CAPOLAVORI DELLA FOTOGRAFIA IN MOSTRA A TORINO PRESSO CAMERA-Centro italiano fotografia.

CAPOLAVORI DELLA FOTOGRAFIA IN MOSTRA A TORINO PRESSO CAMERA-Centro italiano fotografia.

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia presenta, per la prima volta in Italia, la mostra “Capolavori della fotografia moderna 1900-1940. La collezione Thomas Walther del Museum of Modern Art, New York”: a Torino dal 3 marzo al 26 giugno 2022 una straordinaria selezione di oltre 230 opere fotografiche della prima metà del XX secolocapolavori assoluti della storia della fotografia realizzati dai grandi maestri dell’obiettivo, le cui immagini appaiono innovative ancora oggi. Come i contemporanei Matisse, Picasso e Duchamp hanno saputo rivoluzionare linguaggi delle arti plastiche, così gli autori in mostra, una nutrita selezione di fotografi famosi e altri nomi meno noti, hanno ridefinito i canoni della fotografia facendole assumere un ruolo assolutamente centrale nello sviluppo delle avanguardie di inizio secolo.

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Un fermento creativo che prende avvio in Europa per arrivare infine negli Stati Uniti, che accolgono in misura sempre maggiore gli intellettuali in fuga dalla guerra, arrivando a diventare negli anni Quaranta il principale centro di produzione artistica mondiale. Accanto ad immagini iconiche di fotografi americani come Alfred Stieglitz, Edward Steichen, Paul Strand, Walker Evans o Edward Weston e europei come Karl BlossfeldtBrassaï, Henri Cartier-Bresson, André Kertész e August Sander, la collezione Walther valorizza il ruolo centrale delle donne nella prima fotografia moderna, con opere di Berenice Abbott, Marianne Breslauer, Claude Cahun, Lore Feininger, Florence Henri, Irene Hoffmann, Lotte Jocobi, Lee Miller, Tina Modotti, Germaine Krull, Lucia Moholy, Leni Riefenstahl e molte altre. Oltre ai capolavori della fotografia del Bauhaus (László Moholy-Nagy, Iwao Yamawaki), del costruttivismo (El Lissitzky, Aleksandr Rodčenko, Gustav Klutsis), del surrealismo (Man Ray, Maurice Tabard, Raoul Ubac) troviamo anche le sperimentazioni futuriste di Anton Giulio Bragaglia e le composizioni astratte di Luigi Veronesi, due fra gli italiani presenti in mostra insieme a Wanda Wulz e Tina Modotti.

CAMERA ha organizzato la mostra in modo tale che il visitatore potesse avere un primo assaggio e una prima spiegazione del periodo storico coperto. Questo è reso possibile dalla prima parte dell’esibizione, puramente introduttiva, che si svolge nel corridoio della galleria, dove è presentata una timeline che inizia con l’anno 1900 e termina con il 1940. Inoltre, il percorso è arricchito dalla presenza di teche, nelle quali sono esposte alcune prime edizioni di volumi e riviste, essenziali per la narrazione della storia della fotografia di quegli anni.

Umbo (Otto Umbehr), Mystery of the Street, 1928, Gelatin silver print, 29 x 23.5 cm, The Museum of Modern Art, New York, Thomas Walther Collection.

Scattate in città, in campagna, in studio oppure realizzate per le esposizioni storicamente più significative o per pubblicazioni d’avanguardia, queste opere hanno un unico comune denominatore: le radicali innovazioni con le quali i più importanti fotografi del tempo hanno definito e esplorato le loro visioni moderniste. (Citazione tratta da lifestar.it )

Continuando, la mostra è organizzata in aree tematiche. Il primo capitolo è diviso in due sottocategorie; Vita d’artista, che si concentra sul tema della ritrattistica, e Il mondo moderno, che cerca di cogliere l’essenza della vita moderna in quegli anni. Il secondo capitolo si intitola Sinfonia di una grande città; infatti, sotto la spinta della Seconda rivoluzione industriale alla fine del 1800 e il conseguente aumento demografico, i principali centri urbani occidentali cambiano drasticamente il loro assetto. Gli abitanti delle città si trovano sempre di più fagocitati all’interno di un ambiente che impone loro nuovi ritmi di vita.

