SPIAGGIATI.IT

SPIAGGIATI.IT

 

RACCONTI  SULL’ARTE DI ARRANGIARSI.IT DI GABRIELE ROMAGNOLI- LUI HA VENDUTO TUTTO IL SUO PASSATO ALLE ASTE ON LINE, LEI SPECULA CON LE CRIPTOVALUTE.

 

 

Apparecchia davanti al mare, il pesce lo procura lui stesso. Le prenotazioni on line sono state tante, e l’hanno indotto ad aprire una succursale al Nord, strettamente vegetariana. Pagamento, inevitabilmente, in contanti. Gli mancava soltanto un po’ di compagnia e dopo decenni di monogamia si sentiva fuori allenamento e imbarazzato. Non al punto da non poter mettere una fotografia su Tinder e, come all’alba con la canna da pesca, aspettare.

Gabriele Romagnoli

Lì, più ancora che nel passaggio dalle dispense alle app, ha avuto il fremito della nuova e dirompente stagione.Lei, quella che gli sta accanto per il tempo della schermata in cui li ho inquadrati, ha una decina di anni in meno. Italiana di seconda generazione, ha una luce dell’Est nello sguardo, ma la stella è lontana e non è detto che splenda ancora. Aveva sposato un uomo con ottime entrate. Si era fatta comprare e intestare un’attività che le era sembrata sicura e che, insieme a una villetta, le è rimasta dopo il divorzio. Si trattava di un’agenzia di viaggi, creata nell’era geologica precedente Trip Advisor, Booking e compagnia itinerante. Al posto delle dispense i cataloghi, dei rappresentanti di enciclopedie quegli impiegati che ti magnificavano resort dove non erano mai stati. Anche lei era stata spazzata dall’onda. Anche lei affitta su Airbnb le stanze della villetta. A volte, tutte quante.E dove dorme? Ha fatto fare un grosso coperchio di legno per la vasca idromassaggio, sul quale piazza un materasso. Al risveglio: doccia, trucco, un abito di ricambio appeso vicino all’accappatoio, et voilà. In uno dei rari viaggi di ritorno nella terra dei suoi nonni ha conosciuto uno strano tizio, con un passato da mercenario e da pianista (a momenti alterni) che gestisce nella capitale, in un container posato nel mezzo di una piazza, l’ambasciata del bitcoin. Oltrepassando quella soglia è entrata nell’universo parallelo delle criptovalute. Tornata a casa, ha piazzato una schiera di computer in cantina e si è messa a operare in «miniera».Estrae i dati necessari per consentire e confermare le transazioni tra utenti all’interno di quella che viene chiamata blockchain, ricevendo in cambio una commissione.Quando le si presenta il problema della solitudine, scorre l’album maschile di Tinder nel raggio di dieci chilometri. Lui era a una stazione di servizio quando l’ha agganciato. Aveva un passeggero. Non era un viaggio programmato. Non era la strada che avevano avuto in mente o sulla quale si sarebbero aspettati di trovarsi fino a poco tempo prima.Sono i tempi a decidere gli spazi, le circostanze a dettare le rotte. Dispense, cataloghi, nozze d’argento:sabbia. Nel suo ultimo libro Alessandro Baricco chiama questo magma in cui siamo infilati il Game e lo definisce«aperto, instabile, multiforme…qui non si hanno molte vite, e quando si cade, si cade..chi si stacca, a poco a poco scivola lontano». Esiste però una piccola differenza con l’epoca precedente. Lì chi si staccava finiva sotto l’onda e affogava. Oppure naufragava su un’isola dove ricominciava con i bastoncini per fare il fuoco.Qui ti rimandano sulla spiaggia.it con la connessione wi-fi. Resti al margine del gioco, quello dove sei stato sconfitto, e vai avanti in un trascurabile campionato minore. L’onda che ti ha travolto diventa il rivolo dove ti abbeveri. Non c’è nessuna statistica che possa dare conto di quanti siano gli spiaggiati.it e di come pratichino l’arte di arrangiarsi.com. Non stanno sotto la superficie, ma di lato. Resta facile scivolare fuori da tutto, cioè fuori dallo schermo.

Gabriele Romagnoli è nato a Bologna nel 1960. Ha poi vissuto in 4 continenti, 8 città, 28 case. Ha pubblicato il primo libro (Navi in bottiglia) nel ’93, mentre imparava il giornalismo a La Stampa. Tra i più recenti Solo bagaglio a mano e Coraggio!.È uscito da poco Senza fine – La meraviglia dell’ultimo amore

