UOMINI E BESTIE

8 Gen 2017 | 0 commenti

 

 

“COSE VISTE”, IL MONDO DI PIETRO DEL RE:GUARDO LE BESTIE E CAPISCO GLI UOMINI

Documentarista e biologo, giornalista reporter de La Repubblica, Del Re nel suo libro Cose Viste racconta senza retorica le tante crudeltà dell’uomo e ci manda un severo monito: il benessere e la tecnologia sono niente se non c’è il rispetto della natura e di chi la abita, uomini al pari delle bestie. Di seguito l’articolo di Francesco Merlo.

 

 

Benché nella savana del Ciad, in Centrafrica, nel Congo, nel nord del Cameron, nel Ruanda, l’inviato di repubblica Pietro Del Re abbia visto morire più uomini che bestie, la sua testimonianza (“Cose viste”, Editori Laterza) diventa incantata solo dinanzi al cucciolo d’elefante che nel Nord del Cameron sfugge al kalashnikov del guerrigliero a cavallo e va a farsi sbranare dalle iene.

 

Quel cucciolo somiglia infatti ai granchi, alle volpi e a tutte le bestie delle favole di Esopo, quelle piene di aforismi e ipotesi di società, di etica e di cultura umanistica. Del Re li scopre anche nel leone e nel leopardo che sulle montagne afghane di Bamiya spaventano i feroci talebani, e ancora dinanzi al gorilla triste del vulcano Virunga, alle scimmie aye-aye con gli occhi da gufo, la coda di volpe e le setole da cinghiale, alle beccacce asiatiche vendute vive a testa in giù e pronte per la pentola, ai ragni neri ceduti dai cambogiani insieme a bimbe di 6 anni da stuprare. Con la curiosità del reporter di rango e la sensibilità dello storiografo Del Re racconta l’ Africa più con la strage degli elefanti del Cameron che con il genocidio del Darfur e non solo perché gli elefanti ammazzati con i mortai e le mitragliatrici valgono molto di più (l’avorio si vende a 1500 dollari al chilo) delle donne violentate e dei bambini uccisi a bastonate che non valgono nulla. Né basta che gli assassini siano gli stessi: miliziani ubriachi di Allah e guerriglieri-macellai che di notte diventano appunto bracconieri a cavallo tra valli piene di fossi e di dirupi.

 

Il punto è che c’è sempre un qualche animale che, inascoltato, accompagna e segnala i flagelli, i passaggi d’epoca, la devastazione dei territori, le guerre etniche, le carestie, le migrazioni, ma anche il progresso. Del Re racconta per esempio che le popolazioni solidarizzano con i bracconieri perché gli elefanti distruggono le loro coltivazioni e, da carcasse, saziano e distraggono leoni e iene a riprova che i veri animali non hanno nulla a che spartire con le fiabe di Walt Disney e con le smancerie dell´antropomorfismo, con la retorica della Natura buona e dell´uomo cattivo.

 

Congo:parco nazionale Virunga

Immagini del vulcano Virunga

 

Ecco perché gli elefanti, sterminati con i mortai e le mitragliatrici, sono molto importanti per capire il mondo come lo furono le oche del Campidoglio assediato dai Galli (hic cascat Gallus). L’oca sarà pure stupida, ma è madre di storia, al punto che solo per vendetta gallica è diventata la “bruna piccante” della tavola francese, la materia prima del crudele foie gras.

Camerun: strage elefanti

E come Robert Darnton individuò ne il “Grande massacro dei gatti” (Adelphi 1988) il prologo della rivoluzione francese così Del Re capisce che nulla più dei cani di Bucarest illustra e spiega la fine del comunismo, che niente è più denso di significati e di presagi di quei cani che sbucano fuori dalle foreste di Dracula e invadono le strade della Romania postcomunista latrando e dondolando i loro corpi voluminosi.

Dovunque lo abbia portato il suo lavoro di cronista, in Siria per raccontare la strage dei bambini, in Tasmania e nelle Galapagos, o nell’isola kenyota di Manda dove i somali di Al Qaeda rapivano le donne europee, Del Re ha battuto le strade del pensiero laterale. Le stesse strade di Joseph Roth (Josephus) che nel 1919, finalmente assunto come redattore, nella Vienna devastata dall’inflazione, dai suicidi, dal freddo e dalla fame, preferiva raccontare lo zoo dove “il lupo si dispera perché non ha un tozzo di pane da lanciare alla gente affamata che viene a guardarlo”. Ebbene Del Re, più che negli edifici, nelle chiese, nelle scuole e nei mercati bombardati è proprio nel lupo predatore che cerca la storia, nel lupo che da secoli viene cacciato con i metodi più violenti, sino alle polpette di cane infarcite di spilli, ma anche nelle balene attaccate da giapponesi, negli orsi, nelle renne … E nelle lontre e negli sciacalli che insidiano i mille pennuti e i mille pesci nelle paludi della Mesopotamia che, prosciugate da Saddam Hussein, sono ora ritornate a vivere.

Romania:cattura cane randagio. Una strage da 300 milioni di euro (notizia Ansa)

Cose viste , il titolo che fu giù di Victor Hugo ma anche di Ojetti, non solo rilancia, ai tempi di Internet, la disputa tra il giornalismo dell’andare a vedere e quello dello stare a sedere di cui parlarono Cecchi, Cavallari e Sciascia: da un lato il cronista che consuma le suole delle scarpe ( tanto per usare una stupida formula retorica) e dall’altro lato quello che sa raccontare e spiegare le lacrime di un bimbo perché ha letto Dickens e conosce la storia e la geografia del territorio dove quel bimbo sta piangendo. E’ meglio insomma passare più tempo seduto a studiare o in cammino a vedere?

 

Cina: gatti in gabbia in attesa del macello.

Cose viste ripropone soprattutto il mondo animale come presagio di storia. E nessuno, forse neppure Del Re, sa dire di cosa è presagio quella turba di gabbiani che al mattino si addensano sull’Altare della Patria, i gabbiani di città, 40mila solo a Roma, in fuga dalle coste edificate, attratti dalla saporita spazzatura urbana. Come il topo sul pianerottolo che anticipa la peste e come i cani di Bucarest, forse segnalano il collasso della nostra Capitale e del suo sistema di regole e valori.

Articolo di Francesco Merlo 18 luglio 2016 la Repubblica

 

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