Segue Purismi, capitolo che rievoca la scelta di alcuni fotografi “d’arte” nell’adottare un approccio “pittorialista”, per dimostrare le qualità artistiche di un linguaggio visto come puramente meccanico. Il percorso passa poi per il capitolo Realismi magici, che raccoglie tutti quei fotografi che, influenzati dalle affermazioni di Freud e dalle spinte del Surrealismo, hanno voluto giocare sul confine tra vivente e inerte, animato e inanimato. Infine, chiude la mostra Esperimenti nella forma, dove le sperimentazioni della macchina fotografica arrivano a toccare nuove e importanti possibilità estetiche.

Testi tratti del comunicato stampa di Camera e dal sito ARTSLIFE https://artslife.com/2022/03/03/la-maestosa-collezione-di-fotografia-di-thomas-walter-in-mostra-a-camera-prima-del-loro-ritorno-al-moma/

LO SPORT SECONDO MARTIN PARR

LO SPORT SECONDO MARTIN PARR

Il Centro Italiano per la fotografia ospita Martin Parr. We ❤ Sports, personale di un mito della fotografia contemporanea, organizzata con il Gruppo Lavazza, CAMERA e Magnum Photos, in occasione delle Nitto ATP Finals. La mostra è aperta dal 28 ottobre 2021 al 13 febbraio 2022.

La sede di CAMERA a Torino

Nel 1986, Martin Parr espone The Last Resort alla Serpentine Gallery e pubblica un libro che ritrae la classe operaia mentre gioca nella degradata città balneare di New Brighton, nel Merseyside. È una mostra che colpisce e lascia il segno. C’è un elemento di controversia nelle sue foto, che resterà nel tempo anche nei lavori successivi. Successivamente rivolge la sua macchina fotografica anche verso la classe media (The Cost of Living, 1989) e più recentemente all’establishment (Oxbridge, scuole pubbliche, Old Bailey ecc.). Agli esordi della sua ricerca lavora in bianco e nero, ma a metà degli anni Ottanta, appena prima di The Last Resort, passa al colore, con traduzioni formali e declinazioni molto vibranti, dopo aver visto le mostre americane di Stephen Shore e William Eggleston due fotografi presi tanto sul serio da essere invitati in quegli anni a esporre in musei pubblici e del fotografo britannico Peter Mitchell. Parr esplora l’identità britannica, in ogni accezione, nel bene e nel male. Sonda le sue forme di svago con ironia e un coinvolgimento empatico. Gli altri suoi soggetti prediletti sono il cibo (lo ha reso protagonista nelle sue immagini prima di tutti gli altri, prima dell’arrivo dello smartphone) e l’effimero.

Martin Parr, Aintree racecourse the grand national Liverpool, England, 2018.

Martin Parr ha opere in molte collezioni importanti, tra cui la Tate, il Museum of Modern Art di New York e il Centro Pompidou di Parigi. Ha diretto la leggendaria Cooperativa fotografica Magnum dal 2013 al 2017. Ha partecipato a più di 100 mostre in tutto il mondo e ha pubblicato più di cento libri del suo lavoro. Nel 2017 ha aperto la fondazione Martin Parr a Bristol, sostenendo ed esponendo il lavoro di fotografi che, come lui, concentrano i loro obiettivi sulla Gran Bretagna. 

Ora vive ancora in Inghilterra, e continua a realizzare fotografie nel posto che conosce meglio e che può esplorare più facilmente, per approfondire sempre più un popolo molto eccentrico, pieno di contraddizioni: “Ho un rapporto di amoreodio con la mia nazione ed è quasi come se fotografarla fosse una forma di terapia – io che definisco cosa sta succedendo, la mia posizione, esprimendo le contraddizioni e l’ambiguità che vedo intorno a me. […] Sono un classico soft left. C’è un elemento di politica nelle mie foto, se lo si vuole trovare. E non è una sorpresa – penso che tutti i fotografi documentaristi, i fotogiornalisti in genere vengono da sinistra. Devi farlo, per essere interessato alle persone”.