Ho incontrato la coppia, o qualcosa che le assomigliava, in una località turistica dell’Italia Meridionale. Lui, del Nord, più vicino ai sessanta che ai cinquanta. Aveva trascorsi professionali in un settore un tempo dalle vele gonfie, poi inabissato: quello dei servizi editoriali. I prodotti che confezionava hanno nomi da archeologia della lettura:dispense, inserti, guide, addirittura enciclopedie.Wikipedia e famiglia hanno prodotto un maremoto nella sua tinozza. Si è trovato all’asciutto: senza più committenti né spazi di manovra. Bancarotta. Niente più linea di credito né futuro imprenditoriale. Alla crisi negli affari si è sovrapposta quella familiare. Fuori anche di casa, i tre figli lontani, al lavoro in Paesi stranieri. La ex moglie ha ottenuto l’appartamento in cui vivevano, a lui è toccata la«seconda casa» tra i boschi. L’ha venduta ed è tornato in città, ma in affitto. Non avendo flusso di cassa e vedendo erodersi il capitale ha messo il bilocale su Airbnb. Poiché la domanda era robusta, ha parametrato l’offerta. Ha affittato un monolocale (direi quasi un loculo) su una scogliera nel posto in cui l’ho incontrato e calcolato che la differenza tra spese lì e ricavi là gli garantiva un discreto reddito, almeno nel periodo che passava al Sud.Certo, c’erano da affrontare continui spostamenti, con relativi costi. Come prima mossa ha venduto la stationwagon in favore di una utilitaria usata. Come seconda è nuovamente ricorso alla sharing economy, caricando tramite Blablacar passeggeri che condividessero le sue rotte e azzerassero i costi del carburante.Quando ha finito di piazzare su eBay e Subito tutti i pezzi che gli restavano della vita precedente (dalle ventiquattrore alle cravatte alle miglia di frequent flyer di almeno tre compagnie) ha pensato di inventarsi qualcosa e, osservando una pubblicità di MasterChef, anziché iscriversi, ha aperto un home restaurant in cui due volte a settimana cucina per dieci-dodici persone (25 euro a testa), tutte rigorosamente single, attratte tanto dal menu quanto dalla lusinga degli incontri.

Tatoo

Tatoo

TATTOO! LA SECONDA PELLE – ‘ECCO LE RAGIONI PER LE QUALI POSSIAMO CONSIDERARE IL TATUAGGIO TRA I NUOVI LINGUAGGI DELL’ARTE CONTEMPORANEA, PARTE INTEGRANTE DEL NOSTRO VIVERE, COME IL DESIGN, LA MODA, ESPRESSIONE DI QUELLA CHE GILLO DORFLES AVREBBE DEFINITO UNA TRA LE TANTE “OSCILLAZIONI DEL GUSTO”… Dal Catalogo della mostra in corso a Torino: ”Second Skin. Il tatuaggio nell’arte contemporaneaa”, a cura di Luca Beatrice

LUCA BEATRICE

Luca Beatrice

Sono almeno due le ragioni per le quali possiamo legittimamente considerare il tatuaggio tra i nuovi linguaggi dell’arte contemporanea. Per giunta adoperando definizioni così diverse tra loro da risultare persino contraddittorie. Esaminiamole distintamente.

La prima: del tatuatore si apprezzano l’abilità, l’estro, la fantasia creativa e lo stile. Il suo fare deriva dal disegno -dunque da un disciplina storicamente compresa tra le Fine Arts- ma il suo trasferimento indelebile sulla pelle lo proietta di diritto, in quanto uso anomalo, nell’universo delle arti applicate, arti minori, arti decorative, che gli inglesi chiamavano Arts & Crafts. Fuori dunque dall’Accademia, il che oggi non costituisce certo un problema o un ostacolo, anzi per questa stessa ragione molto più a contatto con le mutazioni del gusto nel presente, come il design e la moda.

E’ dimostrato che le “nuove arti minori” rispondano al bisogno di personalizzazione e di esclusività rispetto al prodotto standardizzato e seriale derivato dalla Pop Art ed estremizzato dal Minimalismo. “L’artigiano è la figura rappresentativa di una specifica condizione umana: quella del mettere un impegno personale nelle cose che si fanno”, scrive Richard Sennett.

wim delvoye, eugenie, 2005, maiale imbalsamato e tatuato, courtesy gian enzo sperone

Wim Delvoye Eugenie, 2005, Maiale imbalsamato e tatuato, Courtesy Gian Enzo Sperone

L’esecutore di tatuaggi, inoltre, mestiere sempre più in voga nelle generazioni recenti (anche questo è un dato) a vantaggio di un pubblico altrettanto giovane, lavora in stretta connessione con il committente: ci mette molto del suo ma deve corrispondere ai desideri e alle aspettative di chi gli affida una o più porzioni del proprio corpo. Chi sceglie di farsi tatuare un disegno, un’immagine, una scritta prende, nella più parte dei casi, una decisione irreversibile. E’ pertanto presumibile che consideri il valore aggiunto della qualità esecutiva, non proprio implicito nei linguaggi dell’arte contemporanea, esaltando ad esempio quel “fatto a mano”, carattere più dell’artigiano che dell’artista.

La seconda questione, invece, non ha che fare tanto con considerazioni estetiche quanto piuttosto storico-critiche. Il Ready Made di Marcel Duchamp, oltre a sottolineare l’importanza fondamentale del gesto dell’artista, il ruolo primario del contesto nello stabilire limiti e confini tra cosa sia arte e cosa no, sostituendo la forma creata e manipolata con l’oggetto reale “già bello e pronto” indistinguibile dall’oggetto d’uso, ha aperto le porte del museo a una gran quantità di materiali anomali che non fanno parte in alcun modo della tradizione dell’arte.

