SCIASCIA

4 Feb 2021 | 0 commenti

NON IL SOLITO ARTICOLO COMMEMORATIVO: SERGIO SOAVE NON ESITA A DEFINIRE ANARCHICO LO SCRITTORE SICILIANO, FINO AD ACCREDITARNE UNA SORTA DI EQUIDISTANZA FRA STATO E BR, IN REALTA’ SMENTITA DA SCIASCIA GIA’ NEL LONTANO 1979- RESTA ANCORA VALIDA, PURTROPPO, LA CRITICA RADICALE DEL GRANDE SCRITTORE CIVILE ALLA DECADENZA DELLA POLITICA E DELLO STATO.

Per ricordare il centenario della nascita di Leonardo Sciascia molti commentatori si sono concentrati sul rapporto tra la passione civile dello scrittore e la sua produzione letteraria. E’ stata messa in luce la sua tendenza permanente e talora ostinata ad andare contro corrente, anche affrontando temi spinosi e controversi, come quello dei “professionisti dell’antimafia” che lo espose, non infondatamente, a critiche risolute.

Letta ora a distanza di anni quella polemica assume contorni più definiti, acquista un valore di ammonimento nei confronti di fenomeni, che poi sono stati identificati, di ampliamenti strumentali della denuncia del fenomeno mafioso fino a farne perdere le caratteristiche specifiche. Non era, come fu detto allora, un’accusa nei confronti della magistratura che si batteva con successo contro la mafia, pagando poi prezzi pesantissimi, subendo attentati mortali.

Leonardo Sciascia con Paolo Borsellino

C’è un altro tema, altrettanto e forse persino più rilevante, della biografia politica e civile di Sciascia che è stato trascurato quasi da tutti in questa occasione celebrativa. Si tratta della polemica sul dovere civico di partecipare come giudici popolari ai processi contro i terroristi, pur rischiando ritorsioni da parte dei brigatisti. Vale la pena di ricostruire quel dibattito e rileggerlo ora senza più la tensione del momento. Era in corso il processo a Renato Curcio e gli altri capi delle Br. Dopo la revoca dei difensori da parte degli imputati, il presidente dell’Ordine di Torino, Fulvio Croce, assunse la difesa secondo il dettato del codice di procedura penale, ma il 28 aprile del 1977 fu ucciso dai brigatisti.

Sciascia si dilettava a fare fotografie del suo paese e della sua gente. Questa foto risale agli anni 50 del ‘900

Si pose allora il problema di costituire la giuria popolare e molti dei convocati presentarono certificati medici per esimersi da quel compito diventato pericolosissimo. Alle accuse di “viltà” lanciate contro queste persone rispose per primo Eugenio Montale che in un’intervista al Corriere disse che “non si può chiedere a nessuno di essere un eroe”. A Montale replicarono Alessandro Galante Garrone e Italo Calvino che, tra l’altro, scrisse: “Lo stato siamo noi”. Fu a questo punto che intervenne Sciascia, andando oltre la comprensione per la paura dei comuni cittadini espressa da Montale. Disse, Sciascia, che “per questo stato non farei il giudice popolare” e, aggiunse, “non capisco che cosa polizia e magistratura difendano”. Queste posizioni furono poi sintetizzate nello slogan “né con lo stato né con le Br”, che fu attribuito a Sciascia, che probabilmente non aveva mai pronunciato, ma che non smentì mai.

«Non ho mai formulato questo slogan. Pago le tasse allo Stato italiano, non le pago né le voglio pagare alle Br. Questo slogan è nato dalla deformazione della mia valutazione negativa della classe politica italiana, valutazione che continua a essere tale. Ma ciò significa che questa classe dirigente cambi, non che si avveri il sogno delle Brigate rosse».

Intervista di Leonardo Sciascia a L’Espresso – 1979

La replica piccata di Sciascia alle critiche di Giorgio Amendola, la sua lettura della vicenda Moro come fase finale della dissoluzione di uno stato indifendibile, sono la conseguenza di queste posizioni. Oggi si sottolinea la critica allo stato e alle sue inefficienze sviluppata con tenacia da Sciascia, ma resta da inquadrare il rifiuto di sostenere la lotta contro il terrorismo. Anche questo invece è un elemento rilevante della visione politica di Sciascia, che non volle mai riconoscere l’autonomia dell’aggressione terroristica. Invece, la lesse sempre come un elemento della dissoluzione di “questo” stato, che considerava destinato a scomparire anche se non seppe, o volle, mai indicare da che cosa avrebbe dovuto essere sostituito. Un pensiero radicale e anarchico che va letto nel suo contesto e che testimonia la disillusione di una parte rilevante del ceto intellettuale di allora. O anche di ora? Questa domanda, se ha senso, rende attuale quel pensiero disperato e disperante.

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