OGGI A LEZIONE FACCIAMO A CAZZOTTI

OGGI A LEZIONE FACCIAMO A CAZZOTTI

Genitori violenti e insegnanti picchiati, è il trionfo dell’Italia coatta.Notizie di professori aggrediti riempiono ogni giorno i giornali. È la vittoria dell’Italia coatta, a cui piace prendersela con i deboli. Forse l’idea di una scuola aperta ci ha un tantino preso la mano.

 

Su un suo blog, tale Trucebaldazzi, esprime così il suo odio viscerale per la scuola. Da rabbrividire!

Leggete:

La mia cazzo di vita l’ho passata con farmaci e calmanti
Tanto gli insegnanti sono degli infami, fanculo
Io vado in giro con la collana rap con le lamette
Fotte un cazzo a me dello stato
La mia mente parla di morte, sangue, odio e dolore
Per sputtanare queste merde di scuola
Io sono stato punito, costretto dagli professori infami delle scuole medie
Un branco di bestie di merde
Può sembrare il rovescio della medaglia della posizione allarmata di Flavia Perina, nell’articolo che riporto. Sono due aspetti di uno stesso problema: il degrado di una istituzione,la scuola, che si muove in una società degradata, formata da famiglie degradate, che pari sono fra di loro: hanno perso ogniuna la funzione educativa.
Flavia Perina commenta la violenza nei confronti degli insegnanti, assolutamente intollerabile e ingiustificabile. Ma la cronaca ci dice di un’altra violenza, anch’essa in crescita: quella degli insegnanti (per mancanza di prove) verso gli alunni. Una violenza entra nella scuola, l’altra nasce dalla scuola. Ma, a ben vedere, la scuola è solo il set dove le due violenze si incontrano, e come in un film che si rispetti è sempre il più forte e prepotente a predominare, non certo la ragione e la tolleranza.
 

 

L’ultimo caso è il genitore di Palermo che va a prendere la figlia (scuole medie), quella gli racconta di essere stata strattonata dal professore (non era vero), lui entra in classe, sferra un micidiale cazzotto all’insegnante, peraltro ipovedente e poco in grado di difendersi, lo atterra, seguono calci e ricovero con 25 giorni di prognosi per emorragia cerebrale (è vero). Prima c’era stato il papà del tredicenne di Treviso, due pizze al docente di matematica troppo assertivo nel chiedere al ragazzino di uscire in cortile insieme agli altri a ricreazione (Versione del padre: «Ho dimostrato a mio figlio che ha un papà che per lui fa di tutto. Chiedere scusa? Non ci penso nemmeno»). Prima ancora la coppia di Avola, mamma e papà quarantenni, che fanno irruzione nella scuola media Vittorini: il pupo ha telefonato lagnandosi dei rimproveri maestro di ginnastica, loro se lo fanno indicare (il mastro, non il pupo) e lo pestano davanti a tutti.

Prima c’era stato il papà del tredicenne di Treviso, due pizze al docente di matematica troppo assertivo nel chiedere al ragazzino di uscire in cortile insieme agli altri a ricreazione

L’Italia coatta dà il meglio di sé nell’istituzione scolastica, dove può cimentarsi con insegnanti di mezza età – categoria poco adusa allo scontro fisico – e dimostrare al mondo come si risolvono i problemi. Probabilmente vorrebbe menare anche altri soggetti, il capufficio che obbliga al cartellino, il vigile che multa la sosta in doppia fila, il gruppo di nigeriani all’angolo che costringe ad attraversare il marciapiede per sicurezza, ma sono tutte categorie a rischio. L’Italia coatta è anche vigliacca, preferisce i maestri. Che di solito non denunciano (non hanno soldi per gli avvocati) e non vengono col machete sotto casa. L’Italia coatta potrà raccontare a se stessa e agli amici che lo ha fatto per per il pupo. Per senso di giustizia. Perché stufa di prepotenze. Più o meno gli stessi motivi di Don Vito Corleone, solo ridotti in miniatura, a misura di tinello.

