheria, Italia) hanno perso l’onore”.

DonaldTusk

Pochi minuti dopo, un altro europeista, Dmytro Kuleba, ministro degli esteri ucraino,ha invitato gli stati Uniti a usare la loro influenza sui “paesi europei esitanti” che si oppongono al bando della Russia dal sistema di pagamenti Swift (il sistema che gestisce la quasi totalità delle transazioni finanziarie del mondo). Il tutto nelle stesse ore in cui il principale indice del mercato azionario russo, il Moex, all’indomani delle “durissime sanzioni”, ha fatto registrare un rimbalzo pari al 20 per cento. Sotto molti punti di vista, l’aggressione russa in Ucraina ha mostrato con chiarezza i limiti che incontrano le società aperte di fronte a ogni conflitto armato. Da una parte c’è un’autocrazia disposta a usare tutte le armi a disposizione.

Dmytro Kubela

Dall’altra parte, no. Chiedere di fare di più però non significa non aver fatto nulla. E dinanzi all’escalation della Russia esiste un modo non autodistruttivo per descrivere l’atteggiamento adottato dai paesi occidentali: riconoscere ciò che è stato fatto finora e provare a capire in che modo cosa non è stato fatto finora con un po’ di coraggio potrebbe essere fatto davvero. Non è poco, per esempio, avere un’Europa unita che vota all’unanimità per le sanzioni contro la Russia (lo ha fatto anche l’Ungheria). Non è poco, per esempio, non avere rilevanti cavalli di Troia della Russia nei grandi paesi europei (persino la Lega è a favore delle sanzioni). Non è poco, per esempio, avere una Nato disposta ad armare l’esercito ucraino (ieri l’Italia ha autorizzato la cessione di mezzi e materiali di equipaggiamento militare di protezione all’ucraina). Non è poco, per esempio, essere riusciti, come ha segnalato ieri il primo ministro inglese Boris Johnson, ad aver portato “i paesi che insieme costituiscono circa la metà dell’economia mondiale a massimizzare la pressione economica su un paese che rappresenta appena il 2 per cento dell’economia mondiale”. Mettere a fuoco ciò che è stato fatto non impedisce però di ragionare su ciò che ancora non è stato fatto. E per riuscire, come ha detto ancora Johnson, a costruire “una missione spietata per spremere la Russia pezzo dopo pezzo, giorno dopo giorno e settimana dopo settimana” ci sono almeno due ordini di problemi che meritano di essere affrontati anche dall’Italia. Il primo, Mario Draghi lo ha sviscerato ieri in Parlamento e riguarda la volontà di fare tutto ciò che è necessario per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia (più trivelle, più Gnl, persino più carbone: non si può contemporaneamente dichiarare guerra assoluta ai combustibili fossili e impedire alla Russia di fare guerra all’ucraina). Il secondo riguarda invece ciò che il governo non sembra avere intenzione di fare: andare fino in fondo nella promozione di sanzioni molto dure nei confronti della Russia. Enrico Letta, segretario del Pd, ieri ha detto che “le sanzioni devono essere le più dure possibili per mettere in ginocchio la Russia”. E non sposare fino in fondo questa linea, anche bloccando gli scambi commerciale con la Russia, anche espellendo le banche russe dal sistema Swift, significa non capire un dato di realtà evidente: se Putin non pagherà un dazio pesante, ogni possibile scelta futura dettata dal nazionalismo sarà stata sdoganata. Dove non passano le merci passano gli eserciti, diceva il grande economista francese Frédéric Bastiat.

Claudio Cerasa, direttore del Foglio

Ma quando passano gli eserciti bloccare le merci diventa l’unico modo per evitare di dover usare un esercito per fermare l’esercito aggressore. Che aspettiamo?

Claudio Cerasa, Il Foglio Quotidiano

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