LA LUNGA SEMINA – CARLETTO PETRINI CI RICORDA VAVILOV, L’AGRONOMO PERSEGUITATO DA STALIN CHE FONDO’ UN ISTITUTO CHE OGGI CONSERVA 300 MILA VARIETA’ DI SEMENTI E PROTEGGE LA BIODIVERSITÀ E IL FUTURO DELL’AGRICOLTURA NEL MONDO
Nikolaj Ivanovic Vavilov nella foto segnaletica del periodo stalinista
Guardando in basso, dalla cupola della cattedrale di Sant’ Isacco, nel cuore di una San Pietroburgo tirata a lucido in occasione dei mondiali di calcio da poco finiti, da un lato si ammira la piazza del Castello, con al centro l’ Hermitage, ospitato in quello che fu il palazzo d’ Inverno dello Zar poi simbolo della rivoluzione d’ ottobre, e dall’ altro si può godere della vista sulla piazza che prende il nome dalla cattedrale stessa e che al centro è occupata da una statua dello Zar Alessandro II.
Proprio su quella piazza, di fronte alla statua, si erge l’ edificio, in rigoroso stile barocco, che ospita l’ Istituto Vavilov, dedicato a una delle più straordinarie figure della scienza moderna, Nikolaj Ivanovich Vavilov appunto.
Genetista, botanico e agronomo, fu una delle menti più brillanti della prima metà del Novecento, durante il quale condusse e diresse numerosi studi sull’ origine delle piante coltivate e raccolse una quantità enorme di sementi di diverse varietà, tutte scrupolosamente catalogate e registrate presso l’ istituto di botanica applicata di Leningrado, l’ attuale Istituto Vavilov di San Pietroburgo in suo onore.
Una ricchezza da rinnovare
Si può dire che Vavilov sia stato uno dei padri dello studio della biodiversità agricola, che per primo approcciò con un atteggiamento aperto, olistico e multidisciplinare. Nelle oltre 180 spedizioni tra repubbliche Sovietiche, Europa (Italia inclusa), medio ed estremo Oriente, nord America e America latina, Vavilov non ha solo compiuto un grande lavoro di ricerca botanica e genetica, ma ha anche dato molta importanza al contesto culturale, ambientale e sociale, persino linguistico.
Il lavoro all’istituto Vavilov
Attraversare i corridoi e le stanze dell’ istituto si prova ancora oggi una grande emozione perché è possibile percepire la grandezza di un progetto che ancora sopravvive e che ospita oltre 300mila varietà di sementi da tutto il mondo. Un patrimonio che viene mantenuto, rinnovato e ampliato continuamente.
A seconda del ciclo di vita dei semi, infatti, ogni due o tre anni tutte le colture sono messe a dimora in campo in una delle dodici stazioni del Vavilov sul territorio russo, per poter rinnovare la collezione con nuove sementi.
E non stiamo parlando di una collezione museale e statica, si tratta piuttosto di uno strumento vivo e a disposizione di tutti. Qualche anno fa, alcuni contadini tedeschi della rete di Terra Madre, hanno fatto un lavoro di ricerca su una varietà di lenticchia coltivata tradizionalmente nella loro zona, il Giura Svevo, una regione a cavallo tra Baden-Wurttemberg e Baviera.
I risultati della ricerca furono sconfortanti, poiché risultava che tutte le sementi, e dunque le piante reperibili localmente, erano frutto di ibridazioni con varietà provenienti da altre zone per cui sembrava impossibile risalire alla coltura originaria.
La varietà sembrava perduta per sempre, quando a uno di questi produttori venne in mente di fare un ultimo tentativo. La sua lettera arrivò all’ Istituto Vavilov, e risultò che quell’ antica varietà di lenticchia era ancora perfettamente conservata nella collezione russa. Spediti in Germania alcuni semi, oggi la lenticchia del Giura Svevo è coltivata da 70 famiglie di agricoltori ed è tornata a rappresentare l’ orgoglio e l’ identità gastronomica di una regione e a generare economia e possibilità per i giovani agricoltori locali.
Il tutto grazie alla visionarietà di uno scienziato russo morto in disgrazia, in un gulag, nel 1943 a causa delle sue idee non in linea con le purghe staliniane allora in corso.