L’Italia coatta ama prendersela coi più deboli. E’ la stessa che su internet applaude i gendarmi francesi che strattonano l’immigrata incinta («Poteva scendere dal treno se non voleva essere menata, le regole vanno rispettate»), ama la giustizia fai-da-te dei pistoleri, gonfia il petto raccontando come ha scacciato il vucumprà al semaforo. I figli sono piezz’e core ma soprattutto proprietà. Il padre coatto rivendica il diritto esclusivo di menare, intimidire, rimettere in riga la prole, e mal sopporta le interferenze della scuola. «Giù le mani dalla roba mia» dice ogni volta che alza la voce nei colloqui o fa ricorso al Tar per un sette in condotta giudicato immeritato.

L’Italia coatta potrà raccontare a se stessa e agli amici che lo ha fatto per per il pupo. Per senso di giustizia. Perché stufa di prepotenze. Più o meno gli stessi motivi di Don Vito Corleone

La scuola, la società, nulla possono contro questo genere di matti. L’unica, forse, sarebbe rompere ogni rapporto con le famiglie, tornare all’era pre-decreti delegati, la riforma che portò padri e madri nei consigli d’istituto, e rendere l’istituzione impenetrabile e misteriosa, i suoi giudizi inappellabili, le sue gerarchie non contestabili, chiarendo che la patria potestà si ferma al portone delle medie o del liceo e che una volta dentro i ragazzi debbono spicciarsela da soli. È un paradosso, certo, ma l’Italia coatta che sceglie la scuola come bersaglio facile lo fa, anche, perché lì può entrare come nel burro. Non c’è altra istituzione – la sanità, la politica, la giustizia – dove si può fare irruzione ed esercitare analoga prepotenza senza pagare dazio.

L’alternativa è rassegnarsi all’Italia coatta, alimentando sotto il velo di una pedagogia amichevole e tollerante l’escalation del rancore tra famiglie, insegnanti, studenti: non più il conflitto aperto e tutto sommato creativo degli anni dei grandi casini scolastici, delle marce, delle occupazioni, ma le piccinerie vendicative e le rappresaglie balorde che vediamo ogni giorno. Meglio davvero rimettere l’insegnamento sul piedistallo, magari per tirargli i pomodori, che vederlo umiliato dalle risse di cortile.

In copertina un’opera allegorica di Aurelio Carpi

 

AMICI ARTISTI FOLLI E STRAFATTI: VI PRESENTO LA B.G.

AMICI ARTISTI FOLLI E STRAFATTI: VI PRESENTO LA B.G.

IL FASCINO INTATTO DELLA BEAT GENERATION SULLE ORME DI KEROUAC E GINSBERG– DAI RICORDI DI GARY SNYDER, POETA PREMIO PULITZER, DALL’ALTO DELLA SIERRA NEVADA, LA STAGIONE DI ON THE ROAD E DI HOWL, CHE SCOSSERO L’AMERICA BIGOTTA E PURITANA.

Non accetto visitatori», premette e promette Gary Snyder, poeta americano, 87 anni, ultimo grande protagonista della Beat Generation e della rivoluzione hippy con Lawrence Ferlinghetti e Michael McClure. Ma se a San Francisco il 98enne Ferlinghetti ancora possiede l’ omerica libreria City Lights e McClure a 85 anni ha un’ esposizione pubblica intensa, Snyder è un eremita della foresta, affilato come il freddo dei suoi altopiani. Il suo segreto mondo antico Snyder lo ha battezzato “Kitkitdizze”, come i nativi Miwok qui chiamavano la Chamaebatia foliolosa, un arbusto locale, aromatico e sempreverde.

Il poeta Gary Snyder

Arrivarci a Kitkitdizze, una bizzarra casa di legno conica e orientale, a oltre tre ore da San Francisco, è tortuoso. Sulla Sierra Nevada, oltre i mille metri, la neve resiste, come Snyder. Sotto il ghiaccio la strada è sterrata.