Martin Parr, The Perry Family, Grayson Philippa and daughter Florence, 2012, Magnum Photos Rocket Gallery.

Cresciuto alla periferia del Surrey, da famiglia della classe media britannica, Parr è stato un collezionista fin dall’infanzia. Dagli 8 ai 12 anni aveva allestito un museo di storia naturale in cantina. Collezionava palline di uccelli rigurgitate dai rapaci. Oggi invece colleziona libri fotografici. Dopo che la sua collezione principale di libri fotografici è andata alla Tate, ha ricomprato tutti i titoli che aveva raccolto precedentemente. Secondo l’artista britannico anche la fotografia è un atto di collezionismo. Il retaggio collezionistico ha portato Parr a considerare anche le immagini come souvenir. 

Martin Parr, Bristol England, 1995-99.

I ricordi e la maggior parte delle immagini, ormai, sono alcuni dei prodotti del turismo di massa, perché è lì che si trova la nuova ricchezza, quella dei soldi extra che possono essere spesi in vacanza. Dentro i viaggi, i fenomeni del turismo di massa, le manifestazioni sportive, Parr rappresenta la realtà nella sua schietta apparenza, mostra le cose e le persone così come sono, senza mascherare i lati deboli o ridicoli. Per lui il reale è nella maggior parte dei casi molto più coinvolgente di ogni seducente finzione.

Martin Parr, Georgia, USA, Magnum Photos Rocket Gallery.

Eppure vuole comprendere la contraddizione che sta tra la mitizzazione di alcune porzioni del mondo e la realtà. Sente una responsabilità documentaria e combatte la propaganda, da cui siamo circondati, costantemente, su tutti i fronti, che si tratti di cibo, moda, viaggi, vita familiare o altro. L’idea delle riviste di viaggio è quella di vendere vacanze, quindi in esse tutto è bello e perfetto. Non mostreranno mai una scena in cui la gente viene assalita o dove un luogo pittoresco è preso d’assalto dalla massa, perché vogliono vendere sogni. Così pure fanno molte riviste e giornali asserviti ai poteri. Il suo lavoro è quello di mostrare il mondo come lo trova mentre gira per le strade, che ovviamente è molto diverso da quello della propaganda. Fa fotografie serie mascherate da intrattenimento.

Martin Parr, Death by selfie super labo, 2019.

Le sue fotografie sono abbastanza stravaganti, con colori brillanti, che però stanno bene anche sulle pagine dei rotocalchi. Al contempo ci sono altre cose che accadono se si sceglie di guardare con occhi più attenti: dentro le fotografie apparentemente divertenti c’è un messaggio più serio, se si vuole scavare e trovarlo. Parr ci conduce dentro l’apparente superficialità banale del quotidiano, dentro una società sempre più consumista e globalizzata, là dove cerca di evidenziare con divertita ironia qualcosa che appartiene alla dimensione delle questioni universali. In occasione della mostra presso CAMERA –Centro Italiano per la Fotografia, abbiamo chiesto all’autore britannico di parlarci di alcuni temi e delle immagini che sono diventate icone del nostro tempo. 

Martin Parr, Japan versus South Korea dynasty cup, Yokohama Stadium, Japan, 1998.

Di seguito una breve intervista a Parr in occasione della mostra di Camera.

Come trasmetti il tuo personale umorismo attraverso la traduzione fotografica della vita di tutti i giorni? Come fai agire la tua ironia nel gesto fotografico?

Martin Parr: La vita quotidiana è sempre divertente, solo che normalmente non ce ne accorgiamo, perché è tutta intorno a noi.

Come trasformi il banale in qualcosa di originale e interessante?