Assedio e resistenza
Oggi i tempi sono cambiati, e Vavilov è considerato un eroe nazionale così come il suo team di scienziati che, durante tutto l’ assedio di San Pietroburgo durato 900 giorni tra il 1941 e il 1944, protessero con ogni mezzo il patrimonio dell’ istituto usando la poca legna che riuscivano a reperire per mantenere una temperatura che consentisse ai semi di sopravvivere e, soprattutto, difendendola dagli attacchi della popolazione affamata.
Per capirci, durante quei novecento giorni a Leningrado morirono un milione e trecentomila russi tra civili e militari. Quattordici tra gli scienziati di Vavilov sono morti di fame pur di non intaccare la collezione.
Una storia che, raccontata dalle fotografie storiche contenute ancora oggi nelle due piccole stanze adibite a museo dell’ istituto, mette i brividi e che ci consegna un esempio incredibile di dedizione e di lungimiranza in un periodo di una durezza inimmaginabile. Se oggi possiamo contare su un patrimonio inestimabile di biodiversità, lo dobbiamo a questi uomini e alla loro forza d’ animo.
Un lavoro, quello dell’ Istituto, che fino alla fine dell’ epoca sovietica è rimasto interamente chiuso entro i suoi pomposi uffici, senza entrare nella vita dei cittadini. Oggi la situazione non è cambiata più di tanto, tuttavia è interessante notare che la sensibilità della popolazione russa nei confronti della diversità agricola sta crescendo molto.
La sede dell’istituto Vavilov a San Pietroburgo
Sia a San Pietroburgo che a Mosca, è sempre più facile trovare informazioni sull’ origine di ciò che si mangia, aumentano gli orti urbani, una nuova generazione di cuochi si sta affacciando sulla scena con una proposta di altissima qualità ed estremamente attenta alla stagionalità, alla località e alla produzione di piccola scala russa.
È un processo molto lungo e non è sufficiente, ma è un bel segnale nel Paese più grande del mondo, con una varietà di etnie, culture e lingue incredibile, con molte popolazioni indigene che iniziano a trovare una sponda per riaffermare con orgoglio la propria peculiarità e la propria identità.
Anche in Russia la gastronomia sta sorgendo come strumento di consapevolezza e di cambiamento di un modello che per decenni ha cercato di applicare integralmente le logiche dell’ industria a quelle dell’ agricoltura, standardizzando processi e sperimentandoli su una scala più ampia possibile.
Sempre di più il cibo si rivela essere la chiave per il cambiamento e, se l’ intelligenza visionaria di Vavilov lo aveva capito più di cento anni fa, oggi noi possiamo almeno riprendere in mano la sua eredità. La Russia ci sta provando.
1981-1983, GLI ANNI CHE CAMBIARONO IL VOLTO DI NEW YORK – I FUNERALI DI LENNON, L’OMBRA LUNGA DELL’AIDS, IL PASSAGGIO DAGLI HIPPIE AGLI YUPPIE E LA NASCITA DEI NUOVI TEMPLI DELLA MUSICA, COME LO STUDIO 54 E DANCETERIA – IN LETTERATURA ESPLODEVA IL MINIMALISMO, LA CULTURA USCIVA DAI MUSEI ED ERA DI NORMA L’ECCESSO: AI PARTY ERA ABITUALE TROVARE SUL TAVOLO, OLTRE AGLI ALCOLICI, STRISCE DI POLVERINA BIANCA…
Ogni città ha il suo momento: la Parigi della Belle Époque o quella di Hemingway e Picasso, la Roma della felliniana “dolce vita”, la Londra della Cool Britannia blairiana. Il New York Times ha scelto recentemente di ricordare il triennio 1981-1983 come un periodo che ha cambiato radicalmente l’ identità di New York, dell’ America e per estensione dell’ Occidente.
«I decenni sono come le persone, alcuni fanno più baccano di altri» scrive il quotidiano «e gli anni Ottanta furono così, in particolare all’ inizio, specialmente a New York, dove la vita scorreva più rapida, vibrante, rumorosa, dove sembrava che accadesse tutto». Come testimone diretto, posso concordare.