Snyder, premio Pulitzer per la poesia con Turtle Island, vive qui da quasi cinquant’ anni. Senza rete elettrica ma con illuminazione a kerosene, un pollaio, una sauna e un telefono alimentato da un’ antenna satellitare. «Alla fine degli anni Sessanta», insieme ad Allen Ginsberg e altri buddisti zen, «ho comprato questo pezzo di terra da un amico. Da quassù», sottolinea Snyder, «scorre tutta l’ acqua che arriva a valle nella California, verso l’ oceano. Questo è un luogo di vita».

Da quando però dieci anni fa è morta la sua seconda moglie Carole Koda, cui Snyder ha dedicato un soffice poema nell’ ultima raccolta Questo istante presente (ed. Jouvence, curata da Giuseppe Moretti), «vivo col mio cane, Emi, che dopo 14 anni mi fa ancora compagnia». Della morte Snyder non ha paura («non mi sono mai organizzato la vita come se dovessi vivere in eterno, come fanno in tanti oggi») «e non mi sento solo».

Dopo la stanchezza della corsa all’ oro, l’ area è nuovamente popolata. E oggi questi “ri-abitanti” sono contadini, post-hippy e montanari che «mi passano a trovare. Parliamo di politica oppure meditiamo insieme: ma non è una festa. La meditazione è un intervallo difficile, è l’ osservazione della propria coscienza».

Foto giovanile di Allen Ginsberg

Kitkitdizze è l’ incontestabile tempio spirituale, il codex ideologico dell’ eco-poeta Snyder: qui ci sono il suo ambientalismo puro e primordiale, il suo irriducibile naturalismo, il suo orientalismo e il buddismo zen amati sin dai primi studi di cinese e giapponese e sfamati dalle costanti trasferte giovanili in Asia.

«Noi della California e della Costa occidentale siamo diversi, da tutto e tutti», chiarisce Snyder, «da qui guardiamo al Pacifico, sappiamo che gli asiatici arrivarono ben prima degli europei attraverso il Mar di Bering. Io ho fatto il viaggio opposto: a 18 anni ho preso una nave per il Giappone e sono diventato monaco». Poi ha girato India, Cina e altra Asia, insieme alla prima moglie Masa, ad Allen Ginsberg e Peter Orlovsky, il sodale Philip Whalen e il “pionnier” della Beat Generation Jack Kerouac, che a Snyder dedicò il personaggio di Japhy Rider, mezzo hippy mezzo santone buddista, mezzo vagabondo letterario, protagonista del suo romanzo I vagabondi del Dharma, sequel tortuoso di Sulla strada.

Ma non lo dite a Snyder. «Perché dobbiamo parlarne? Perché?

Allen Ginsberg con Peter Orlowski

Japhy Rider non sono io, non sono io! È chiaro?». Ma è un personaggio evidentemente ispirato a lei. «Kerouac ha scritto tanti altri bei romanzi, come Il Dottor Sax, che non conosce quasi nessuno perché le persone non leggono con attenzione. I vagabondi del Dharma, anche se ha ispirato la cultura americana del viaggio e dell’ orientalismo, sicuramente non è uno di questi».

Ma, al di là dell’ aspetto caricaturale che la irrita, è vero che Kerouac le scrisse affranto dopo i suoi giudizi negativi e scene poco gradite come quella del sesso tantrico?

«Sì, mi doveva delle scuse. Ma oramai era troppo tardi.

Con Jack eravamo buoni amici, anche se mi sono reso conto di non averlo mai conosciuto fino in fondo. Jack è stato sempre un po’ sciocco, ma comunque carino e brillante a modo suo, e pure divertente. Peccato che sia poi ripiombato nella cristianità e di lì a poco sia morto. Ginsberg era sicuramente più simpatico. Basta parlare di Kerouac».

William S Borroughs con Jack Kerouac

E allora parliamo di Ginsberg: «Negli anni Cinquanta, dopo la laurea, me lo presentò Kenneth Rexroth (altro grande poeta del Rinascimento di San Francisco, ndr). Di lì nacque una bella amicizia e viaggiammo molto insieme, anche in Asia, dove incontrammo il Dalai Lama», che Ginsberg voleva iniziare all’ Lsd, «ma non sono mai stato gay, tantomeno con lui, chiaro?». Ok.