“Marcel Duchamp -come scrisse Achille Bonito Oliva nel catalogo della mostra L’asino e la zebra, tra le prima a prendere in esame le tendenze del tatuaggio contemporaneo- è l’artista che nel Novecento adotta in termini esplicitamente espressivi il corpo quale luogo capace di proiettare verso l’estero segni inscrivibili dentro l linguaggio dell’arte. Egli si fa scolpire sula nuca una stella, segno di elezione e di supremazia: il capo infatti è la parte del corpo dove avvengono le trasformazioni del pensiero e dunque costituisce la zona privilegiata del corpo”.

valentina zanobelli, francisco, tatuatore di origine messicana, con tatuata la madonna di guadalupe, los angeles 2018

Tatuaggi raffigurante la madonna di Guadalupe, Los Angeles 2018 ( foto Valentina Zanobelli)

Per tutto il XX secolo è una corsa a inseguire linguaggi sempre più nuovi ed estremi: la scultura diventa installazione e si contamina con il design; la pittura sfonda la bidimensione per aggredire lo spazio; fotografia, cinema e video vengono progressivamente accettati. Fino alla rivoluzione, sviluppatasi a partire dagli anni Settanta, che ha per protagonista il corpo.

Non più rappresentato ma agito, porta su di sé i segni della sofferenza, sfida le leggi della gravità, resiste, si esibisce nello spazio e lotta contro il tempo. Un corpo politico, che chiama a raccolta il pubblico come a teatro per assistere all’evento e testimoniare ciò che è accaduto veramente. Body Art, Performance, Happening indicano, con significative sfumature, più o meno una stessa forma di arte che nanzitutto coincide strettamente con la realtà.

Utilizzando il corpo, invadendolo di segni, il tatuaggio nell’arte contemporanea è figlio legittimo della Performance, in particolare della sua mutazione genetica avvenuta negli anni Novanta, quando all’etica si è sovrapposta l’estetica e quando diversi artisti hanno preferito sfumare il proprio narcisismo di primi attori in scena scegliendo, piuttosto, di lavorare come registi fuori scena sul corpo degli altri. E qui la psicanalisi potrebbe scomodare il termine sadismo, ma non è questa la sede per un ragionamento appropriato.

tattoo di horiyoshi iii sensei, foto di zozios

Tattoo di Horiyoshi III Sensel (foto Zozios)

Quale, dunque, tra queste due polarità, il tatuaggio come arte concettuale e il tatuaggio come estremizzazione delle arti decorative funziona meglio nel contemporaneo e può aspirare a ottenere il diritto di cittadinanza in un consesso dove non è semplice entrare?

L’un caso e l’altro direi: nel primo il tatuaggio è un mezzo, uno strumento, un linguaggio per dire determinate cose che, paradossalmente, si potrebbero dire anche in altri modi. Nel secondo il tatuaggio è un fine, dunque gli si riconoscono quei necessari “gradi di artisticità” (e anche di pertinenza e innovazione). Nè è da escludere che questi due modi si incontrino e nel cosiddetto “tatuaggio come arte” si ritrovino entrambi.

Per esempio ciò è accaduto nel progetto con cui Wim Delvoye a partire dal 1997 ha tatuato una ventina di maiali.

Sedati, depilati, decorati e fatti scorrazzare liberamente come opera d’arte vivente. Solo quando muoiono di vecchiaia vengono scuoiati e le loro pelli messe in mostra, addirittura qualche esemplare particolarmente “bello” viene imbalsamato con un processo di tassidermia e quindi trasformato in scultura.

Nonostante la cura e l’affetto con cui sono seguiti e coccolati nell’Art Farm di Pechino -in Cina le leggi sugli animali sono più permissive rispetto al Belgio dove è stato vietato a Delvoye di proseguire nel lavoro- diversi animalisti sono insorti in proteste, ignorando che questi suini, testimonial involontari della Disney o di Louis Vuitton, non hanno corso il rischio di essere trasformati in prosciutti e salsicce.

Polemiche a parte, sarebbe riduttivo leggere il lavoro dell’irriverente Delvoye come provocazione o sensazionalismo. C’è sempre un elemento politico che l’artista fiammingo vuole sottintendere. Rispondendo a una lettera di protesta di una indignata signora, fu acuto il critico Giacinto Di Pietrantonio a osservare che “dalla scienza sappiamo che il maiale, al di là della forma, è biologicamente l’animale più vicino all’uomo, non la scimmia, difatti molte sue parti vengono impiegate in medicina, medicinali, trapianti.

TATTOOA Delvoye questo interessa e, quando ha pensato di tatuarli, li ha scelti perché la loro pelle rosea è anch’essa molto vicina a quella umana, il famoso incarnato della pittura, per cui ben si presta a essere tatuata; poi il maiale è considerato un animale sporco, volgare, insomma poco presentabile e a Delvoye interessa la relazione tra questa definizione dell’animale plebeo e quella delle persone che si tatuano, non tanto oggi che è diventata una moda diffusa, ma ieri che era segno di persone marginali: hells angels, carcerati, marinai… una forma che gli permette di recuperare lo scarto dell’arte. Ecco spiegato uno dei perché dell’arte moderna e contemporanea, che è tale in quanto ci ha insegnato che tutto può essere riportato all’arte e che quindi, cara signora, dell’arte come del maiale non si butta via niente”.

plinio martelli, souvenir d'afrique 1974 2002

Plinio Martelli, souvenir d’Afrique 1974-2002

Sarebbe ozioso soffermarsi sulle polemiche, sottolineando come nei confronti degli animali si sia generalmente più empatici che verso gli umani, lo dimostrano quegli artisti che hanno tatuato il corpo di altri (umani) non così aspramente discussi come Delvoye, nonostante ad esempio il lavoro di Santiago Sierra si sia mostrato ben più violento e impietoso.