Meryl Streep in metro nel 1981
Sbarcato nella Big Apple a 24 anni, nell’ estate del 1980, con il sogno di fare il giornalista freelance, ci rimasi per un decennio: e ricordo i tre anni iniziali come un formidabile apprendistato, in cui vissi a Manhattan con pochi soldi ma grandi emozioni, prima di diventare nel 1984 corrispondente dagli Usa di Repubblica.
Avevo l’ impressione di assistere alla creazione di qualcosa di nuovo, eccitante e per certi versi inquietante: un’ epoca in cui la metropoli americana pareva un laboratorio di creatività, dinamismo e tendenze, non tutte positive, qualcuna tragica. Comunque un’ epoca di svolta, uno spartiacque, una fine e un principio. Con qualche analogia con il presente.
Pure allora era diventato presidente un outsider, ultraconservatore e determinato a rendere “grande” l’ America: Ronald Reagan. Per quanto, con il senno di poi, infinitamente più cauto e pragmatico di Donald Trump. E se la cronaca attuale ci pare drammatica, i primi anni Ottanta non erano da meno.
Un giovane John Lennon
Reagan definiva l’ Unione Sovietica «l’ impero del male» e minacciava di sconfiggerla con «guerre stellari». L’ assassinio di John Lennon davanti a casa (il Dakota, gotico palazzone affacciato su Central Park, lo stesso in cui anni prima Roman Polanski aveva girato Rosemary’ s Baby, su una ragazza messa incinta dal diavolo) simboleggiava il passaggio dagli hippie agli yuppie, dall’ altruismo dei capelloni pacifisti all’ individualismo sfrenato dei giovani arrivisti.
C’ ero anch’ io al funerale che i fan di Lennon celebrarono nel parco: quando da un radio risuonarono le note di Imagine, salì al cielo un singhiozzo collettivo. E poi un giorno un articolo del New York Times parlò di un nuovo cancro misterioso che affliggeva 41 gay della città: si allungava l’ ombra della strage dell’ Aids.
Central Park, manifestazione per le vittime dell’AIDS
Ma non c’ era bisogno di leggere i giornali per cogliere il mutamento nell’ aria: bastava fare due passi. Di colpo, come funghi spuntati dopo la pioggia, notavo uomini e donne che correvano in mezzo al traffico, sotto i grattacieli: dove andavano così di fretta in tuta o calzoncini corti?
Da nessuna parte. Correvano per correre, era l’ alba del jogging, il fenomeno di massa che ora chiamiamo running. Molti, correndo, avevano dei fili che spuntavano dalle orecchie e uno strano apparecchio legato alla cinta.
Madonna ai suoi esordi negli anni ’80
Questo peraltro appariva anche addosso a persone che camminavano o se ne stavano tranquillamente sedute: era arrivato il walkman. Che comodità avere la musica sempre con sé! Negli stessi anni esordiva una provocatoria cantante di nome Madonna.
L’ hip-hop spodestava la disco e il punk. Un nuovo canale televisivo chiamato Mtv cominciava a trasmettere video musicali non stop: il primo fu Video killed the radio star e da quel momento fu come se le canzoni dovessero essere accompagnate dalle immagini per avere più senso.
Serata a Studio 54
Intanto a New York avevano aperto i nuovi templi della musica: discoteche e rock club come lo Studio 54, Danceteria, il Cbgb e, dal 1983, l’ Area che cambiava tema e arredamento ogni mese.Del resto non cambiava soltanto la musica. In letteratura esplodeva il minimalismo, portato avanti da Jay McInerney con Le mille luci di New York (e da Bret Easton Ellis a Los Angeles con Meno di zero).
Keith Haring al lavoro su un murale
L’ arte usciva da musei e gallerie per entrare nelle strade con i graffiti di Keith Haring sui muri o nella subway, poi destinati a rientrare nelle art gallery, prima quelle alternative dell’ East Village, quindi nelle più affermate di Soho: nei cui loft, grandi appartamenti senza pareti ricavati da ex fabbriche ed ex magazzini, vivevano e lavorano artisti squattrinati.
Iean Michel Basquiat
La moda diventava fashion e le fotomodelle si evolvevano in top model, innalzate allo status di celebrità dalle agenzie di John Casablancas e Eileen Ford: sempre più belle, sempre più seducenti, sempre più giovani, rappresentate dalla 18enne Brooke Shields sulla copertina di Interview, mitica rivista di Andy Warhol.
