SOGNO UN ‘EUROPA

17 Mag 2016 | 0 commenti

LA SFIDA DELL’INTEGRAZIONE CULTURALE NELLE PAROLE DI PAPA FRANCESCO- NEL DISCORSO TENUTO IN OCCASIONE DEL PREMIO CARLO MAGNO IL 5 MAGGIO 2016 UN FORTE NO ALLE COLONIZZAZIONI IDEOLOGICHE-L’ANIMA EUROPEA E’ GRANDE PERCHE’ NATA DALL’INCONTRO DI CIVILTA’ E POPOLI-FORTE RICHIAMO ALLA RESPONSABILITA’ DI TUTTI-LA GIUSTA DISTRIBUZIONE DEI FRUTTI DELLA TERRA E DEL LAVORO, SPECIALMENTE FRA I GIOVANI DISOCCUPATI, NON E’ MERA FILANTROPIA. E’ UN DOVERE MORALE- “SOGNO UN’EUROPA DI CUI SI POSSA DIRE CHE IL SUO IMPEGNO PER I DIRITTI UMANI NON E’ STATA LA SUA ULTIMA UTOPIA.”

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Papa Franc

“……..  I progetti dei Padri fondatori, araldi della pace e profeti dell’avvenire, non sono superati: ispirano, oggi più che mai, a costruire ponti e abbattere muri. Sembrano esprimere un accorato invito a non accontentarsi di ritocchi cosmetici o di compromessi tortuosi per correggere qualche trattato, ma a porre coraggiosamente basi nuove, fortemente radicate; come affermava Alcide De Gasperi, «tutti egualmente animati dalla preoccupazione del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa», ricominciare, senza paura un «lavoro costruttivo che esige tutti i nostri sforzi di paziente e lunga cooperazione».

Alcide De Gasperi

Alcide De Gasperi

Questa trasfusione della memoria ci permette di ispirarci al passato per affrontare con coraggio il complesso quadro multipolare dei nostri giorni, accettando con determinazione la sfida di “aggiornare” l’idea di Europa. Un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare.

Conrad Adenauer

Konrad Adenauer

 Capacità di integrare

Erich Przywara, nella sua magnifica opera L’idea di Europa, ci sfida a pensare la città come un

luogo di convivenza tra varie istanze e livelli. Egli conosceva quella tendenza riduzionistica che abita in ogni tentativo di pensare e sognare il tessuto sociale. La bellezza radicata in molte delle nostre città si deve al fatto che sono riuscite a conservare nel tempo le differenze di epoche, di nazioni, di stili, di visioni. Basta guardare l’inestimabile patrimonio culturale di Roma per confermare ancora una volta che la ricchezza e il valore di un popolo si radica proprio nel saper articolare tutti questi livelli in una sana convivenza. I riduzionismi e tutti gli intenti uniformanti, lungi dal generare valore, condannano i nostri popoli a una crudele povertà: quella dell’esclusione. E lungi dall’apportare grandezza, ricchezza e bellezza, l’esclusione provoca viltà, ristrettezza e brutalità. Lungi dal dare nobiltà allo spirito, gli apporta meschinità. Le radici dei nostri popoli, le radici dell’Europa si andarono consolidando nel corso della sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparente legame tra loro. L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale.

 

San Giovanni Paolo II

San Giovanni Paolo II

L’attività politica sa di avere tra le mani questo lavoro fondamentale e non rinviabile. Sappiamo che «il tutto è più delle parti, e anche della loro semplice somma», per cui si dovrà sempre lavorare per «allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 235). Siamo invitati a promuovere un’integrazione che trova nella solidarietà il modo in cui fare le cose, il modo in cui costruire la storia. Una solidarietà che non può mai essere confusa con l’elemosina, ma come generazione di opportunità perché tutti gli abitanti delle nostre città – e di tante altre città – possano sviluppare la loro vita con dignità. Il tempo ci sta insegnando che non basta il solo inserimento geografico delle persone, ma la sfida è una forte integrazione culturale.

 

In questo modo la comunità dei popoli europei potrà vincere la tentazione di ripiegarsi su paradigmi unilaterali e di avventurarsi in “colonizzazioni ideologiche”; riscoprirà piuttosto l’ampiezza dell’anima europea, nata dall’incontro di civiltà e popoli, più vasta degli attuali confini dell’Unione e chiamata a diventare modello di nuove sintesi e di dialogo. Il volto dell’Europa non si distingue infatti nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure. Senza questa capacità di integrazione le parole pronunciate da Konrad Adenauer nel passato risuoneranno oggi come profezia di futuro: «Il futuro dell’Occidente non è tanto minacciato dalla tensione politica, quanto dal pericolo della massificazione, della uniformità del pensiero e del sentimento; in breve, da tutto il sistema di vita, dalla fuga dalla responsabilità, con l’unica preoccupazione per il proprio io».

