SUPERUMANI

SUPERUMANI

QUALE FUTURO PER GLI ESSERI UMANI? STEPHEN HAWKING DA’ LA SUA RISPOSTA: SE NON CI EVOLVIAMO IN FRETTA  AL NOSTRO POSTO CI SARANNO SUPERUMANI- COS’E’ DIO?: E’ LA SCIENZA E LE SUE LEGGI, NON UN DIO PERSONALE DA INCONTRARE E A CUI FARE DOMANDE. 

 

STEPHEN HAWKING RIZZOLINel futuro gli esseri umani saranno superati da una «razza di superumani» geneticamente modificati che si migliorano da soli, senza aspettare il lavoro della natura. È una delle previsioni fatte dallo scienziato britannico Stephen Hawking, morto lo scorso 14 marzo a 76 anni, e contenute nel libro Le mie risposte alle grandi domande che uscirà in contemporanea più Paesi (in Italia per Rizzoli). Insieme al monito sui rischi dell’intelligenza artificiale — uno dei fronti su cui si è impegnato a lungo — e a riflessioni sull’esistenza di Dio. Un’anticipazione del libro è stata pubblicata anche sul Corriere della Sera.

«Non c’è tempo per aspettare che l’evoluzione darwiniana ci renda più intelligenti» scrive in grande scienziato in uno degli estratti usciti ieri sul quotidiano inglese The Times. E ancora: «Una volta che questi superumani appariranno, ci saranno problemi politici significativi con gli esseri umani non migliorati, che non saranno in gradi di competere con loro.

stephen hawkingPresumibilmente si estingueranno, o perderanno importanza. Invece ci sarà una razza di esseri che si auto-progettano e che migliorano se stessi a una velocità crescente. Se la razza umana riesce a ri-crearsi, probabilmente si espanderà e colonizzerà altri Paesi e stelle». L’idea, che per lo scienziato britannico rappresenta comunque una grandissima opportunità, è che si potranno usare le tecniche che permettono di modificare il Dna per aumentare la memoria, la resistenza alle malattie, l’aspettativa di vita e migliorare altre caratteristiche.

lucy e stephen hawkingL’altro grande cambiamento che aspetta l’umanità, secondo Hawking, arriva dall’intelligenza artificiale: «L’avvento di una intelligenza artificiale super-intelligente potrebbe essere tanto la cosa migliore quanto la cosa peggiore mai successa all’umanità — afferma Hawking —. Il vero rischio con l’intelligenza artificiale non è la cattiveria, ma la competenza.

Un’intelligenza artificiale super-intelligente sarebbe molto efficace nel raggiungere i suoi scopi e se quegli scopi non sono in linea con i nostri sarà un problema. Nessuno di noi probabilmente è un perfido odia-formiche che le calpesta con malignità, ma se è responsabile di un progetto per l’energia verde idroelettrica che porterà a sommergere un formicaio, non si curerà delle formiche. Cerchiamo — avverte —di non mettere l’umanità nella posizione di quelle formiche».

lucy e stephen hawking copiaHawking risponde anche a una delle domande più antiche della nostra civiltà: quella sull’esistenza di Dio: «Il modo in cui l’universo è iniziato è stato deciso da Dio per motivi che non riusciamo a capire oppure è determinato dalle leggi della scienza?» si chiede. «Credo che sia la seconda cosa — risponde —. Se volete potete chiamare le leggi della scienza “Dio”, ma non è un dio personale che puoi incontrare e a cui puoi fare domande».

Articolo di Elena Tebano per www.corriere.it

Sul libro di Hawking, su questo sito vai a

CHIARA E FEDEZ IN OFFERTA SPECIALE

CHIARA E FEDEZ IN OFFERTA SPECIALE

 

IL MISTERO BUFFO DI CHIARA FERRAGNI E DEL COMPAGNO FEDEZ SPIEGATO DA PINO CORRIAS– IL VERO SEGRETO CHE CUSTODISCONO PER FARE SOLDI A PALATE?- IL NULLA CONSOLATORIO DEI TANTI DISPOSTI A CREDERE A TUTTO QUELLO CHE VEDONO, FUORCHE’ A SE STESSI

 