La trasgressione diventava norma.
RuPaul faceva il suo primo drag queen show al Pyramid Club. A downtown comparivano gay bar e single bar. Ai party era abituale trovare sul tavolo, oltre a birra e alcolici, strisce di polverina bianca da sniffare arrotolando una banconota da un dollaro.
Diventava norma la cultura dell’ eccesso: per la prima volta vennero scambiate in 24 ore più di cento milioni di azioni alla borsa di New York, i cui broker fatti di cocaina assumevano le sembianze di onnipotenti “padroni dell’ universo”, come qualche anno dopo li battezzerà Tom Wolfe nel romanzo Il falò delle vanità e come li ritrarrà Oliver Stone in Wall Street.
Quasi negli stessi giorni, sulla Quinta Avenue, veniva inaugurato in pompa magna un nuovo grattacielo per super ricchi con uno spudorato atrio di marmo rosa: la Trump Tower. Il cui costruttore, come ben sappiamo, oggi siede alla Casa Bianca.
Harvey Fierstein
Furono anche, i primi anni Ottanta di New York, l’ inizio di un rinnovamento gastronomico che ora attribuiamo alla globalizzazione, termine a quel tempo non ancora inventato: un modo di mangiare più etnico, originale, raffinato.
A Manhattan non c’ erano più soltanto i vecchi ristoranti “italiani” (o meglio italoamericani) di Little Italy con piatti come “spaghetti and meatballs” mai esistiti sulla Penisola, bensì locali di fresca importazione e cucina regionale, come il genovese Tre Merli, il veneziano Cipriani, l’ imolese San Domenico.
Dovunque, con sbalordimento del bolognese che è in me, comparivano sul menù i Tortellini Alfredo: la pasta tipica della mia città d’ origine, annegata in un mare di panna.
Come li definisce il New York Times, furono davvero «36 mesi che hanno cambiato tutto»: una rivoluzione. Con un aspetto che la rendeva ancora più unica: potevi parteciparvi con quattro soldi.
Per un appartamentino sulla Cinquantesima strada angolo Undicesima Avenue con vista sul fiume Hudson (nel quartiere soprannominato Hell’ s Kitchen, Cucina dell’ Inferno, d’ accordo), pagavo appena 250 dollari al mese d’ affitto. Nel coffee-shop sotto casa, prima delle 8 del mattino, facevo colazione con 99 centesimi, mettendo nello stomaco due uova al prosciutto, patate, pane tostato e imburrato, succo d’ arancia e caffè a volontà.
Ma questa, per parafrasare Hemingway (e tornare ai momenti magici delle città), era la New York dei bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici.
NELL’UNIVERSO YOU TUBE, TRE RAGAZZE PARLANO DELLE LORO STORIE E DELLE LORO EMOZIONI, ETERNAMENTE CONNESSE CON UN MUCCHIO DI SEGUACI- INTERNET E’ UNA PARTE DELLA VITA, NON C’E’ PIU’ DISTINZIONE TRA REALTA’ E VIDEO
Parlano di sé. Su YouTube, e anche nei libri. La già veterana Sofia Viscardi, 19 anni, è al secondo romanzo: dopo Succede (2016) è uscito da poche settimane Abbastanza (entrambi per Mondadori). Protagonista è ancora la generazione dell’ autrice, «raccontata da chi ne fa parte, non da un adulto che descrive il mondo dei ragazzi». Iris Ferrari e Silvia Olivier, in arte Sivi Show, hanno 15 anni e attraversano una sorta di «seconda fase» dell’ universo YouTube.
Sivi Show
Anche loro gestiscono un canale video da centinaia di migliaia di seguaci e da poco hanno pubblicato un libro (per Mondadori Electa e HarperCollins, rispettivamente): narrano, come numerosi predecessori, la loro ancora giovanissima storia. Iris Ferrari con Una di voi si è ritrovata prima, due settimane fa, nella classifica dei libri più venduti in Italia. Battendo Alan Friedman e Fred Vargas, e persino la sua eroina Viscardi, in seconda posizione con Abbastanza (quarta, invece, questa settimana mentre Una di voi è al quinto posto). Ragazze immerse nella rete eppure già abbastanza consapevoli delle zone d’ ombra emerse via via tra le sue maglie. Tutte e tre sono ospiti a Tempo di Libri. Le abbiamo invitate al «Corriere».