Madrileno, avendo vissuto fin dagli anni Novanta a Città del Messico, Sierra si è trovato a riflettere sulle drammatiche contraddizioni di una delle più popolose metropoli al mondo, dove molte persone restano sotto la soglia della povertà e delinquono, chi spacciando droga chi prostituendosi.

L’artista ha trovato gente disposta a vendere una porzione di corpo in cambio dell’equivalente in pesos del salario di una giornata: da lì sono nate le performance durante le quali Sierra ha tatuato una linea di diversi centimetri sulla schiena di persone regolarmente retribuite. Se il denaro regola i rapporti nel mondo, a cominciare dal lavoro, Sierra paga senza ottenere alcun prodotto commerciale né un servizio utile, sottraendosi quindi alla logica del plusvalore per cui anche il nostro corpo è merce, oggetto di scambio.

pierre et gilles, le rebelle du dieu neon

Pierre et Gilles, Le ebelle du dieu neon

Quando non è il denaro è il potere a far da leva economica, pure se usato con ironia e sarcasmo come inscenò Piero Golia, che nel 2001 convinse una ragazza a lasciarsi tatuare il suo ritratto (non esattamente un Brad Pitt!) insieme alla scritta “Piero My Idol” sulla schiena, affidandone la realizzazione a un bravo tatuatore. L’opera non è più disponibile, magari la donna avrà trovato il modo di farla cancellare, o magari il tutto è frutto di un’invenzione perché spesso l’arte contemporanea raccontata (e mitizzata) è più affascinante di quando ci compare davanti agli occhi.

Ben più sottile, anche visivamente parlando, i tatuaggi che Douglas Gordon ha voluto su di sé, le scritte Trust Me e Forever sulle braccia, oppure la parola Guilty sulla spalla sinistra dello scrittore Oscar Van Der Boogaard, che si legge correttamente solo allo specchio, da cui il titolo dell’opera Tattoo (for reflection).

Scozzese di Glasgow come il suo quasi coetaneo Ross Sinclair, tra gli esponenti di punta di quella generazione che rinnovò profondamente l’arte britannica negli anni Novanta, che ha portato avanti il progetto Real Life proprio a partire dal tatuaggio della scritta sulla propria schiena, cui solo di recente si sono aggiunte altre due parole, Is Dead.

In entrambi i casi va sottolineato il carattere autobiografico di questi lavori, l’esigenza di portarsi addosso il messaggio destinato ad altri, certo per renderlo più credibile e autentico.

Autobiografia, mentre altrove è necessario che il corpo veicoli un grido, un’urgenza, una sofferenza che si manifesta soprattutto nell’arte delle donne. Oggi che il tatuaggio è definitivamente parte della nostra cultura l’effetto è certamente cambiato, ma negli anni Settanta era limitato a un certo tipo di personaggi bordeline e comunque non femminili.

mike giant, satan's slave, 2009

Mike Giant, Satan’s slave, 2009

Nel 1971 la performer austriaca Valie Export decise di tatuarsi come un atto di trasgressione: all’inizio doveva essere un serpente tra la schiena e il collo, poi optò per un meno invasivo reggicalze sulla coscia sinistra a connotare quella stessa forte sessualità presente nei suoi lavori più famosi (Genitalpanik, 1968).

“Il simbolo di chi porta calze e altri accessori erotici -dichiarò- ed è anche il simbolo di una definizione di donna ora obsoleta, perché il reggicalze ha a che fare con un tipo di calze collegate a una certa tipologia di donna. Ora, però, questo momento è passato, abbiamo una nostra identità. Perciò è come portarsi in giro un pezzo d’antiquariato”.

I tempi sono cambiati, non la necessità di un certo tipo di messaggi, così l’americana Mary Coble, nata nel 1978 quando Valie Export era già un artista di fama, esponente della comunità LGBT internazionale, è sintomatica di come l’estetica (bella calligrafia, eccessi decorativi) si sia sovrapposta all’etica (la sofferenza del sangue, le ferite sul corpo) senza mai negarla, in performance come Blood Scripttestimoniato da fotografie, video e disegni.

Fin qui, dunque, si è riflettuto sul tatuaggio come mezzo. Se invece affrontiamo la questione già accennata del tatuaggio come decorazione, le sfumature risultano persino più ampie, a cominciare dalla non facile risposta alla semplice domanda: alcuni tatuatori, i migliori, gli innovatori, considerati alla stregua di maestri da chi davvero se ne intende, possono essere considerati paritari agli artisti? Il loro lavoro, così fine, stratificato, delineato, sapiente è assimilabile a un’opera d’arte?

maschera del borneo

Maschera del Borneo, collezione Enea Righi

Nel mondo di esperti e conoscitori del tatuaggio non è certo difficile riconoscere quei personaggi di culto diventati oggetti di studio, pubblicati in volumi e riviste, esposti nelle mostre.

Anche tra i profani (per quanto appassionati come me) è nota l’importanza di una figura come Horiyoshi III, ultrasettantenne che tatua da quando di anni ne aveva dodici, in Giappone considerato fondamentale per la diffusione di un linguaggio osteggiato da pregiudizi culturali, fino all’apertura del Tattoo Museo a Yokohama.