Concentrandomi su un piccolo aspetto della vita moderna, spero che lo spettatore noti la stessa cosa che ho notato io.

Martin Parr, July horse races durban, South Africa, 2005.

In modo estremamente onesto affermi di essere un turista tra i turisti e un consumatore in una società di consumo. Come cerchi di mettere a nudo l’ipocrisia della società odierna? Come olii i meccanismi che sono alla base del tuo modo di vivere la fotografia?

Io stesso credo nell’ipocrisia. Faccio tutte le cose che critico nel mio lavoro. Il mio grande progetto è ciò che le classi medie ricche fanno nel loro tempo libero, e questo include me.

Siamo interessati ad approfondire alcuni aspetti formali del tuo lavoro: i colori saturi delle immagini, la grana grezza della pellicola. 

Metà delle foto della mostra a Camera sono in digitale, l’altra metà in analogico. Se scatti in negativo a colori con il flash, ottieni questi colori molto saturi, quindi questa è diventata la mia tavolozza, e l’ho estesa alla mia tavolozza digitale. Sono attratto dai colori brillanti. Uso il flash anche alla luce del giorno. Mantiene i colori più intensi, cosa che mi piace.

Martin Parr, Kleine Scheidegg, Switzerland, 1994.

Quanto è importante l’uso del flash anulare nel catturare un aspetto della tua ricerca?

Il flash non ti dà immagini emotive, apre tutto, quindi è perfetto per un punto di vista forense, che mi si addice molto.

Il tuo sguardo sociale è allo stesso tempo ironico ed empatico. Ci fai entrare nelle pieghe più sottili della tua ironia?

Spesso una buona immagine si basa su un’ambiguità o una contraddizione, quindi le cerco perché aiutano davvero a dare alla foto una reale pregnanza.

Martin Parr, Us open, New York, USA, 2017.

Come riesci a non lasciare che i tuoi critici ti chiudano in una categoria, in una definizione o in una ricerca unidirezionale? Come cerchi di uscire da ogni categorizzazione del tuo stile?

Ho molti critici, ma anche molte persone che sostengono il mio lavoro. È sempre strano per me che il mio lavoro sia così controverso, dato che è tutto preso a livello locale, e non argomenti difficili, come guerre o carestie. 

Martin Parr, Dame vivienne westwood, 2012, Magnum Photos Rocket Gallery.

Dalle polemiche sollevate dalle tue fotografie all’interno della società britannica negli anni ’80 fino ad oggi, il tuo sguardo è stato testimone di molti passaggi all’interno della progressione del tempo storico, dove hanno preso forma vari processi di globalizzazione. Quale futuro immagini per le nuove generazioni? 

Le priorità sono sempre mutevoli. Vent’anni fa nessuno parlava veramente del cambiamento climatico e ora è l’argomento numero uno. Penso che l’attenzione a questa causa sarà il grande punto all’ordine del giorno negli anni a venire.

Martin Parr, Roland Garros, Paris, France, 2016.

Che valore dai al senso del kitsch (in chiave creativa)? 

Il kitsch è tutto intorno a noi, solo che la maggior parte delle persone pensa di avere buon gusto e che tutti gli altri siano kitsch. È un’ipocrisia che amo!

Nella tua mostra a CAMERA ci sono anche immagini che documentano vari atteggiamenti di persone immerse nella vita da spiaggia, dove si passa dall’esercizio di vari hobby alle manifestazioni di pigrizia di chi ama riposarsi dopo mesi di lavoro. Come si declina questa serie?

Ho sempre sostenuto che definiamo chi siamo da ciò che facciamo nel nostro tempo libero. Il mio grande progetto di vita è il tempo libero del mondo occidentale, e il tennis e lo sport si aggiungono a questo.

Martin Parr, Sligo races, Ireland, 1981.

In uno dei tuoi primi volumi, A Fair Day (1984), il tuo sguardo si posa sugli atteggiamenti delle persone intente a osservare e praticare le più disparate discipline sportive. Su cosa si basa la tua visione compositiva, capace di coniugare l’analisi dei costumi sociali con una forte attenzione alla resa formale dei gesti e dei movimenti?