Cosa ha rappresentato passare dal video alla scrittura?
IRIS FERRARI – La mia materia preferita è italiano, mi piace fare i temi. Poi, essendo timida, scrivere mi permette di trasmettere quello che penso, le mie sensazioni. Già andare in video su YouTube, gli incontri con i follower, parlare in pubblico, mi avevano aiutato ad aprirmi.
SOFIA VISCARDI – A me piace scrivere come parlo. Sono nata e cresciuta in un mondo connesso. Fin da piccola mi sono espressa attraverso tantissimi mezzi, prima YouTube poi Instagram poi Facebook, poi tutti quelli che esistono. In più, sono anch’ io un’ amante della scrittura. Dunque cimentarmi con i libri è stato spontaneo quanto il resto. È una delle possibilità. A un certo punto ho sentito il bisogno, da un lato, di esprimere una parte di me; dall’ altro, di parlare di emozioni in modo diverso e ho trovato la scrittura il metodo più efficace. Un’ altra forma è il film ispirato a Succede , che uscirà ad aprile: non tradisce il romanzo ma offre qualcosa di nuovo e sorprendente. In più nasce, cresce e finisce come progetto giovane: oltre a me ci sono la regista Francesca Mazzoleni, che ha 28 anni, e gli attori alla prima esperienza.
SIVI SHOW – Nel mio caso il libro è servito anche a raccontare una piccola parte di me che avevo sempre tenuto nascosta: il periodo delle medie. È stata un po’ una liberazione, uno sfogo. Sui social ci sono i commenti e, quando ho provato a parlare di quella fase, qualcuno ha detto che non era vero. Con il libro è stato diverso. Alle medie non avevo amici, non parlavo con nessuno, stavo sempre da sola. Sono stata vittima di bullismo. Tutto è iniziato fin dal primo anno, soprattutto nelle ore di ginnastica – scherzi come nascondermi lo zaino. Poi sono arrivati pugni e spintoni, sono stata picchiata nel cortile, per tre settimane non sono andata a scuola. Avevo 12 anni, ero sotto choc.
Iris (la prima a sn.), Sofia e Sivi
Alla fine, con mamma, siamo andate dalla preside. Dovetti cambiare scuola.
IRIS FERRARI – Io sono stata vittima di cyberbullismo su WhatsApp. È stato tre-quattro anni fa. Un’«amica», che in realtà si è rivelata non esserlo, mi prendeva in giro perché ero sovrappeso. Ha pure creato un gruppo con altre ragazze che non conoscevo per prendersi gioco di me. Lo racconto nel libro per aiutare chi sta vivendo un’ esperienza simile. Bisogna innanzitutto confidarsi con i genitori. Io ho detto tutto a mia mamma, fin dall’ inizio. Lei non giudica, cerca di accogliermi. Siamo andate alla polizia postale. Lì abbiamo scelto di non denunciare. I genitori della ragazza sono stati comunque convocati, anche se hanno ridimensionato tutto a «liti tra ragazzi». Per fortuna nel tempo l’ esperienza su YouTube mi ha aiutato a non ascoltare il giudizio degli altri. Alcuni fanno solo critiche distruttive che non servono; adesso presto attenzione solo a chi mi vuole bene.
SOFIA VISCARDI – Il problema è che non veniamo educati alla rete. Internet non è uno strumento ma una parte della vita. Non c’ è più distinzione. Quando mi chiedono quanto tempo passo in rete è come farmi la domanda: quanto tempo parli? Insegnare a stare su internet è come insegnare a comportarsi con le persone dal vivo. Perché un insulto verbale è punito e uno online no? Usiamo un mezzo potentissimo, davanti a cui però siamo autodidatti. Di recente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella mi ha invitato a parlare di giovani e web. Anche in quel caso è emerso che i ragazzi sentono la necessità di essere formati.
Come è nata e come si svolge oggi la vostra attività di youtuber?
