TITINA

30 Gen 2017 | 0 commenti

 

TITINA MASELLI: “COS’E’ L’ARTE? L’UNICA GIUSTIFICAZIONE”- MA QUANDO ESSA E’ CONTROCORRENTE- A VENEZIA RITORNA L’ARTISTA E DONNA INDIPENDENTE CHE RIFIUTO’ SCELTE DI COMODO, RIMASE FUORI DA OGNI MODA O SCUOLA E SENZA GALLERISTI DI RIFERIMENTO- UNA FORTE PERSONALITA’ INGIUSTAMENTE OSCURATA CHE CON LA  SUA OPERA VA OLTRE LA POP-ART E ARRIVA  AI NOSTRI GIORNI ISPIRANDO CON I SUOI COLORI PSICHEDELICI ARTISTI DI STRADA E PUBBLICITARI

 

 

Dopo oltre dieci anni dalla grande mostra romana: “Titina Maselli. Metafore della città”, la Fondazione Querini Stampalia di Venezia fino al 5 marzo 2017 ha allestito una mostra con una trentina di opere dell’artista morta all’inizio del 2005.

Quando parliamo di Titina Maselli il riferimento alla Scuola Romana è d’obbligo, anche se è stata pittrice insofferente a mode o appartenenze. Non soltanto perché uno dei suoi protagonisti, Toni Scialoja (scomparso nel 1998), è stato suo marito. E’ il 1945, dura poco, travolto anch’esso dalle rovine della guerra. Ma perché Roma e gli artisti romani sono all’origine della sua vocazione, quando poco più che ventenne espone per la prima personale alla galleria Obelisco. Nata nel 1924 da una famiglia borghese, padre critico d’arte, sorella del futuro regista e militante comunista Citto Maselli, è quasi naturale che lasciata la natia Pescolanciano, la famiglia Maselli diventi punto di riferimento per molti intellettuali di quegli anni: la loro casa era infatti un salotto esclusivo, frequentato da Massimo Bontempelli, Corrado Alvaro, Paolo Monelli, Alberto Savinio, dai Cecchi. Alberto Moravia e la moglie Elsa Morante sono degli habitués, come Renato Guttuso  e Renzo Vespignani.

 

La famiglia la incoraggia a seguire la sua strada, e ad appena vent’anni Titina vende il suo primo quadro. L’acquirente è un noto collezionista torinese dal fiuto buono, Riccardo Gualino.

Ciclista

Sabina de Gregori, scrive in un libro da poco uscito: “Titina era solita uscire da sola di notte con il cavalletto in una Roma ancora piena di macerie, per andare a piazza Fiume dove trascorreva molte ore all’aperto a dipingere, del resto “era sempre stata attratta dalla città e dai temi urbani come fossero l’unico ambiente vivibile per l’uomo, l’unico habitat possibile”.

Nel 1952 Titina vola a New York dove passa 3 anni destinati a restare nella sua memoria e incidere nel suo lavoro.

Calciatore

Sempre Sabina de Gregori scrive: “Affermava, con la sensibilità fuori dal comune di cui era dotata, che “il vento dell’oceano, il cielo nelle pareti dei grattacieli, questo non si può sentire nel cinema…questa città possiede la violenza della natura ma è assurdamente alimentata dalla speculazione più forsennata, dalla banconota regnante”. Ma proprio in America, dove l’ambiente artistico era più fervente e in cui si sarebbe, di lì a poco, affermata la Pop Art, Titina sceglie di ribadire, ancora una volta, la sua autonomia.

Si affranca dalle tendenze del momento e sceglie un suo linguaggio, fortemente autonomo, che la spinge a raccontare la città non attraverso le immagini che poi negli anni avremmo imparato a riconoscere, bensì raffigurandone le emozioni, il dinamismo ma anche la solitudine e l’alienazione che la serialità della metropoli moderna produceva nei suoi abitanti, aspetti all’epoca, pionieristici per la pittura. “Roma è come New York, la dimensione comune è quella della grande città contemporanea”, è quanto afferma, commentando le sue tele, Morosini mentre Achille Bonito Oliva scrisse, parlando proprio delle opere newyorkesi della Maselli: “L’istante urbano è colto e surgelato, attraverso immagini che riproducono la sensazione del presente, la memoria del passato e l’impressione di una futura velocità che sintetizza dentro di sé spazio e tempo, rallentamento e accelerazione”.