Ginsberg alla Six Gallery di San Francisco, mentre declama Urlo.

Ma Snyder è anche uno dei pochissimi superstiti della notte magica del 7 ottobre 1955 alla Six Gallery di San Francisco (oggi ristorante turistico), dove Ginsberg lesse per la prima volta lo scandaloso Urlo sobillando censura e processi: «Che momento!», esclama Snyder mentre affastella i ricordi, «eravamo tutti lì a leggere poesie che non sarebbero mai state accettate da alcun dipartimento di inglese, figuriamoci dagli intellettuali di New York. Ma oramai eravamo un’ onda inarrestabile. Un linguaggio incontenibile. Quella sera avvenne il primo vero evento pubblico di una nuova subcultura, quella della West Coast: molto più tollerante ma ribelle, eterogenea ma invasata da uno spirito estremamente libero rispetto a quella della costa orientale e cristiana. Fiorì così la tradizione orale della poesia americana del XX secolo. C’ era una sinfonia organica e silenziosa tra noi».

«Lo stesso accadde allo Human Be-in», il grande raduno a San Francisco del 1967 liberato dal soffio di Snyder in una conchiglia che seminò la rivoluzione hippy.

«Quanta gente c’ era. Quell’ Estate dell’ Amore provocò una sommossa materiale, contadina, poi radicatasi nelle campagne, come ho fatto io. Gli anni Sessanta e Settanta stravolsero ogni piano della società, della cultura e delle arti americane. Ma la più grande eredità per me è stata una nuova sensibilità per la natura».

Quella sera dell’ Urlo di Ginsberg, Snyder lesse A Berry Feast, (la festa della bacca). «Perché è il senso ultimo della natura: le bacche crescono spontaneamente nei boschi, cibano animali e persone senza che questi se ne accorgano.

È il naturale regalo della natura.

La cosa più importante che ho imparato a Kitkitdizze è studiare il comportamento degli animali. Mi fanno capire così tanto della disciplina della natura e quindi della vita. Perché noi umani siamo animali, sospesi nella congiunzione tra natura e umanità. Se ci considerassimo davvero animali, riusciremmo a rispettare e soprattutto a condividere la natura. Ecco come bisogna vivere questo nostro istante prese

Articolo di Antonello Guerrera per “la Repubblica

 

Un articolo sulla beat generatione e Keruoac lo potete trovare sul sito (qui) 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANCHE LUI HA LASCIATO IL NIDO

ANCHE LUI HA LASCIATO IL NIDO

È MORTO IL REGISTA MILOS FORMAN-

Aveva 86 anni ed era famoso per “Qualcuno volò sul nido del cuculo” e “Amadeus”, per i quali aveva vinto due premi Oscar

 

Il regista Miloš Forman a Roma il 23 ottobre 2009 (ernesto Ruscio/Getty Images)

Miloš Forman, regista ceco famoso per film come Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) Amadeus (1984), è morto venerdì a 86 anni. La notizia è stata confermata all’agenzia di stampa ceca CTK dalla moglie, che ha spiegato che Forman è morto dopo una breve malattia. Nella sua carriera, Forman vinse due Golden Globe e due premi Oscar, per i suoi due film più famosi, e si fece conoscere per il suo impegno contro il regime comunista in Cecoslovacchia. Aveva diretto nel 2006 il suo ultimo film, L’ultimo inquisitore.

 

Era nato nel 1932 a Caslav, nell’attuale Repubblica Ceca, e i suoi genitori morirono nei campi di concentramento nazisti durante la Seconda guerra mondiale. In seguito scoprì che il suo padre biologico non era l’uomo che lo aveva cresciuto. Studiò cinema e scrittura a Praga, dove fece le sue prime esperienze nel settore: negli anni Cinquanta scrisse le sue prime sceneggiature e nel 1964 diresse il suo primo lungometraggio, Asso di piccheGli amori di una bionda, uscito nel 1965 e ambientato in una fabbrica di scarpe cecoslovacca in cui lavorano principalmente operaie donne, fu il suo primo successo internazionale e fu candidato all’Oscar per il miglior film straniero, al Golden Globe e al Leone d’Oro a Venezia, ma non vinse nessuno dei tre premi.