IRIS FERRARI – Ho sempre fatto video a casa da sola. Poi un giorno, tre anni fa, ho chiesto a mia mamma se potevo pubblicarli. Ha detto di sì, ma voleva prima vederli lei. Creo filmati divertenti oppure su argomenti più seri: bullismo, amicizia, esperienze personali. Come fosse un diario online. Viene bene se lo fai per passione, non c’ è una ricetta precisa.
SIVI SHOW – Io ho iniziato quattro anni fa. Era il periodo degli sketch, delle parrucche. Anche mia madre voleva prima vedere i video. Online parlo molto ad alta voce, nella vita normale ho un tono più basso. Quando vai in video è come se dovessi intrattenere qualcuno, forse per questo ti muovi anche di più. Registro spesso con gli amici, perché è più divertente. Non c’ è un copione, racconto quello che mi succede. E poi faccio le parodie.
Ironizzo su video virali di alcuni ragazzi ma, voglio precisare, non sono parodie delle persone ma dei personaggi che propongono. Non sono a mia volta una cyberbulla. In video sono io stessa un personaggio. Voglio far ridere. Su YouTube ci sono diversi generi.
SOFIA VISCARDI – C’ è anche chi fa tutorial su come truccarsi. O recensioni.
Siamo noi a decidere cosa e in che modo esprimerci, non ci sono filtri. Io parlo di emozioni, racconto se mi è piaciuto un film, cosa mi trasmette una canzone, se mi sono lasciata… e mi faccio anche portavoce di esperienze non necessariamente mie. Poi, come in tutti i social, c’ è il confronto, non sono solo io che parlo. La tv è un monologo, YouTube è un dialogo.
Sofia Viscardi
IRIS FERRARI – Io amo chiedere i pareri degli altri, fare sondaggi. Se ho bisogno, i miei follower ci sono e loro sanno che possono sempre contare su di me.
A proposito di tv, la guardate?
IRIS FERRARI – Da piccola, ora faccio tutto su internet. Abbiamo anche lo smartphone, possiamo guardare contenuti da lì, in ogni momento.
SIVI SHOW – Le cose che trasmettono in tv non mi piacciano. Adesso c’ è Netflix.
SOFIA VISCARDI – La tv con il suo palinsesto a orari prestabiliti è lenta. Ci siamo abituati a scegliere attivamente.
Sapete cos’ è «Porta a porta»?
SIVI SHOW – L’ ho sentito, però esattamente non lo so.
IRIS FERRARI – Nello specifico, no.
SOFIA VISCARDI – Mai visto.
Cosa pensate della politica?
IRIS FERRARI – Ne ho sentito parlare ma non mi interessa ancora.
SOFIA VISCARDI – Il problema è che a scuola non si studia diritto. Io un po’ l’ ho fatto perché ho frequentato il liceo delle scienze umane ma in molti altri indirizzi non è previsto.
Sofia Viscardi
SIVI SHOW – Al liceo artistico, la scuola che frequentiamo sia io che Iris, in effetti non c’ è. Io l’ ho studiato un po’ alle medie, dove abbiamo trattato anche la Costituzione, però se lo insegnassero pure alle superiori sarebbe utile. In fondo io fra poco più di due anni voto.
IRIS FERRARI- Sono d’ accordo: conoscere qualcosa in più sarebbe utile.
Avete un’ idea dell’ Europa? Se n’ è parlato molto anche alla vigilia di queste elezioni.
SIVI SHOW – Mamma è bulgara e vive in Italia da vent’ anni. Mi ha raccontato storie del passato, legate al suo Paese d’ origine, alle guerre che ci sono state.
IRIS FERRARI – Di Europa ho sentito parlare ma se ne discute comunque poco tra chi ha la mia età.
SOFIA VISCARDI – A malincuore dico: anche tra i 19enni. Come per la politica, ci mancano le basi. Io alle elezioni non ho partecipato perché ero a Bari, altrimenti sarei andata. Ma in ogni caso sento che l’ esito del voto nella mia vita non cambia le cose. So che è sbagliato vederla così perché invece riguarda il mio futuro. Ma la verità è che non ci sentiamo coinvolti. Non ho la ricetta per rimediare a questo. Di certo posso dire che avrei bisogno di competenze in più per informarmi. Ho provato a farlo su internet, in vista del voto, ma ho fatto fatica. Non capivo al 100% i programmi dei partiti. Il loro linguaggio non mi è arrivato.
