STORIA DI UNA TESTA

STORIA DI UNA TESTA

Beppe Grillo, che prometteva una rivoluzione stellare, la cancellazione dei partiti e delle leadership ovvero degli sfruttatori maledetti, realizzata attraverso la rete, strumento post-rousseauiano della democrazia diretta, con la conseguente abolizione dei parlamenti, i probi cittadini come costanti legislatori e detentori del potere per il bene del popolo, e tramite loro sarebbero state cancellate le abnormi ricchezze, sconfitta la povertà, sbaragliata la disonestà, il mondo trasformato in un villaggio verde coi mulini a vento, una detonazione d’amore senza gas e petrolio, tutti a curarsi con erbe di campo coltivate da ex vampiri di Big Pharma, e aveva affidato questa rivoluzione, che in confronto Robespierre sembrava un impiegato dell’anagrafe, a un gruppo di senzatetto vagamente alfabetizzati, pressoché estratti a sorte e capaci – si è scoperto ieri – di scrivere una legge sul superbonus con un tale ingegno che i suddetti probi cittadini si sono rubati quattro miliardi di euro, di cui due e mezzo ormai irrecuperabili – due miliardi e mezzo di euro !

Che non basterebbero le tangenti di ottanta Psi per assommarli – ed è finito nottetempo con lapis, visiera e mezze maniche a cercare il comma da opporre a un tribunale di Napoli per tenere in piedi questa combriccola di titani, e soprattutto per salvarsi le tasche, dopo avere devastato di scemenze un Paese che quanto a scemenze se la cavava benissimo senza il suo definitivo contributo, ecco, Beppe Grillo ieri ha detto senza pentimenti e senza imbarazzi di sentirsi il condom dei cinque stelle. In quanto fondatore, la testa giusta al posto giusto.

Dalla rubrica Buongiorno di Mattia Feltri, La Stampa

IL POTERE AL CINEMA

IL POTERE AL CINEMA

IL CINEMA QUARTO POTERE? – GIANNI CANOVA SCRIVE UN SAGGIO SUL POTERE VISTO DA DIETRO LA CINEPRESADA ROSSELLINI A FELLINI E PASOLINI, DA SCOLA  A MORETTI, FINO A SORRENTINO- PERCHE’ BEPPE GRILLO, CHE SUL SET NON CI SAPEVA FARE, SI SCOPRE PROFETA DELLA DEMOCRAZIA DIRETTA. COSI’ LA PENSA GEPPETTO.

 

Vedendo al cinema Darkest Hour (L’ora più buia) riflettevo sul fatto che gli autori stranieri hanno del potere un’idea diversa dalla nostra. Da una parte Churchill che impersona la politica come servizio e missione, dall’altro la maschera che Toni Servillo fa di Andreotti (prossimamente di Berlusconi, c’è da scommetterci): il ritratto archetipo dell’italianità triviale, melliflua, viscida addirittura.

Sul tema del potere, Gianni Canova ha di recente pubblicato il saggio Divi, duci, guitti, papi, caimani -L’immaginario del potere nel cinema italiano da Rossellini a The Young Pope. La tesi di fondo è che nel cinema italiano il potere non può essere buono, ma sempre misterioso, occulto, ingannevole, complottista. Sostiene Canova che si tratta oramai di una ideologia di fondo, una religione laica, una visione del mondo.

Gianni Canova

Scrive Andrea Minuz, commentando sul Foglio il saggio di Canova: “Bisogna partire dai registri narrativi principali con cui il cinema italiana ha messo in scena il potere: il grottesco da un lato, e la denuncia, l’indignazione dall’altro. In entrambi i casi, prende forma un’idea negativa del potere: il potere come colpa, o vergogna, o delitto, un’idea divorata da uno schematismo ideologico che appare indifferente alle trasformazioni sociali, culturali, politiche. Settant’anni di vita repubblicana non hanno minimamente scalfito un immaginario del potere ancora legato all’idea di malvagità, di cospirazione, con tutto il lessico dell’intrigo e della sopraffazione che ne deriva- “il Palazzo”, “le segrete stanze”, i “poteri occulti”, i “poteri forti”, la “casta”..

Scrive Canova; “ L’idea che il potere possa avere a che fare con la democrazia, cioè possa consistere prima di tutto nel governo delle istituzioni in vista del raggiungimento del bene comune, non ha avuto mai una grande presa su registi, sceneggiatori e produttori, che hanno preferito raccontare il potere come arbitrio, controllo, dominio, un potere che nasconde quasi sempre qualcosa, spietato feroce, malvagio, oppure viscido, mellifluo, felpato” appunto.