Sono sempre alla ricerca di ogni strano accostamento, e in Irlanda sono frequenti.

Lo sport è un tema ricorrente nella tua lunga carriera artistica. Cosa rappresenta per te questa sorta di rituale collettivo e come lo porti nelle tue fotografie?

Mi è sempre piaciuto fotografare lo sport, soprattutto per le folle, grandi e piccole, e per come si dispongono.   

Martin Parr, Us open, New York, USA, 2016.

Le tue immagini dedicate a qualcosa di apparentemente marginale hanno sempre catturato la nostra attenzione, per esempio la serie dedicata ai Supporters, dove lo sport viene raccontato attraverso gadget kitsch, travestimenti grotteschi di mascotte e altri fattori o presenze secondarie. Puoi parlarci di questa tua caratteristica ironica?

Raramente fotografo lo sport in sé. Sono i tifosi che mi interessano, le cose che portano e la loro dedizione ai loro eroi, come Roger Federer.

Cosa hai colto nell’ambiente delle corse dei cavalli, un gioco particolarmente amato dagli inglesi, al quale hai dedicato molte riprese fotografiche?

Tra tutti gli sport l’ippica è il mio preferito, soprattutto perché tutti si vestono bene, gli uomini con i loro abiti e le donne con eleganti cappelli. Questo è sempre un buon punto di partenza per fare delle foto.

Martin Parr, Us open, New York, USA, 2017.

Come hai curato le immagini del volume Match Point pubblicato da Phaidon e composto da oltre 80 fotografie dedicate al mondo del tennis?

Stampo sempre la short list di circa 200 immagini su carta da 20/30 e poi la passo attentamente in rassegna e finisco con un’altra short list di poco più di 100 immagini. Da quel momento in poi, lavoro con l’editore, cercando di capire quali immagini vanno insieme e la loro sequenza, fino ad arrivare a circa 80 immagini.

Martin Parr, Us open, New York, USA, 2017.

Dopo molti anni di lavoro con lo sguardo e di studio delle persone  hai pubblicato circa 70 libri fotografici  dove dirigerai la tua ricerca e il tuo interesse? Cosa ti piace osservare ora, alla luce di tutto quello che hai osservato fino ad oggi?

Ci sono sempre più foto da fare, ci sono voluti circa 50 anni per accumulare circa 100 buone foto, quindi se ne fai più di 2 all’anno, stai facendo molto bene.

Siamo molto interessati a esplorare le analogie tra le varie forme di osservazione della realtà. In molte delle tue serie osservi (e catturi con la tua macchina fotografica) qualcuno che sta osservando qualcos’altro. Riprendi da dietro qualcuno che sta osservando un evento o un fatto casuale della sua esistenza in un certo momento della giornata. Cosa risiede in questo osservare le azioni di una persona che in quel determinato momento è uno spettatore?

Bisogna cercare di trovare una foto che abbia una torsione o un piolo, quindi spesso si vedrà la nuca e quello che stanno guardando sarà anche lì. Fare questo tipo di connessioni è importante perché rende le foto vive.

Martin Parr, Portrait of Martin Parr at us open Louis Little, New York, USA, 2017.

Intervista a cura di Sara Benaglia, Mauro Zanchi

SCUOLA HOLDEN

SCUOLA HOLDEN

bariccoBARICCO

Il gruppo Feltrinelli è divenuto l’ azionista di maggioranza della Scuola Holden, l’ accademia di scrittura creativa fondata da Alessandro Baricco a Torino nel 1994. Feltrinelli da qualche giorno ne detiene il 51,5%, di fatto controllandola. La Holden, nata in origine come una sorta di bottega per aspiranti scrittori, alla maniera dei writing workshop americani, negli anni è cresciuta sempre più.