Oppure Davide Andreoli aka Italian Rooster, che opera a Rho ed è reputato uno degli studi più importanti d’Italia, di recente trasferisce le sue creazioni dalla pelle umana alla tela del quadro. Ciò indica il desiderio, o forse la sicurezza, di misurarsi in un contesto altro, in questo caso quello della pittura che, almeno in teoria, sembrerebbe appartenere per consuetudine al novero delle “arti alte”.

Davide Andreali al lavoro

Con l’olio al posto dell’inchiostro, comunque, Italian Rooster rende riconoscibile quello stile che lo ha reso un maestro, sottolineando ancora una volta la centralità, nell’arte, della famosa teoria del contesto che, ampliatasi nel contemporaneo, permette numerosi slittamenti e imprevisti cambi di scena. Ad esempio nel coltissima e stimolante Biennale di Venezia del 2013, il direttore Massimiliano Giorni inserì nella sua mostra Il palazzo enciclopedico diversi disegni anonimi sui “panos” (fazzoletti di tela) realizzati nelle carceri messicane.

Opere d’arte? Niente affatto. Curiosità antropologiche? Piuttosto. Eppure collocati negli ampi padiglioni dell’Arsenale immediatamente assumevano un altro ruolo. Visto che siamo in Messico, ecco il Dr. Lakra, artista e tatuatore professionista, cui piace combinare elementi di diverse tradizioni iconografiche -ad esempio azteche e maori- intervenendo con la propria stupefacente calligrafia su manifesti, riviste, immagini vintage soprattutto degli anni Cinquanta, “tatuando” con una penna a sfera il corpo di pin up. Le sue invenzioni, però, dicono di un universo popolato di quel immaginario messicano da rito pagano, surreale e grottesco.

tatoo psichedelici

Casi del genere, a proposito di slittamenti, se ne possono trovare diversi. Ad esempio lo scrittore Nicolai Lilin, autore di nove romanzi a partire da Educazione siberiana uscito nel 2009, disegna tatuaggi che sottolineano le origini della sua cultura, con ampio uso di simbologie pregne di significati fortemente identitari e comunitari.

Un tatoo di Micke Giant

Più volte Lilin ha dichiarato la propria contrarietà rispetto alla “moda” del tatuaggio giovanile che non si pone poi troppo il senso di una scelta, invitando chi offre il corpo a un’immagine di essere sicuro di ciò che l’immagine stessa significa e rappresenta. Marchio ribelle si intitola l’ultima sua prova letteraria, dove appunto ribadisce la non casualità di certi segni con i quali sarebbe meglio non giocare.

Nato nel 1971, trasferitosi a San Francisco, Mike Giant per dieci anni -dal 1997 al 2007- è stato riconosciuto come uno dei più originali tatuatori californiani. Poi l’ingresso nel mondo dell’arte, complice il clima favorevole di gallerie e spazi alternativi o l’attività di riviste quali “Juxtapoz”, vera e propria bibbia di certo underground.

felice beato, facchino giapponese, collezione giglioli muciv, roma

Felice Beato, facchino giapponese, collezione Giglioli Muciv Roma

I suoi segni trovano ispirazione nei giornali femminili degli anni Settanta, nei fumetti di Charles Burns, nelle copertine di album heavy metal e da quelle immagini archetipiche dell’iconografia religiosa.

“E’ importante notare -racconta- che io vedo tutte le religioni come percorsi diversi che portano alla stessa consapevolezza; per questo mescolo icone provenienti da tradizioni diverse per raccontare la storia senza tempo delle nostre gioie e sofferenze universali”. A margine Giant sostiene di essersi “liberato” dal mondo dei tatuaggi per non essere costretto a discutere con i clienti su cose che non avrebbe voluto fare. Con l’arte, affiancata alla meditazione, si sente ora più libero.

La questione del depistaggio, del cambiamento di senso, può riguardare non solo l’artista ma anche l’opera stessa, in una confusione semantica che almeno a prima vista provoca quell’effetto di spiazzamento di cui solo in un secondo tempo andiamo ad accorgerci.

gavin watson, paul, skinhead con tatuato fuck off in bocca, high wycombe, uk, 1981

Paul Gavin Watson, skinhead con tatuaggio in bocca, High Wycombe, UK, 1981

E’ questo il modus operandi di Fabio Viale, scultore classico che lavora con il marmo -ecco che torna la questione dell’uomo artigiano sollevata da Richard Sennett, per dirsi artisti bisogna essere molto bravi nell’esecuzione- e le sue bianche sculture monumentali, che in passato ironizzavano riproducendo oggetti comuni al fine di restituire nobiltà al più banale dei ready made, oggi si interrogano sullo stereotipo di quella scultura arcaica, fuori dal tempo, ideale sintesi di bellezza e proporzione nella rappresentazione di figure umane la cui unica differenza sta proprio nell’essere tatuate come un ragazzo del terzo millennio. Ulteriore prova di ciò che accade quando la testa e la mano si muovono nella stessa direzione.