Il vate e profeta di questa lettura ripugnante del potere, per quanto attiene casa nostra, è stato Pier Paolo Pasolini di cui Canova cita gli scritti: “ nulla è più anarchico del potere”, “il potere fa quello che vuole e sfugge alle logiche razionali”, il potere “è completamente arbitrario e manipola i corpi in modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o Hitler”.

Scena da The Young Pope

Scrive ancora Minuz: “Il cinema italiano ha dato forma a questa cosmologia apocalittica del potere in tutte le possibili variazioni: l’impunibilità del potere (“Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”), la corruzione del potere ( “Il portaborse”, “Il caimano”), il trasformismo del potere (“Il gattopardo”, “I Vicerè”), l’oscenità del potere (“Salò o le 120 giornate di Sodoma”), la malvagità del potere (“Buongiorno notte”, l’arbitrarietà del potere ( “In nome del popolo italiano”).

Scrive Canova, commentando The Young Pope di Sorrentino che il punto di forza della serie: “ sta nell’avere intuito che per raccontare le strategie del potere, in Italia, bisogna rinunciare alle ambizioni dell’affabulazione per calarsi piuttosto nella dimensione del cerimoniale e della liturgia”. Il potere si mostra come affresco e rifugge lo storytelling; nel palcoscenico del paese funziona di più l’immaginario, il cerimoniale, la teatralità diffusa, la caricatura dello spettacolo, il “bagaglino”.

Toni Servillo sul set del film su Berlusconi di prossima uscita

Non ci interessa il potere ma la “scenografia del potere”, il film diventa una macchina processuale, sostituendosi alla giustizia incapace di arrivare alla Verità. “Grillo fa teatro, Santoro fa teatro, Travaglio fa teatro, Floris si aggira per lo studio a forma di teatro elisabettiano”.

Il cinema americano o inglese (si pensi a King’s speech, Il discorso del re) mette in scena il potere come fatto politico e etico, narrativo. Quello italiano proietta una immagine del potere come una entità astratta, invisibile e inafferrabile, poco esprimibile attraverso l’affabulazione. Per riuscire a raccontarlo bisogna corrispondere alla sua natura invisibile e misteriosa. Così come fece Fellini in Prova d’orchestra, potente apologo che in pieno ’68 mostra la deriva del disordine anarcoide e gli esiti del capovolgimento definitivo del mondo. La cultura del narcisismo, l’insofferenza delle regole e di ogni principio di competenza, a favore di una “democrazia diretta” stanno tutte in questo film, vero e proprio avvio della deriva che oggi chiamiamo populismo.

Beppe Grillo

.Non poteva, perciò, mancare nel saggio un capitolo dedicato alla deriva populista del nostro sistema dei media. Il personaggio analizzato è Beppe Grillo. Dalla coralità del gruppo si passa al monologo, adattissima forma per la “dittatura della semplificazione, l’invettiva, l’urlo anti casta, la lotta della piazza contro il Palazzo perché la verità apparterrebbe alla piazza, le menzogne solo al Palazzo.  

Grillo, afferma Canova a conclusione del suo escursus, “ ha portato a forma di spettacolo assoluta e totalizzante il monologo.. Lui parla da solo, gestisce il flusso della comunicazione in modo verticale, diffondendo il Verbo dall’alto del suo assolutismo enunciatario…. L’idea che tutto ciò abbia a che fare con la “democrazia diretta”, qualsiasi cosa voglia dire, è la beffa più grande che poteva rifilarci”.

 

 

 

 

Il Grillo secondo Formica

Il Grillo secondo Formica

Grillo secondo Formica. E ce n’è pure per Renzi- Il grande Rino socialista si sfoga con Francesco Merlo e prevede che Alfano sulla Cirinnà calerà le braghe per un tozzo di pane. Quando la plebe era classe sociale e la politica coniugava idealismo con realismo, tanto tempo fa…..                                                                                                                                      

 

Merlo Francesco

Il giornalista Francesco Merlo

Ovviamente si comincia con Quarto e Beppe Grillo, con l’ ideologia e la religione della trasparenza, con la trappola morale e con l’ ingenuità, con il mito sempre infranto della purezza e quello invece roboante ma inconcludente della protesta “che non può essere politica”, dice, “perché la politica è mediazione dei conflitti e dei contrasti. E se stai nelle istituzioni non puoi mica protestare, devi governare”.