 

Dopo l’invasione comunista del 1968, Forman lasciò la Cecoslovacchia per gli Stati Uniti, dove nel 1971 diresse il suo primo film, Taking Off, che vinse il premio della giuria a Cannes. Ma fu nel 1975 che raggiunse la grande fama, con Qualcuno volò sul nido del cuculo, il secondo film della storia a vincere i cinque premi Oscar più importanti, dopo Accadde una notte di Frank Capra (dopo successe solo a Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme). Raccontava la vita in un ospedale psichiatrico americano, e fu da subito celebrato per la sensibilità e per l’impegno civile, oltre che per la famosissima interpretazione di Jack Nicholson.

 

 

Quattro anni dopo, Forman girò Hair, un musical pacifista sulla guerra in Vietnam ricordato come uno dei migliori degli anni Settanta. Nel 1984, Forman si confrontò con un genere totalmente diverso in Amadeus, un kolossal sulla vita del compositore Wolfgang Amadeus Mozart che fu un enorme successo commerciale ed è ancora oggi uno dei più conosciuti film sulla musica. Vinse otto premi Oscar e quattro Golden Globe.

 

Tra gli anni Ottanta e i Novanta, Forman si dedicò molto meno al cinema. In 12 anni fece solo due film: nel 1989 uscì Valmont, basato sul romanzo Le relazioni pericolose, mentre nel 1996 uscì Larry Flint – Oltre lo scandalo, nel quale Woody Harrelson interpretava un grande imprenditore del settore pornografico, e che trattava i temi della libertà di espressione e della censura. Nel 1999, Forman diresse il suo ultimo film di successo, Man on the Moon, sulla vita del comico americano Andy Kaufman, interpretato da Jim Carrey. Il film fu molto apprezzato, soprattutto per la performance di Carrey, sulla quale è uscito anche un recente documentario.

 

 

L’ultimo inquisitore, uscito nel 2006 e con Javier Bardem e Natalie Portman, parla della vita del pittore spagnolo Francisco Goya, ed ebbe di nuovo un buon successo di critica. Nell’ultimo periodo, Forman aveva avuto gravi problemi alla vista per via di una malattia a un occhio: nel 2011 era comparso come attore in Les bien-aimés, insieme a Catherine Deneuve.

Articolo apparso su Il POST.it (qui)

 

L’ULTIMO PARADISO

L’ULTIMO PARADISO

ORA TRUMP GETTA ANCHE LA CHIAVE: NEI PARADISI FISCALI IL FISCO SARA’ DESTINATO A NON ENTRARE NEMMENO IN PUNTA DI PIEDI- CON LA GUERRA DEI DAZI E’ PRONTA LA SPALLATA  A CIO’ CHE RESTA DEL CSR (LO SCAMBIO DI INFORMAZIONI FRA GLI STATI CONTRO GLI EVASORI) ?  COSI’ LA PENSA LUCIGNOLO.

 

“Milano!”

“Via o Piazza?”

“Milano città!!! Si sbrighi!!! [che ho la Finanza alle calcagna]”

Comincia (e finisce) così il film di qualche anno fa A tu per tu, con Johnny Dorelli, Paolo Villaggio ed una comparsata di una giovanissima Moana Pozzi.

Pellicola demenziale e grottesca ma…. molto ben documentata sui paradisi fiscali e sui loro frequentatori e meccanismi.

Paradisi fiscali che per lunghissimo tempo hanno servito benissimo gli interessi anche dei singoli, delle persone fisiche, e non solo delle multinazionali (link a Banane in paradiso).