In generale, come vi informate?
SIVI SHOW – Non so qual è l’ ultima volta che ho letto un giornale. Se c’ è una notizia di solito la si viene a sapere nel passaparola tra amici. Non vado a cercare le notizie, mi arrivano. Su Instagram, ad esempio, ci sono pagine di news.
VISCARDI COVER
IRIS FERRARI – È anche vero che le notizie sui social arrivano sempre dalla stessa cerchia di amici. Però noi youtuber abbiamo tantissimi seguaci e il panorama di informazioni è più ampio. Poi io non vivo solo sui social, ricevo notizie anche nella vita vera.
SOFIA VISCARDI – Verificare la fonte è una delle cose che dovrebbero insegnare proprio a scuola. Ma credo che chi usa sempre i social sappia già individuare meglio degli altri una notizia fasulla.
SIVI SHOW – Girano notizie false pure tra gli youtuber. Una volta dissero che uno di noi era morto ma non era vero.
Temete che il vostro successo social possa declinare?
SOFIA VISCARDI – In tal caso, possiamo sempre reinventarci, siamo giovani.
Io so quello che mi piace: comunicare, stare a contatto con le persone, raccontare emozioni, scrivere. Ma non so ancora cosa farò nella vita e non penso di voler fare sempre la stessa cosa. Mi piacerebbe continuare a scrivere e fare Psicologia o Filosofia all’ università, comunque una materia umanistica. Ma flessibilità per la mia generazione non è precarietà… In questo momento vivo ancora con i genitori, però le cose che faccio me le finanzio da sola. E non ho paura. Flessibilità non è dormire sotto i ponti, zaino in spalla. Rivendico positività e fiducia nella mia generazione, alla quale non la si dà per niente. Non siamo sfaticati o in pericolo, siamo solo diversi.
Sivi Show
IRIS FERRARI – Personalmente non faccio i video per il numero dei seguaci, ma perché i follower mi danno tanto affetto. In ogni caso, se non mi seguissero più, sarei tranquilla. Mi piacerebbe studiare Psicologia, scrivere e fare l’ attrice di cinema. Seguo un corso di recitazione.
SIVI SHOW – Anch’ io faccio teatro da tre anni, per sbloccarmi. Quello che imparo lo uso nei video. Chissà, poi, un domani, se la mia comicità è piaciuta sul web magari potrebbe piacere pure a teatro. L’ anno prossimo, in terza superiore, vorrei scegliere l’ indirizzo stilistico: potrei creare vestiti e farli vedere online. Se qualcuno li acquistasse, sarebbe già un lavoro. A scuola però non sembrano capirlo, spesso i professori non apprezzano la nostra attività su YouTube.
SOFIA VISCARDI – Si tende a pensare che la vita dai 6 ai 18 anni debba essere incentrata unicamente sullo studio. Io ho preso 6 in condotta, però a scuola andavo bene. Non è solo YouTube: qualsiasi attività extra è difficilmente concepita.
Professori, genitori, politici. Il rapporto con il mondo adulto è difficile?
Iris Ferrari
IRIS FERRARI – Ci sono adulti che vogliono provare a capirci e altri che non vanno oltre i pregiudizi.
SOFIA VISCARDI – Tutte le generazioni sono diverse ma la possibilità di connettersi oggi è esplosa. Con la mia famiglia ho sempre avuto un buon rapporto ma vedo, attraverso le esperienze degli altri, che la differenza tra la nostra generazione e quella dei nostri genitori è davvero grande rispetto allo stesso tipo di relazione nel passato. E quasi sempre veniamo visti in maniera negativa.
È cambiato nel tempo lo scenario di YouTube?
SIVI SHOW – Sì, quattro anni fa c’ erano meno tipologie di contenuti e meno possibilità di montarsi la testa. Ora c’ è più varietà, ma anche più competizione.
IRIS FERRARI – Sì, ce n’ è moltissima.
Ci sono quelli che caricano tanti video per aumentare i seguaci, ma poi la gente se ne accorge. Io lo faccio solo perché mi piace, altrimenti smetterei.