Era piemontese anche Plinio Martelli, scomparso nel settembre 2016, attivo fin dagli anni Settanta con il cinema militante e autore di una successiva virata che lo ha indotto a indagare sul corpo passando dalla sessualità talora esplicita agli studi delle sottoculture.

claudia de sabe, medusa, 2018

Claudia De Sabe, Meduca, 2018

Maniacale ricercatore nei marchés aux puces, Plinio compiva autentiche operazioni di prelievo, per non dire di appropriazionismo in anticipo sulla moda degli anni Ottanta, ingrandendo vecchie fotografie in bianco e nero di carcerati, freaks, individui borderline tutti rigorosamente tatuati e andandole ad arricchire con il proprio segno decorativo e pittorico in un’operazione di ricalco non lontana, almeno concettualmente, da quelle di Alighiero Boetti: inutile inventare immagini nuove quando ce ne sono in giro così tante (lo sosteneva, peraltro, anche Andy Warhol).

Ironia. Ci vuole tanta ironia. Non bisogna prendersi troppo sul serio, evitare almeno nell’arte tutta quella prosopopea da rito iniziatico perché in fondo il tatuaggio è un’abitudine contemporanea ormai parte integrante del nostro vivere, come il design, la moda, espressione di quella che Gillo Dorfles avrebbe definito una tra le tante “oscillazioni del gusto”.

Sven Marquardt tatuato

Tra queste c’è anche il kitsch che invade il corpo e gli oggetti (si vedano le opere di Pierre et Gilles e di Kim Joon) da cui chi decide di tatuarsi (me compreso) non è affatto esente.

“La scimmia nuda balla, Occidentali’s Karma”, ricordiamo il tormentone della canzone con cui Francesco Gabbani vinse nel 2017 il Festival di Sanremo. L’artista milanese Simone Fugazzotto, che si definisce orgogliosamente “pittore di scimmie” ne ha ritratta una tatuata che ci guarda insistentemente e con fare interrogativo, proponendosi come un nostro alter ego nei modi e nelle mode. Insomma, dopo la storia dei maiali di Wim Delvoye siamo ancora qua, a discutere di uomini e animali.

Dal 09 Novembre 2018 al 03 Marzo 2019 TORINO – MAO Museo d’Arte Orientale

BETTY

BETTY

 

 

A Elisabetta melodiosamente inferma

 

Non credevo che dal battito nervoso delle ciglia

dolcemente potesse lo sguardo scivolare su un alluce dolente,

in una sola grazia di eburneo benvenuto.

Poi, in quella che una volta si sarebbe detta una taverna fumosa

il rito del frappè mi ha portato alla mente il sillabario

di giorni lontani, quando, sotto gli argini del Fiume che si apriva al mare,

l’allegria dei poveri, iniziata con un tuffo, spegneva l’arsura dell’estate

con un frappè ghiacciato, che raffreddava anche altri bollori.

 

 

In quel Delta ho imparato a distinguere il verso degli uccelli,

presagire, da un guizzo lucente di un pesce,

il tuffo del cuore,

e prima della parola apprezzato il silenzio,

scoperto che la vita è ritmo e sospensione,

se risale verso uno sguardo che nel cielo si confonde.

 

 

Le immagini della copertina e nel testo sono opere di Luigi Armanni

 

PSSSS…SILENZIO

PSSSS…SILENZIO

 

IO CI SONO STATO!-PRIME INDISCREZIONI SULLA VITA INTERNA  AL MOVIMENTO 5 STELLE- CON RETICENZA E QUALCHE COMPRENSIBILE IMPACCIO LORENZO TOSA  DENUNCIA IL CLIMA SETTARIO, IL FIDEISMO CIECO E UBBIDIENTE CHE REGNEREBBE NEL PARTITO DELLA CASALEGGIO ASSOCIATI & C. 

 

 

lorenzo tosa

Lorenzo Tosa, già addetto alla comunicazione per il M5S

Quando ci metti piede per la prima volta, non puoi fare a meno di notare il silenzio, quasi religioso, a tratti mistico. Dietro gli slogan recitati come mantra, sotto ogni “vaffanculo” urlato nelle piazze, dentro il bunker di qualche segreta riunione della comunicazione, se ascolti bene puoi sentirlo vibrare.

Non lo confesseranno mai, ma chiunque abbia avuto a che fare a vario titolo con il Movimento 5 Stelle, quel silenzio lo porta tatuato sottopelle, e non c’è verso di strapparlo via. È il silenzio faustiano di chi, un giorno dopo l’altro, ha ceduto la propria libertà di pensiero al fideismo, a un culto arcaico, alla fiducia cieca in un cambiamento che guiderà le anime verso un futuro di “onestà” e “trasparenza”.

BEPPE GRILLO - DI MAIO - DAVIDE CASALEGGIO

Ed è proprio quel silenzio che ogni giorno alimenta la propaganda, pompa la macchina del reclutamento, 24 ore al giorno, sette giorni su sette. Non importa chi tu sia, quale la tua storia, il tuo grado di coscienza civile e democratica: ci sarà sempre uno spazio per chi sa urlare abbastanza forte da raggiungere il silenzio.

E, a pensarci bene, quel silenzio chiassoso è l’antitesi perfetta di quello che è diventata oggi la sinistra progressista in Italia: rassicurante, pacata, a bassa voce, eppure rumorosissima, persino sbracata, in quella vorticosa, ombelicale, scissione dell’atomo; in quel lavacro pubblico di panni privati che nessuno capisce più e a cui nessuno, al di fuori dei caminetti, ha diritto a partecipare.

lorenzo tosa 1

Là fuori ci sono milioni di under 40 come me che hanno bussato due, tre, dieci volte a quella porta, trovandola invariabilmente chiusa. Vi prego, aprite quella porta! Prima che sia troppo tardi.