Bei tempi quelli in cui gli spalloni sul confine svizzero si erano convertiti dal trasporto di sigarette a quello di valuta. Tempi ruggenti quelli in cui al confine con Ventimiglia ogni tanto veniva fermata una macchina imbottita di valuta, mentre i Ranieri di Monaco dichiaravano alla stampa che “l’evasione fiscale non esiste”

Tempi interessanti, perché anche i paradisi fiscali si facevano concorrenza tra di loro (chi di spada ferisce…).

Ad esempio, il Principato di Monaco non tassa i redditi, ma applica la tassa di registro sulle compravendite immobiliari (un po’ come la Cina Popolare). Cosa era successo ad un certo punto? Che moltissime compravendite non erano più dichiarate, poiché gli immobili erano intestati a società offshore e bastava pertanto trasferire la società per trasferire l’immobile, così che il Fisco monegasco non incassava perchè il proprietario era formalmente sempre lo stesso.

 Bei tempi (si fa per dire), che però sono andati.

Obama, sempre lui, pieno di idealismo e di buoni propositi, a seguito della crisi del 2008 ha cominciato a voler tassare i capitali dei cittadini Usa parcheggiati nei paradisi fiscali. Ha così minacciato di interrompere i rapporti commerciali e di sanzionare i Paesi e le istituzioni finanziarie che garantivano l’anonimato ai cittadini americani. Essendo gli Usa (allora più di oggi) la superpotenza economica del mondo, tutti si sono conformati, e si è arrivati al Facta (Foreign Account Tax Compliance Act ) . Più di 100 paesi, inclusi i paradisi caraibici, hanno cominciato a trasmette i dati dei cittadini Usa al fisco americano.

A seguito di ciò tutto il mondo si è voluto adeguare.

L’OCSE ha proposto ed approvato nel 2014 uno schema di accordo per lo scambio automatico delle informazioni finanziarie (CRS, Common Reporting Standart) (qui) 

Passando per ratifiche ed applicazioni graduali si è ora arrivati alla piena implementazione del sistema in più di 100 paesi, con uno scambio di dati ancora più approfondito di quello del FACTA. Qualsiasi deposito di un cittadino non residente nel paese, viene automaticamente comunicato al fisco competente.

L’insegna dello studio Mossack-Fonseca che ha annunciato in questi giorni la chiusura

 La stampa mondiale è poi mobilitata contro gli evasori. Si ricordi lo scandalo Mossack-Fonseca, lo studio legale panamense che negli anni ha costituito più di 200.000 società offshore, ed il cui archivio è stato fatto pervenire ad alcuni giornali che l’hanno pubblicato (a puntate anche in Italia).

Tutto bene dunque? I biechi evasori non hanno più scampo, ed il loro maltolto sarà devoluto al bene comune, attraverso le tasse?

Mah…sì .. forse… però… non proprio.

In questo clima idilliaco di collaborazione internazionale è forse rimasto qualcuno che non collabora con gli altri paesi e non trasmette i dati fiscali dei depositi sul proprio territorio?

E chi potrà mai essere?

Guarda un po’, proprio quelli da cui tutto è cominciato: gli Stati Uniti d’America.

Con un grande esempio di leadership mondiale hanno imposto un codice di condotta agli altri che però si rifiutano di applicare.

Nessuna autorità può quindi imporre alle istituzioni finanziarie americane di rivelare i nomi dei propri clienti.

Il Congresso americano (in nome della competitività) si è sempre rifiutato di approvare tutti i provvedimenti in tal senso proposti dall’Amministrazione Obama.

L’ex presidente USA Barak Obama

Gli Usa poi sono uno stato federale, in cui ogni stato o staterello è gelosissimo delle sue prerogative.

 Prendiamo uno stato a caso, il Delaware, il First State, la prima delle tredici colonie a ratificare la costituzione degli Stati Uniti. Uno stato piccolissimo, con 900.000 abitanti.

Durante l’assemblea costituente americana i suoi delegati si batterono vittoriosamente perché ogni stato, indipendentemente dalle sue dimensioni, eleggesse due senatori. Un delegato del Delaware, durante le trattative, disse che se i piccoli stati non avessero ottenuto ciò che volevano “avrebbero trovato un alleato straniero di più grande onore e buona fede, che li avrebbe presi per mano e reso loro giustizia” Con cotanti antenati….