Ma dopo un po’, ascoltandolo, si capisce che a lui il Movimento di Grillo sta forse meno antipatico di quanto non sarebbe lecito immaginarsi, o forse considera i cinque stelle un epifenomeno trascurabile, chissà, come una nuvola destinata a essere portata via dal vento: è con Renzi che lui ce l’ ha di più.

E allora è sul nome del presidente del Consiglio che Rino Formica calca la voce e anima il suo corpo di ottantanovenne rapido e ben conservato, perché “la riforma costituzionale di Renzi è inutile”, si accende, “è persino dannosa. Io voterò ‘no’ al referendum. Ma senza aderire al comitato per il ‘no’, perché io non sto mica con gli immobilisti alla Zagrebelsky, e non coltivo nemmeno feticismi costituzionali. Tutto il contrario.

Penso però che prima della seconda parte della Costituzione bisogna modificare la prima, che è già stata consegnata all’ obitorio con i trattati internazionali. Bisogna modificare quella parte della Costituzione che stabilisce le norme vincolanti sui diritti sociali e politici, quelle regole ideali che adesso sono state superate, affidate al vincolo estero o al vincolo di bilancio”.

E sembra che lui, due volte ministro delle Finanze, con Spadolini e con Andreotti, poi ministro del Lavoro tra il 1987 e il 1989 nei brevissimi governi Goria e De Mita, adesso guardi con un certo partecipe dispetto il formicolio della politica contemporanea, la politica come gioco intellettuale e ginnastica del pensiero, passione e umori, una malattia dalla quale non si guarisce mai, nemmeno alle soglie dei novant’ anni.

Rino Formica

Rino Formica

“Guardi”, dice accompagnando le parole con un’ ombra di sorriso, “dopo Mani Pulite solo una classe politica di coglioni poteva accettare il perpetuarsi della rivoluzione giudiziaria, accontentandosi degli onori formali del potere”.

E questa è la spiritosa premessa, sta a monte di tutto, tutto precede e tutto filtra, come un paio di lenti attraverso le quali Formica osserva con un certo acuto cinismo, appena incrinato da una nota di bonario disprezzo, la pazzotica realtà dell’ Italia istituzionale.

Sangue e merda, diceva lui un tempo, “e intendevo dire passione e contaminazione”. Quella contaminazione che Grillo, per esempio, vuole sfuggire. “Ma nessuna forma di potere può rinunciare a confrontarsi con il male”. E allora Grillo dovrebbe studiare Andreotti? “Non dico questo. Ma fare politica significa trovare un punto di equilibrio tra il reale e l’ ideale.

Ce lo spiegava Nenni quando eravamo ragazzi”. Nenni coniò quella famosa, e abusata, espressione con la quale ammoniva di ben guardarsi dai puri, perché poi arriva sempre un puro più puro che ti epura. “Era l’ esasperazione del moralismo come canone interpretativo della realtà e della politica.

Ma bisogna anche guardarsi dagli iper-realisti, io sono molto critico nei confronti delle falangi del realismo straripante, anche perché li trovo fasulli”. E Formica parla di Renzi, evidentemente. “Lui usa il realismo per piegare gli idealisti del suo partito. Ma non ha nessuna visione. E’ un uomo dai tratti tipicamente strapaesani”. Renzi e Grillo, dunque. “Un provinciale e un populista”.

E seduto in poltrona, con alle spalle un proclama dei tempi della Repubblica romana, Formica tratteggia in pochi, precisi dettagli l’ aporia e le contraddizioni che secondo lui rendono impossibile la vita del Movimento 5 stelle nelle istituzioni: “Dc e Pci erano partiti di matrice idealistica”, dice. “Ma l’ eccesso di ideale trasforma la mediazione nobile della politica in sensalìa, in una forma di contrattualismo interessato”.

E qui Formica fa una pausa, tono ironico -didattico: “Prendi Alfano, tanto per capirsi. Quello, sulle unioni civili, sarebbe disposto a cedere qualsiasi cosa, basta che gli dai mezzo sottosegretario”. Chiusa parentesi. “Ecco. Una volta che la mediazione è stata declassata in sensalìa, la trasformazione, o meglio la deformazione della politica è inevitabile.

Formica Il fatto

Rino Formica nella sua lunga e recente intervista al Fatto Quotidiano

E allora ci si rifugia nei fondamentalismi, si rompe ogni rapporto tra reale e ideale.