Capacità di dialogo

Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è questa: dialogo. Siamo invitati a promuovere una cultura del dialogo cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale. La cultura del dialogo implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato. E’ urgente per noi oggi coinvolgere tutti gli attori sociali nel promuovere «una cultura che privilegi il dialogo come forma di incontro», portando avanti «la ricerca di consenso e di accordi, senza però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senza esclusioni» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 239). La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione. In tal modo potremo lasciare loro in eredità una cultura che sappia delineare strategie non di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione.

 

Questa cultura del dialogo, che dovrebbe essere inserita in tutti i curriculi scolastici come asse trasversale delle discipline, aiuterà ad inculcare nelle giovani generazioni un modo di risolvere i conflitti diverso da quello a cui li stiamo abituando. Oggi ci urge poter realizzare “coalizioni” non più solamente militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose. Coalizioni che mettano in evidenza che, dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici. Coalizioni capaci di difendere il popolo dall’essere utilizzato per fini impropri. Armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro.

 

Parlamento europeo Strasburgo

Parlamento europeo Strasburgo

Capacità di generare

Il dialogo che esso comporta ci ricorda che nessuno può limitarsi ad essere spettatore né mero osservatore. Tutti, dal più piccolo al più grande, sono parte attiva nella costruzione di una società integrata e riconciliata. Questa cultura è possibile se tutti partecipiamo alla sua elaborazione e costruzione. La situazione attuale non ammette meri osservatori di lotte altrui. Al contrario, è un forte appello alla responsabilità personale e sociale.

In questo senso i nostri giovani hanno un ruolo preponderante. Essi non sono il futuro dei nostri popoli, sono il presente; sono quelli che già oggi con i loro sogni, con la loro vita stanno forgiando lo spirito europeo. Non possiamo pensare il domani senza offrire loro una reale partecipazione come agenti di cambio e di trasformazione. Non possiamo immaginare l’Europa senza renderli partecipi e protagonisti di questo sogno. Ultimamente ho riflettuto su questo aspetto e mi sono chiesto: come possiamo fare partecipi i nostri giovani di questa costruzione quando li priviamo di lavoro; di lavori degni che permettano loro di svilupparsi per mezzo delle loro mani, della loro intelligenza e delle loro energie? Come pretendiamo di riconoscere ad essi il valore di protagonisti, quando gli indici di disoccupazione e sottoccupazione di milioni di giovani europei è in aumento? Come evitare di perdere i nostri giovani, che finiscono per andarsene altrove in cerca di ideali e senso di appartenenza perché qui, nella loro terra, non sappiamo offrire loro opportunità e valori?Giovani disoccupati

«La giusta distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è mera filantropia. E’ un dovere morale». Se vogliamo pensare le nostre società in un modo diverso, abbiamo bisogno di creare posti di lavoro dignitoso e ben remunerato, specialmente per i nostri giovani. Ciò richiede la ricerca di nuovi modelli economici più inclusivi ed equi, non orientati al servizio di pochi, ma al beneficio della gente e della società. E questo ci chiede il passaggio da un’economia liquida a un’economia sociale. Penso ad esempio all’economia sociale di mercato, incoraggiata anche dai miei Predecessori (cfr Giovanni Paolo II, Discorso all’Ambasciatore della R.F. di Germania, 8 novembre 1990). Passare da un’economia che punta al reddito e al profitto in base alla speculazione e al prestito a interesse ad un’economia sociale che investa sulle persone creando posti di lavoro e qualificazione.

Dobbiamo passare da un’economia liquida, che tende a favorire la corruzione come mezzo per ottenere profitti, a un’economia sociale che garantisce l’accesso alla terra, al tetto per mezzo del lavoro come ambito in cui le persone e le comunità possano mettere in gioco «molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione nel futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri, un atteggiamento di adorazione. Perciò la realtà sociale del mondo di oggi, al di là degli interessi limitati delle imprese e di una discutibile razionalità economica, esige che “si continui a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro […] per tutti”» (Enc. Laudato si’, 127).

disoccupati in corteo

Se vogliamo mirare a un futuro che sia dignitoso, se vogliamo un futuro di pace per le nostre società, potremo raggiungerlo solamente puntando sulla vera inclusione: «quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale». Questo passaggio (da un’economia liquida a un’economia sociale) non solo darà nuove prospettive e opportunità concrete di integrazione e inclusione, ma ci aprirà nuovamente la capacità di sognare quell’umanesimo, di cui l’Europa è stata culla e sorgente.

Alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità, può e deve contribuire la Chiesa. Il suo compito coincide con la sua missione: l’annuncio del Vangelo, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, portando la presenza forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante.

bambino povero

Dio desidera abitare tra gli uomini, ma può farlo solo attraverso uomini e donne che, come i grandi evangelizzatori del continente, siano toccati da Lui e vivano il Vangelo, senza cercare altro. Solo una Chiesa ricca di testimoni potrà ridare l’acqua pura del Vangelo alle radici dell’Europa. In questo, il cammino dei cristiani verso la piena unità è un grande segno dei tempi, ma anche l’esigenza urgente di rispondere all’appello del Signore «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo, «un costante cammino di umanizzazione», cui servono «memoria, coraggio, sana e umana utopia». Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. bambino povero 2Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa, in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia.“”

 

 

 

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