Nel 1899, cedendo alle pressioni della famiglia Du Pont che voleva costituire in forma societaria le sue proprietà, il Delaware adottò la General Corporation Law, assolutamente permissiva. Come venne scritto all’epoca, il Delaware era “una comunità di ortofrutticoltori e raccoglitori di molluschi, determinata a mettere la sua manina tenera e paffutella nel sacchetto delle caramelle prima che sia troppo tardi”.

Veramente small wonder, una meraviglia, per chi vuole evadere o eludere le tasse

Oggi il Delaware è lo stato con più imprese registrate negli USA; ha una giurisprudenza graniticamente a favore del management, è un paradiso fiscale che tutela l’anonimato e gli statuti societari possono prevedere praticamente tutto (pillole avvelenate contro gli scalatori etc.). Il Delaware ricava da ciò il 40% delle proprie entrate.

In sostanza quindi, grazie allo scudo del Congresso ed alle legislazioni dei singoli stati, un magnate di qualunque nazionalità può ora aprire conti bancari o trust immobiliari in Delaware, Nevada, Wyoming, Sud Dakota e via dicendo senza che nè il fisco americano nè il fisco del suo paese ne possano sapere niente.

Ancora e per chiudere: i trattati OCSE sono figli della globalizzazione, e cioè di un mondo aperto e collaborativo, dove le merci, le finanze e quindi le informazioni circolano liberamente.

Assistiamo ora alla dichiarazione di guerre commerciali da parte dell’Amministrazione Trump, con dazi su varie tipologie di merci contro vari paesi.

Potrà la collaborazione fiscale sopravvivere ad una politica protezionistica e di chiusura, in cui gli stati guardano prima di tutto al proprio giardinetto?

https://www.youtube.com/watch?v=ypQgCNU31ic

 

 

SHIRO

SHIRO

La censura ai tempi di Instagram: collage provocatori, a tratti geniali, senza dubbio curiosi. Stiamo parlando dei collage dell’artista francese Emir Shiro. Fatevi sorprendere dal ‘no sense‘ che intende combattere il ‘proibizionismo social‘.

 

Emir Shiro - Neomag.

Divertenti, erotici, pazzi, sensuali o provocatori, i collage dell’artista francese Emir Shiro non lasciano, di certo, indifferenti! Il visual artist gioca molto nelle sue opere digitali sulla censura dei social network, per farsi beffa di questa, attraverso arditi accostamenti d’immagini.

Tenta, in qualche modo di aggirare il concetto generale di ‘proibizione‘. 

“Questa tecnica di ‘nascondere / rivelare’ è davvero l’ideale, per me, per parlare di nudità, di sessualità e del corpo, con la poesia, aggirando la censura imposta sui social network. Oggi, quando costruisco un’immagine, è un po ‘come dover affrontare una sfida! Con questo intendo dire che questa censura che Instagram intende fa rispettare è, per me, una specie di muro da scalare”.

Il ‘modus operandi’ adottato da Emir Shiro è la ricerca di forzare artisticamente l’ordinarietà della visione, come mezzo per superare ‘certi’ limiti imposti dal mondo social. Trovare degli escamotage, delle ‘libertà poetiche’, per trasmettere attraverso un apparente ‘no sense‘ d’immagini, un messaggio. Un messaggio per lo più provocatorio, di protesta.

Emir Shiro si diverte nei suoi collage, sovrapponendo e ricostruendo varie immagini, in particolare il corpo femminile, oggetti o personaggi pubblici per offrirci una versione della realtà senza dubbio più inedita, paradossale e divertente. E senza dubbio più innocenti e meno ‘forti’ di immagini che, con tecnica analoga, ancora nel lontano 1980 proponeva Linder Sterling, artista punk inglese, cui dedichiamo la copertina.

Segui  i lavori di Shiro sul suo profilo Instagram, cliccando QUI.

MAIL: emirshiro@gmail.com

                                                                                      

 

 

 

 

Tratto dal sito Neomag.it (qui)

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