E si arriva dunque ai cinque stelle, cioè al punto in cui i popolarismi diventano populismo. Per noi socialisti il popolo era il proletariato, cioè una classe dotata di coscienza, non una plebe. Il populismo assume invece il compito di fare sue le pulsioni plebee”. Ma perché non riescono a governare, i 5 stelle? “Ci arrivo.

Il Movimento cinque stelle è il collettore di tutte le proteste, di tutte le pulsioni che non trovavano più sfogo in una politica capace di mediare e ricomporre i conflitti. Ma a questo punto, assieme ai voti, e al personale politico eletto, dentro il Movimento esplode anche una contraddizione gigantesca, che è tipica di tutti i populismi quando si istituzionalizzano: il consenso facile che si raccoglie negli infiniti rivoli della protesta, quando si trova di fronte al governo, che per sua natura è ricomposizione dei conflitti, va in cortocircuito”.

Ed ecco dunque il caso di Quarto Flegreo, ma anche le tensioni tra Grillo e Pizzarotti a Parma per l’ inceneritore, ecco l’ espulsione del sindaco di Gela che non voleva chiudere il petrolchimico, ed ecco i guai con la spazzatura del sindaco Filippo Nogarin a Livorno.

Matteo Renzi

Matteo Renzi colto in una sua tipica posa

“Loro sono antisistema, ma pure coltivano la velleità di gestire il sistema”. Un’ aporia da sciogliere, dice Formica, una contraddizione in termini che in questi giorni, come si vede, scoppietta tra minacce e rinfacciamenti: uno si dimette, uno viene cacciato, l’ altro rimane al suo posto, uno cade dalle nuvole, l’ altro grida che lui l’ aveva detto, un trombettiere squilla l’ unità del movimento, un coro assordante intona l’ inno di ciò che si doveva fare, di ciò che si farà e non si farà.

“Ma io nelle espulsioni che fa Grillo non ci vedo niente di strano visto che abbiamo accettato che i partiti non esistono più”, dice Formica. “Qual è la differenza con lo ‘stai sereno’ di Renzi a Letta? La regola è che tutto è lecito nella disarticolazione. Mi capita talvolta di pensare alla reazione di Sandro Bondi quando ha lasciato Berlusconi. Nella sua pochezza, Bondi ha detto la verità: ‘In questi anni ho fatto il servo’. Ma se è così, se funziona così, davvero ci dobbiamo stupire di Grillo?”.

E allora il vecchio Formica solleva lo sguardo e dice che “più dello scollamento di Grillo dalla realtà, mi inquieta il fasullo ‘realismo del fare’ di Renzi. Lui si occupa del Senato, vuole la semplificazione, pensa sempre alla catena di comando corta. Questa sua idea che si debba sempre rifuggire dalle fatiche della democrazia è perniciosa.

I socialisti degli anni Settanta non ponevano un banale problema di semplificazione, che è un problema da gestione condominiale, ma pensavano che la costituzione avesse bisogno di un profondo ripensamento. L’ Italia ha bisogno di un’ assemblea costituente, la Carta va riscritta, ma riscritta tutta, in maniera coerente. E la nuova Costituzione deve servire a spiegare come il nostro paese può stare in Europa e in un sistema sovra nazionale di libero mercato.

Beppe Grillo come Mao tze tung che attraversa lo Stretto di Messina

Beppe Grillo, come Mao tze -tung, mentre attraversa lo Stretto di Messina

E’ ancora compatibile la prima parte della nostra Costituzione, che tanto affida allo stato, con un’ Europa che ha il suo inquadramento in un contesto di libera contesa politica ed economica? Non lo è. E occuparsi del Senato solo per comprimere il meccanismo democratico denota miopia, diciamo così. Per essere buoni”. E per essere cattivi? “Una sicumera che non promette bene.

Guardi, le astuzie di Berlusconi sono durate vent’ anni. Renzi naturalmente è più fresco di astuzie, ma è già in via d’ esaurimento”. Dunque? “Troverà la sua mozione Grandi sul tavolo”. Un 25 luglio. “E lo convocherà lui”. La sicumera.

Salvatore Merlo per Il Foglio

 

 

Uno vale uno…. ora non più!

Uno vale uno…. ora non più!