Io, nel mio piccolo, in tre anni dentro la comunicazione a 5 Stelle, ho visto da vicino cosa può accadere quando giochi a dadi con la pelle e la pancia delle persone.

All’inizio studi, osservi, poi subentra un periodo di lunga narcosi intellettuale, in bilico tra spavento e rassegnazione. E, quando, infine, ho preso il coraggio e ho annunciato pubblicamente le mie dimissioni, è stata forse l’esperienza più liberatoria e autenticamente comunicativa da quando faccio questo strano mestiere del giornalista.

Quello che ho visto sono state migliaia di persone dalla schiena dritta che non si arrendono a consegnare, un pezzo per volta, conquiste che credevamo assodate. In ordine sparso: aborto, divorzio, scienza in tutte le sue sfumature, Europa ed europeismo, informazione, cultura, multiculturalismo, competenza, un certo grado di libertà sessuale e di benessere.

Il populismo, questa strana creatura che si ciba delle nostre paure, non lo sconfiggi con un congresso ma rimettendo al centro le persone, la straordinaria capacità che abbiamo noi umani di provare empatia. Se ci pensate, oltre ai trattati e ai parametri, l’Europa non è altro che la più grande manifestazione di empatia tra i popoli del millennio scorso.

Ogni volta che un migrante viene salvato nel Mediterraneo, quella è Europa; ogni volta che un uomo decide quando e come morire, è Europa; ogni volta che non accettiamo la parola ” frocio”, ogni volta che una mitragliatrice tace, lì c’è l’Europa; ogni atto di disobbedienza civile è Europa, Riace è Europa. Ogni volta che rifiutiamo una risposta semplice a un problema complesso, in quel momento stiamo costruendo un pezzetto d’Europa.

LUIGI DI MAIO DAVIDE CASALEGGIOIl prossimo 26 maggio sarà un ballottaggio tra due idee di mondo: empatia e paura, ponti e muri, mondo e villaggio. Possiamo perdere, certo. È possibile, persino probabile. Ciò che davvero nessuno oggi si può permettere di fare è perdere rinunciando a prescindere al confronto. O l’europeismo, l’apertura, la libera circolazione di persone, merci e idee torneranno ad essere di moda, oppure l’Europa, così come la conosciamo oggi, sparirà per sempre. E quello che resterà, sotto al rumore di superficie, saranno i segni di un silenzio terrificante.

Lettera di Lorenzo Tosa a “la Repubblica – Genova”

 

ARTI&AMANTI

ARTI&AMANTI

AMORE D’ARTISTA – AL BARBICAN DI LONDRA UNA MOSTRA CELEBRA LE COPPIE PIU’ ICONICHE DELL’ARTE: FRIDA KAHLO E DIEGO RIVERA, TOMMASO E BENEDETTA MARINETTI, DORA MAAR E PABLO PICASSO…. 

 

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Diego Rivera con Frida Kahlo

Per la Cultura Occidentale un classico leitmotivvincente nella trama dei libretti d’opera – e in seguito dei film – è l’accoppiata “Amore/Arte”. “Modern Couples” al Barbican Centre di Londra ne elenca, come fosse un prontuario ufficiale, le tantissime possibili combinazioni. E’ una collaborazione con il Centre Pompidou-Metz e fa parte di una serie di iniziative chiamate “The Art of Change”. E’ stato coinvolto un piccolo reggimento di curatori (Emma Lavigne, Jane Alison, Coralie Malissard, Elia Biezunski, Cloe Pitiot). Una quarantina sono le storie trattate che si dipanano attraverso gran parte del Ventesimo Secolo, con particolare attenzione ai decenni della cosiddetta Avanguardia.

Il “genio” visto finalmente come processo condiviso o almeno come una questione di “family business”. Dove il partner è anche un collega e viceversa. Innumerevoli le varianti attraverso cui la vita domestica (privata) e la carriera professionale (pubblica) sono state capaci di convivere assieme.

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Picasso con Dora Maar

Si possono intravedere, nei complessi sodalizi dei personaggi, le influenze personali e intime sul processo creativo (nel bene e nel male, ovviamente). La passione, il sesso, l’amore, l’ammirazione, l’amicizia, l’affetto (in proporzioni variabili) dialogano e combattono con il lavoro, l’ispirazione, la ricerca, l’ambizione. Ma c’è anche lo sfruttamento e la gelosia, poco importa se sessuale o professionale, in molti casi i due aspetti si mescolano al punto da essere difficilmente distinguibili (probabilmente proprio ciò che è successo tra Auguste Rodin e la povera Camille Claudel, che finisce i suoi giorni in manicomio). Molti di questi rapporti sembra siano finiti in realtà più per antagonismo professionale che per le solite complicazioni amorose.

Il cervello, le viscere e il cuore lavorano in una delicata e fragile sintonia quando si crea e per capire correttamente la genesi di un’opera d’Arte può essere fondamentale studiare come questa sintonia si evolva all’interno di una dinamica di coppia (meglio ancora, forse, se di coppia aperta e/o fortemente problematica si tratta).