Sono arrivati nuovi partner finanziari – come appunto Feltrinelli, inizialmente al 31,5% – che ne hanno permesso l’ ampliamento mediante l’ acquisto, per esempio, dell’ ex caserma Cavalli, un edificio storico di 5000 metri quadrati. Anche i corsi si sono evoluti, affiancando alla scrittura ogni tipo di media; come pure si sono evoluti i docenti, ormai tutti nomi che chiamano (molti provenienti dal parco autori Feltrinelli) invitati a tenervi costosi master o molto reclamizzate lezioni.

farinettiFARINETTI

Sicché oggi il gruppo editoriale Feltrinelli, il quale già pubblica distribuisce e controlla diverse case editrici (tra possedute e partecipate siamo circa a una decina di marchi), si perfeziona con un ultimo prezioso tassello, quello dell’ ideazione dei contenuti. Ora Feltrinelli copre tutta la filiera: dall’ autore fino al consumatore.

Attraverso la Holden, l’ editore si garantirà (ma forse il verbo più corretto è alleverà) un nuovo serraglio di autori, per dir così Feltrinelly correct, capaci cioè di realizzare in un modo dolce quella «persuasione permanente» che era uno dei sogni di Antonio Gramsci. Diciamo che se in politica s’ invoca sempre a gran voce il pluralismo, in ambito di editoria e affari è molto meglio l’ oligopolio, in vista del monopolio assoluto (essendo rimasti ormai in Italia solo due colossali competitori, ossia Feltrinelli e Mondadori). Al punto che sarà sempre più lecito domandarsi da intellettuali e cittadini: e chi la pensa diversamente? Per intenderci non come Feltrinelli & soci?

Avrà ancora la possibilità di essere pubblicato, distribuito, letto? oppure gli resteranno solo i muri nei bagni delle stazioni per gridare il proprio «no»?

Oltre all’ ideologia che persiste sotto nuove forme, oggi come ieri, in questo riassetto societario s’ intravede pure, mescolato a frasi da parata sull’ importanza umanistica dell’ educazione, l’ interesse per il nuovo business della formazione (si veda a ulteriore esempio l’ Academy del Corriere della Sera appena varata da Urbano Cairo). Il corso di scrittura della Scuola Holden sarà presto parificato a un corso di laurea triennale del Dams, diverrà così la prima laurea in scrittura d’ Italia, la seconda in tutta Europa.

guerraGUERRA

Ora, considerando che in Italia esistono ormai più aspiranti scrittori che lettori, ciò trasformerà la Holden in un opulento diplomificio, seppure sempre smart e cool, secondo le logiche americane di scrittura-contabile importate qui da Baricco. Il numero dei partecipanti – un tempo di 40 l’ anno – è cresciuto negli anni fino a 400, e ancor più crescerà con la nuova dirigenza Feltrinelli; come d’ altronde è cresciuta la retta della scuola (di base 10.000 euro l’ anno), più simile a quella di un campus, o di un master, che non a una scuola per aspiranti scribacchini. Ma come dar torto alla Holden e a quelli che la gestiscono, quando, come la sofistica antica, tale scuola dei miracoli promette d’ insegnare come far denaro con le chiacchiere – in inglese storytelling – per poi sfondare nel mondo dell’ editoria. Bisogna però ricordare a tutti quei giovani speranzosi che s’ iscriveranno per dotarsi di un curriculum alla J.D. Salinger, che, come durante la corsa all’ oro nel selvaggio West, ad arricchirsi alla fine non erano tanto i cercatori – i cenciosi padellari – ma chi vendeva loro pale e picconi restando al caldo negli empori.

farinetti fico eataly worldFARINETTI FICO EATALY WORLD

La scalata di Feltrinelli alla Holden, che si stima milionaria, rimane a detta degli stessi interessati pur sempre una cosa «tra amici» (cioè con grandi pacche sulla schiena e sorrisi) e coinvolge Carlo Fitzgerald Feltrinelli, fresco presidente del consiglio d’ amministrazione, Alessandro Baricco preside e docente (che conserverà il 25,5% della scuola), Andrea Guerra manager ex consigliere di Matteo Renzi (7%), nonché Oscar Farinetti (che attraverso Eataly ne detiene il 16%), il quale com’ è risaputo – tra un affare enogastronomico e l’ altro – ammazza il tempo scrivendo libri che spaziano dal saggismo filosofico alla poesia intimista.

alessandro bariccoALESSANDRO BARICCO

Vena di certo ottima per tenere una lectio magistralis alla Holden, ma invero non molto apprezzata né da intenditori che posteri.