Grillo e Casaleggio

Grillo e Casaleggio

L’autunno preannuncia novità politiche. La carica di novità legata a Renzi sembra che si sia già esaurita. Peccato. Senza sottacere tutti i limiti del premier, dobbiamo dire che il demerito non appare suo, dal momento che il PD che Renzi si trova a dirigere, con una opposizione interna inconcludente quanto velleitaria, sarebbe una palla ai piedi di chiunque. In periferia, nelle regioni, dalla Sicilia alla Liguria, nella Capitale col serafico Marino, gli amministratori democratici non stanno dando buona prova. Il ciclo economico migliora troppo lentamente e il contrasto fra aspettative e risultati è stato reso ancora più stridente dalle troppe promesse del giovane primo ministro. Renzi sembra stretto, insomma, fra le miserie del partitismo moribondo, ma pervicace, e le troppe pastoie che limitano l’azione del governo, nel Parlamento italiano e nei confronti dell’Europa, presso cui la dottrina del rigore non è stata scalfita. Eppure il sistema, impercettibilmente, si muove. Non tanto sul versante destro, in cui non resta che assistere al sopirsi delle ultime velleità berlusconiane; in quanto a Salvini, pur favorito dalle paure suscitate dalla biblica ondata migratoria, egli non sembra in grado di sfondare nel Sud del paese, e quindi non potrà che rientrare nel centro destra, stretto in una qualche alleanza tattica, a macchia i leopardo, pagina già vista e priva di appeal per gli elettori. Non è un caso che F.I. abbia cambiato idea sul premio di maggioranza, che ora vorrebbe alla coalizione e non più al singolo partito.

A sinistra si è detto. Renzi non sembra avere forza e visione strategica per lanciare un nuovo progetto politico interamente suo. Lo sbandierato partito della nazione sembra per il momento relegato nel mondo dei sogni. Nel frattempo, la dura realtà dei numeri e il malmostoso assetto delle coalizioni, espongono il premier al rischio di intoppare sulle riforme e andare, Mattarella permettendo, dritti alle elezioni anticipate, nel periodo peggiore per lui, così com’è in mezzo al guado.

Il parlamentare M5S Luigi Di Maio

Il parlamentare M5S Luigi Di Maio

La novità potrebbe, invece, venire dal Movimento 5 Stelle, che sembra avere superato lo spaesamento iniziale, dovuto al successo vistoso e inaspettato nelle elezioni politiche del 2013. Uno dopo l’altra, le parole d’ordine   e i mantra del Movimento (uno vale uno, i candidati li sceglie la Rete, i programmi si fanno on-line, non serve l’organizzazione, c’è già la Rete, ecc.) stanno cadendo. Accanto ai due leader fondatori Grillo e Casaleggio sono emersi nell’agone politico, alcuni parlamentari e amministratori seri e discretamente preparati, sui quali è possibili fare affidamento. Basta toni apocalittici, proposte strampalate, voglia di dipingere scenari confusi e perciò inquietanti. All’isolamento dei puri e duri è subentrato il buon senso del confronto, dal momento che la dialettica politica e parlamentare non è crusca del diavolo, ma l’essenza stessa della democrazia e l’unico metodo per governare.

Il parlamentare M5S Alessandro Di Battista

Il parlamentare M5S Alessandro Di Battista

Questo profilo più moderato del M5S, fatto di meno invettive o slogan e più di proposte, piace sia a destra che a sinistra, parla alla maggioranza non schierata del Paese, convince gli scettici che forse un ricambio di uomini e quindi di modo di governare è possibile. Resta il dubbio che, magari, l’imprevedibile Grillo ci possa ripensare, quasi dovesse cambiare il copione di un suo spettacolo che non funziona.

La parlamentare M5S Paola Taverna

La parlamentare M5S Paola Taverna

Questo, sulla carta, dovrebbe invece funzionare, non resta che provarci. Ma come in ogni buon spettacolo occorre un mattatore. Grillo non può esserlo, se non altro perché “è divisivo”, mentre si governa sempre in coalizione, anche quando gli alleati portano numeri superflui (la vecchia DC insegna qualcosa? E la Merckel, che in Germania, nonostante il 49,36% del CDU/CSU, ha messo in piedi la terza grossa coalizione del dopoguerra?). Il vero problema per il M5S, sfondi o meno alle prossime elezioni, sarà appunto quello di trovare rapidamente l’uomo che abbia il profilo giusto: preparato, deciso, onesto va da sé, e dotato del particolare carisma del capo benvoluto, cui ci si affida con fiducia e speranza. Una parola…..!!

 

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