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Tommaso Marinetti con la moglie Benedetta

Relazioni mediamente complicate (lui + lui oppure lei + lei). Oppure “acrobatiche”: più soggetti coinvolti, di solito due lui e una lei o anche due lei e un lui. Anche in quattro o in cinque qualche volta. O addirittura – doppio salto mortale – con un cambiamento di sesso di uno dei partnerlungo il percorso (come nel caso di Lili Elbe e Gerda Wegener, vicenda raccontata al grande pubblico nel 2015 dal film “The Danish Girl”).

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Alcune collaborazioni sono assolutamente leggendarie e arcinote (Frida Kahlo e Diego Rivera) altre invece sono, in pratica, conosciute solo agli specialisti (PaJaMa: Paul Cadmus, Jared French, and Margaret French, moglie di Jared). Un terzetto a tutti gli effetti, PaJaMa, che aveva la sua base nella New York degli anni trenta. Con la loro casalinga semplicità le loro opere fotografiche, surrealiste e visionarie, hanno preceduto (e probabilmente anche ispirato) sia la ricerca di Robert Mapplethorpe che quella di Shindy Sherman.

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Busto di gesso di Lee Miller realizzato da Man Ray

 

Ci sono relazioni relativamente brevi come quella durata neanche due anni tra Vanessa Bell e Roger Fry (Vanessa, sorella di Virginia Woolf, era una pittrice, e Roger anche lui pittore, entrambi gravitavano nel mondo incantato del Bloomsbury Group). Altre che sono durate quasi una vita: per esempio i due artisti russi Natalia Goncharova e Mikhail Larionov, rispettivamente madrina e padrino del movimento “raggista” (niente paura, non c’è nessun riferimento alla sindaca di Roma….) sono stati  felicemente assieme per cinquantaquattro anni. Anche il matrimonio di Aino e Alvar Aalto, i due celebri architetti finlandesi, appartiene alla lista dei “regolari”. Così pure per Tommaso e Benedetta Marinetti. Benedetta, che sopravvisse molti anni al celebre marito, mostrò di avere una verve artistica personale autonoma tutta da riscoprire.

Lee Miller, fascinosa indossatrice e talentuosa fotografa di moda americana, prima ha una breve ed intensissima liasona Parigi con il grande Man Ray, con il quale condivide la concezione (e la realizzazione) di alcuni capolavori iconici dell’Arte Moderna. Poi ne ha un’altra, a Londra, più tranquilla e lunga (circa quarant’anni) con Roland Penrose, poeta e  pittore surrealista.

La bellissima Alma Schindler (per tutti Alma Mahler) comunque non la batte nessuno. È stata, oltre che una pittrice e una compositrice musicale, una vera e propria Musa di professione. Prima di Gustav Mahler, poi di Walter Gropius (il genio del Bauhaus), poi di Franz Werfel. Coltivando nel frattempo per parecchi anni un amore clandestino con il pittore Oskar Kokoschka. Non si è fatta mancare niente.

Ma ci sono anche vicende dove è il maschio che quasi finisce a fare la parte della Musa e la donna diventa il personaggio di successo. E’ il caso di Tina Modotti e di Edward Weston. Dal Friuli, dove è nata, va agli USA dove incontra Weston. Finisce nel turbolento Messico dove diventa un mito della Storia del Socialismo e della Fotografia.

Sonia Delaunay

Una delle coppie vincenti e più equilibrate è stata quella di Sonia (di origine ucraina) e Robert (parigino doc) Delaunay. Ha funzionato in camera da letto e ha funzionato sul lavoro, i quadri e le stoffe ne testimoniano la fortuna.

Probabilmente pochi sono al corrente che Gustav Klimt aveva una fidanzata, Emilie Flöge, che fu per lui molto rilevante anche sul piano professionale oltre che sentimentale. Era una stilista di moda viennese di grande ingegno e rinomanza.

Maria Martins davanti a una sua scultura

Si parla e si scrive sempre tanto (giustamente) della somma importanza di Marcel Duchamp ma invece poco o niente si sa circa Maria Martins, la sua compagna brasiliana. Eppure non era il tipo che stava in casa a ricamare o a riassettare la cucina: era una scultrice molto brava e aveva pure un grande ascendente su Duchamp stesso.

Pablo Picasso e Dora Maar: almeno per lei, slovena e aspirante artista oltre che modella, c’è una stabile presenza nel Gotha della Storia dell’Arte Contemporanea  grazie ritratti che lui le ha fatto.

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Emilie Floge fidanzata di Klimt

Visitare la mostra è una esperienza davvero intensa e ricolma di emozionanti suggestioni. Un paio di ore non bastano per una persona mediamente curiosa. Tra le molte cose presenti nelle sale si incrociano, grazie ad alcuni dipinti, anche temperamenti come quelli della fatale Tamara de Lempicka (una delle pochissime fanciulle che ha saputo dire di “no” a quell’insistente satiro che fu Gabriele D’Annunzio) o della italianissima, elegante e sfortunata Marchesa Luisa Casati.

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Dannunzio e marchesa Casati

Al Barbican stavolta c’è davvero la possibilità – cosa rara ovunque – di imparare una cosa non banale: a ben guardare, tante creazioni artistiche assomigliano alla fine più a delle “suonate a quattro mani” che a degli assoli. Nota Bene: il merito e la gloria però purtroppo, non sono stati, almeno finora, equamente divisi.

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Dora Maar in un quadro di Picasso

 

Articolo di Antonio Riello per Dagospia

In copertina un quadro di Sonia Delaunay

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