Articolo di Marco Lanterna per la Verità

SALONE SENZA USO DI LETTURA

SALONE SENZA USO DI LETTURA

 

 

SI CHIUDE CON SUCCESSO DI PUBBLICO IL SALONE DEL LIBRO DI TORINO- RESTA LA DOMANDA: MA PERCHE’ LA GENTE NON LEGGE E POI PARTECIPA IN MASSA  A QUESTI EVENTI?- COLPA DEGLI EDITORI, PENURIA DI AUTORI, O PERCHE’, PER CAPIRE LA VITA, BASTANO 140 CARATTERI?  

 

Avevo giurato a me stesso che non ci sarei più andato. Un amico mi chiama: dai, vieni, che presento il mio libro. Tergiverso, ho già il suo libro, con tanto di dedica, magari, se posso.. Ma è il secondo assalto quello sotto cui soccombo. E’ un congiunto. Al Salone, la sua segretaria, una rumena, presenta il suo libro. Vuole che ci vada per rappresentarlo, lui è all’estero. Dialogo telefonico:

Una rumena? E scrive?

Perchè non scrivono i rumeni?

Ma in italiano?

Sì, in italiano.

Ma è brava?

Non so, credo, se glielo hanno pubblicato…

Ma di cosa parla?

E’ un libro per bambini…

E che c’entro io? Respiro.

Oggi sono quelli che tirano, sul mercato, insieme a Montalbano.

Allora è per questo che anche a Saviano hanno pubblicato quello della paranza…?

Che c’entra, quello non è letteratura per bambini, mi dice spazientito.

Ma se parla di bambini già nel titolo, gli faccio.

Ma che bambini – mi replica- quelli sono camorristi!

Ma che fai discrimini? I bambini sono bambini.

Senti, non cominciare… Vacci e basta!

 

Ed eccomi qui nei vecchi capannoni del Lingotto di Torino, al Salone internazionale del libro, giunto al 30° anno. Li dimostra tutti, forse anche di più.

Già dal manifesto, intitolato: oltre il confine. Si vede una donna di spalle che guarda lontano, arrampicata su un libro aperto, posto a cavalcioni di un muro. Chiara allegoria del potere della lettura. Forse una scala, con gradini fatta coi libri, sarebbe stata più comoda e stabile. Così, il manifesto, è un’allegorica, irresistibile icona alla inappetenza profonda (di lettori) e alla bulimia (di libri). Quella povera donna lassù fugge dalla realtà, raggelata dalla visione di un tramonto editoriale sempre più cupo? Poco convinto entro, depositando il modesto obolo.

Di internazionale, il Salone ha soprattutto le dimensioni: 30 sezioni, 27 tipologie, centinaia di espositori, soprattutto nostrani, e di editori (secondo l’Istat in Italia parliamo di oltre 2 mila), quel mondo sommerso e intonso che rispunta ad ogni acquata, come i funghi, poi si iberna. Gli eventi, cronologicamente scanditi dalle 10 antimeridiane alle 20 di sera, sono centinaia ogni giorno, inesorabilmente sovrapposti a decine nella stessa fascia oraria. Gli indecisi, titubanti, incerti o tentennanti è meglio stiano a casa, per non soffrire del noto male morettiano: mi notano di più se…… Anche i visitatori non mancano, anzi è un successo come non mai! (dai, che la crisi è passata e l’abbiamo messa in quel posto ai milanesi arroganti…). Il traguardo dei 100 mila è lì a portata di mano, e senza truccare i numeri, questa volta. Grazie alla politica dei prezzi, agli esoneri scolatici, al riguardo verso categorie protette, anziani, volontari, umarel (nota classificazione sociologica by Nicoletti) sono scesi a frotte: eccoli lì caotici, variopinti, chiassosi, straripanti. Assediano, più che gli stands, i posti di ristoro, in una calca sudata, per contendersi un pezzo di pizza, circondati dal fumo grigiastro di toast bruciacchiati. Le scolaresche sono un po’ come sciami nerastri di cavallette, si ammassano inesorabili, diventano un muro invalicabile. Qualcuno già stanco dorme rannicchiato in un angolo, sotto uno scivolo, la testa sullo zaino.