SIVI SHOW – Ora che ho più visibilità, a volte ho paura che mi usino per aumentare i seguaci. Alcuni finiscono per sentirsi definiti da quanti follower hanno.
Oppure altri, un po’ più grandi, vedono YouTube come fonte di guadagno.
Iris Ferrari
SOFIA VISCARDI – Io la competizione non l’ ho mai sperimentata. Mentre è stato naturale, nel tempo, fare meno video. Anche il mio pubblico è cambiato con me. Magari non vengono più ai firmacopie ma comprano comunque il libro e mi mandano la foto.
Avete mai pensato di potervi pentire, tra tanti anni, delle vostre immagini in rete?
IRIS FERRARI – No, se una cosa non mi piace non la carico.
SIVI SHOW – In ogni caso non cancellerei mai i miei video: sono un pezzo del mio racconto, che lo continui o meno.
SOFIA VISCARDI – Noi siamo state quello che abbiamo condiviso, che gli altri lo abbiano visto o no. Dovremmo conviverci per sempre. Nella mia tesina della maturità – ho preso 91 e ne sono fiera! – ho citato Italo Svevo quando parla di «vita letteraturizzata». Dice che quello che gli è rimasto della sua esistenza è ciò che si è fermato a documentare. Vedere i nostri video passati è come quando guardi una vecchia foto.
Sonia Viscardi
Anche in quel caso c’ erano altre persone intorno a te, che ti hanno vissuta come eri allora. La differenza è che erano molte meno, mentre oggi il loro numero è enorme. Il meccanismo però resta lo stesso. Ecco perché anch’ io mi fermo a registrare. E a scrivere.
Grazie a queste foto di Hayley Eichenbaum potrete avere un assaggio del fascino che il famoso itinerario conserva, fra Illinois, Oklaoma, New Mexico,Arizona. Lunga quasi 4 mila km, dal1926 collega Chicago con Santa Monica.
E’ innegabile che un on the road sulla famigerata Route 66 ha fatto sognare intere generazioni. Film, video musicali e serie tv hanno avuto come protagonista questo affascinate percorso.
Era d’obbligo quindi mostrarvi le foto che compongono l’impeccabile lavoro del fotografo americano Hayley Eichenbaum. Artista interdisciplinare che, tra le altre cose, ha reso famosa la Route 66. Come? Catturando una vasta gamma di meravigliosi paesaggi che si possono ammirare come non avete mai fatto prima.
Sottolineando il colore e le sue architetture particolari, Eichenbaum riesce a creare inquadrature fantastiche dove la geometria delle forme, giustapposte nell’ambiente naturale, dota il suo lavoro di un risultato affascinante e spettacolare.
Per l’artista\fotografo, il vero fascino di queste strade è nei piccoli dettagli che si possono trovare in loro, luoghi in cui la geometria è piena di linee pulite e di un’architettura minimalista quasi senza alcuna ‘intenzione’, rendono questo paesaggio uno dei più spettacolari del pianeta.
La Route 66, da Chicago al molo di Santa Monica e Los Angeles. Questi luoghi comuni e immortalati da fotografi e non, passati dall’obiettivo dell’artista, diventano stampe belle a tratti un po’ surreali.
Il VILLAGGIO AFRICANO, CHIUSO E ISOLATO, DOVE VIVE L’ANTICO POPOLO KASSENA E OGNI CASA E’ UN’OPERA D’ARTE- FOTO DI RITA WILLAERT.
Il Burkina Faso non è affatto una zona frequentata dai turisti, ma alla base di una collina che domina la limpida e soleggiata savana dell’Africa occidentale si trova un villaggio straordinario, un complesso circolare di 1,2 ettari con un’architettura di terracotta finemente decorata. È la residenza del capo, della corte reale e della nobiltà del popolo di Kassena, che per primo colonizzò la regione nel XV secolo, facendone uno dei più antichi gruppi etnici del Burkina Faso.
Queste foto sono di Rita Willaert, che si è recata a Tiébélé nel 2009. Il villaggio si mantiene estremamente isolato e chiuso agli estranei, molto probabilmente per garantire la conservazione e l’integrità delle loro strutture e per proteggere le tradizioni locali. C’è interesse nello sviluppo del sito come destinazione turistica culturale per generare risorse economiche per la conservazione, ma è un processo delicato.