Città

 

Non manca nemmeno la canonica esperienza parigina, che segna un’altra tappa importante nello sviluppo della sua arte. A Parigi, infatti, nel 1979 incontra il regista Bernard Sorel è diventa scenografa di successo. Sue le scene per opere di Bechett, Pirandello e molti altri.

La ville II

Non per questo smette di dipingere. E’ presente con i suoi quadri per decenni alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma. Personali si tengono a Parigi, Todi, Mantova, Strasburgo.

Pugili

Nel catalogo di presentazione della mostra veneziana, si legge: “La sua era una visione mozzafiato della realtà, filtrata da una tensione quasi drammatica, animata da uno spirito scalpitante e visionario. Una pittura che attingeva al fascino di una modernità contemporanea, che prendeva spunto dagli emblemi di una città in trasformazione. Una sensibilità, quella di Titina Maselli, che veniva suggestionata dall’attualità in evoluzione, ma che faceva tesoro dei traguardi conquistati dall’avanguardia del futurismo, una lezione profondamente importante per lei. E i suoi non erano esiti lontani dagli esperimenti sulla rivisitazione del futurismo che anche Schifano andava compiendo. Titina Maselli, infatti, riesce a riprodurre sulla tela le coordinate dello spazio-tempo in un gioco sincronico, dove le figure in movimento si compenetrano tra loro fondendosi con la dimensione ambientale che fa loro da sfondo. La modernità mozza il fiato. Essa è la vita, ma anche ciò che non può essere vissuto. Tutto è energia e tutto è coscienza. Tutto è materia e tutto è spirito…». Titina, anticonvenzionale nella scelta dei soggetti quanto in quella dei materiali: spesso per il nero usa la pece presa in carrozzeria, costruisce un linguaggio che racconta il dinamismo, l’emozione della modernità e contemporaneamente tutta la solitudine e l’alienazione insite in essa, e lo fa attraverso un «un segno fitto di vita». Un segno-colore che non è mai espressivo ma piuttosto performativo nell’indicare le direzioni dell’energia all’interno del quadro. Un segno che si sposta mosso da un campo magnetico, in cui masse di tratti si addensano e si assottigliano lasciando trapelare una sagoma sostanziata più dal vento e dalla luce, che dalla materia stessa.”

Oggi le quotazioni di mercato di Titina Maselli sono fra i 7 -10 mila euro, al di sotto dei vari Schifani, Scialoja, Tano Festa, ma certo condivide con la Fioroni ( vedi intra: pop fortissimamente pop, o Giosetta e la pop-art italiana), altra artista donna della Scuola Romana, l’apprezzamento di critica e pubblico. Nè si può dire che negli anni la sua opera sia stata trascurara da tutti. Fin dal lontano 1990, era un giovane Vittorio Sgarbi ha portare in mostra la Maselli nel castello di Mesola, cioè in casa. Oppure poco dopo, siamo nel 1992, è  Mantova, nella prestigiosa Casa del Manegna, ad ospitare una sua mostra.

 

 

Alcune delle critiche sull’opera della Maselli appaiono oggi un poco superate. Il riferimento al futurismo o alla pop-art non bastano più, e rischiano di sottovalutare il valore intrinseco della originale presenza di questa pittrice nella seconda metà del secolo scorso. Forse è stata l’unica che, contro le tendenze del mercato, ha portato la risposta italiana alla pop-art americana fino nel cuore degli USA, sfidando quegli artisti in casa loro. Con la sua opera la Maselli, anche come scenografa, sembra staccarsi dallo sperimentalismo fine a se stesso e mostrare piena capacità, oltre che tecnica, psicologica ed esistenziale, per dominare lo spettacolo multiforme e contraddittorio della modernità. Il suo richiamo costante alla vita metropolitana, che diventa teatro e specchio della vita contemporanea, con le sue potenzialità e con i suoi limiti, forse è più vicino ad artisti successivi, quelli della street-art o della land-art per intenderci.

 

Inseguimento

 

In definitiva, sulla Scuola di piazza del popolo a Roma e sul significato  della cultura artistica di quegli anni, in Italia e nel mondo, occorrerebbe uno sguardo di insieme, critico, estetico e valoriale, alla ricerca dei numerosi fili che legano fra di loro quella schiera di artisti, nel loro insieme ancora sottovalutati, per capirne fino in fondo l’attualità.

 

 

Parata

 

 

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