Foto Marco Alpozzi – LaPresseTorino 

Trovare le case editrici, gli spazi dei dibattiti è laborioso. Una volta dentro, l’assordante rumore ambientale impedisce l’ascolto dell’oratore. L’impressione è di essere immersi in una serra tropicale, in una babele capricciosa di suoni e parole senza senso.

Solo dopo (ahimè!) scopro che gli organizzatori hanno messo in piedi un buon servizio di streaming che permette di partecipare agli eventi ritenuti più importanti o rappresentativi. Anche la copertura radiofonica è egregia, con interi pomeriggi dedicati al Salone da Rai3. Gli organizzatori, nel braccio di ferro con Milano, (parliamo sempre di un mercato di 1.200 miliardi di euro) hanno avuto la buona idea di aprire il salone off, il quale, come un fiore notturno, si dispiega quando quello del Lingotto chiude (o quasi), ma in forma decentrata, cioè disseminato sul territorio. Hanno in po’ esagerato, poi, perché più che disseminato in realtà hanno polverizzato gli eventi nei posti più improbabili: ne ho contati 400, sbaglio?  

Foto Marco Alpozzi – LaPresse Torino

Un’altra furbata, dal sapore tutto politico, è quella del Superfestival, una iniziativa che dà parola e visibilità ai festivalieri italiani, con l’idea di un coordinamento fra di loro: velleitaria, che non eviterà sovrapposizioni e concomitanze, ma è sempre un primo passo per uscire dal provincialismo che ci rende un po’ tutti degli eremiti di massa (copyright Nicholas Negroponte).

Oggi 21 maggio si chiude in bellezza (si fa per dire). Sul palco il divo anticamorra Roberto Saviano, che esordisce con un elogio alla lentezza: parlare, ascoltare, sfogliare. Sì, magari accanto al fuoco e una coperta sulla gambe. In quella bolgia? Abbiamo visto cose diverse lui e io.

Mentre esco, in preda all’arsura (non ho osato nemmeno avvicinarmi alla calca pizzaiola e di bagni non c’è che una incerta, remota indicazione), sento una spina che mi tormenta: ma quelli che ho visto sono tutti lettori o aspiranti scrittori? Ricordo che già Leopardi lamentava di quanto, a metà dell’ottocento, fossero scarsi i lettori.

A casa consulto le statistiche Istat: vengono pubblicati ogni santo giorno 215 titoli, pari a oltre 62 mila di carta e 57 mila digitali all’anno; in commercio (senza contare quelli vecchi ancora in circolazione) ci sono oltre un milione di libri; dal 2013 ad oggi i lettori sono diminuiti progressivamente, reggono solo i ragazzi e le donne; nel totale il 42% circa degli italiani dichiara di non leggere più di un libro all’anno. Ogni famiglia non spende in un anno più di 11 euro per libri,… scialacquatrici!

Dunque? Questa kermesse che senso ha? A cosa serve? Va bene una vetrina per incontrare gli autori, magari per tentare una presentazione dei loro libri, ma tutto questo è poi utile? Ma, forse sono io, come al solito, a farmi troppe domande. L’importante è partecipare….. ( o forse no?) Per la cronaca: Nanni Moretti non si è visto.

 

 

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