 

chiara ferragni 8

Come quelli un po’ cialtroni dell’Olimpo, anche gli dei del web hanno tutte le nostre vite in mano, ci giocano e si annoiano. Annoiandosi, architettano misteri. Così accade che una giovane donna, Chiara Ferragni, 31 anni, bianca di pelle, bionda di cuore, nativa del grande schermo d’ Occidente, fotografata, selfizzata, instangrammata, snapchattata, laikizzata e infine condivisa più o meno 100 milioni di volte a settimana da 10, 20, 30 milioni di bimbe sole, ragazzini soli, ammiratori, ammiratrici, odiatori & seguaci, navigatori compulsivi di eterna e depressa adolescenza, tutti di razza umana, tutti viventi nel medesimo schermo dei desideri in offerta speciale, sia in definitiva e resti fino a oggi – nonostante il cospicuo guardaroba di sorrisi tristi e camicette allegre – quasi del tutto inspiegabile.

chiara ferragni 6Un enigma. Intendendo enigma per noumeno, realtà inconoscibile, però pensabile, come lo zero, come l’infinito. Che a moltiplicarli insieme, sempre zero danno, cioè un vicolo cieco dove si resta intrappolati. E questo a dispetto del bimbo Leone che ha appena scodellato nella nursery social; del matrimonio a Noto che ha appena celebrato, “il matrimonio dell’ anno!”; del fatturato in milioni di euro che ha appena incassato. E dei paesaggi veri o verosimili con cui da dieci anni arreda la sua vita in pubblico, dentro la quale ha appeso solo merci sponsorizzate, cominciando dalla sua prima borsa “la mia peedy Bag di Louis Vuitton, indimenticabile!”.

chiara ferragni 5

E compreso il suo compagno di bimbo, di matrimonio e di fatturato: Federico Fernando Lucia, in arte Fedez, 28 anni, rapper di buona fattura e sorprendenti parole in rima, non per nulla fabbricato alla periferia della canzone italiana con melodia crescente e rabbia fatalmente in declino, visto che nacque proletario, respirando l’asfalto di Buccinasco e ora nuota nel superattico e nella bambagia neo yuppy di City Light, Milano centro, come è giusto che sia, proprio secondo le regole di ascesa sociale che faceva finta di odiare.

E vergognandosene almeno un po’ si va progressivamente cancellando dentro al nero dei tatuaggi, sperando di farla franca, anche a dispetto delle regole di insurrezione anarchica che faceva finta di amare. Chiara e Fedez – eroi di un vertiginoso successo sul palcoscenico degli sguardi, dei desideri, dei punti esclamativi – sono una coppia specchiante. Una coppia a quattro zampe, direbbero gli psicoanalisti.

Respirano nella stessa inquadratura virtuale di ieri, di oggi e forse persino di domani. Ma restano distinti come il giorno e la notte. Lui è dritto per dritto. È così come lo vedi, il bello e tenebroso dell’ ultimo banco. La dannazione dei presidi e il sogno erotico delle supplenti.

chiara ferragni 2Il gansta rapper che pattina sul proprio specchio: “Mangio pane e malavita, pippo polvere da sparo”, ma lo fa prudentemente, con la mamma manager e il contrattino da giurato di X Factor, dove non distribuisce metanfetamina o pallottole, ma ricette per fare carriera nel buon senso e nel bel canto. Lei no. Chiara Ferragni non sai come prenderla anche se sai com’ è fatta.

Abita nel black mirror di un inquieto futuro già presente, sebbene venga da un passato assai rassicurante. È nata tra i torroni e la mostarda di Cremona. Famiglia di media borghesia.

Due sorelle, lieta infanzia, buone scuole. Padre dentista in perpetua forma jogging detto @paponemarco. Madre che sembra la quarta sorella bionda, Marina Di Guardo, allegra più di tutte, sebbene circondata dai molti cadaveri dei suoi thriller, pubblicati a tiratura crescente, grazie alla locomotiva di casa che lei si ostina a chiamare “la mia Chiarotta”.

chiara ferragni 1

La quale è venuta su dal nulla della sua cameretta sversata in Rete, moltiplicando quel nulla all’ infinito: “Ho cominciato a 15 anni fotografandomi 50 volte al giorno”. Papone non capiva: “Perché lo fai?”. E a onor del vero neanche lei capiva: “Non lo so, ma mi va di farlo”. A intuire che quell’ impulso non era un gioco, ma una vocazione, ci pensò il fidanzato di allora, Riccardo Pozzoli, bocconiano col ciuffo, il quale le spiegò che quella misteriosa attitudine si chiamava personal branding: una emissione di luce nella notte in cui tutte le identità sono grigie.

 

Un sentiero da costruire aprendo il guardaroba e disponendolo – inquadratura dopo inquadratura – fino a formare un sentiero fatto di magliette, gonne, scarpe, smalti, collanine, borse, borsette, tutti sassolini bianchi per trovare la propria strada, tutti segnali di felicità portatile per i followers, i seguaci, che erano 15 mila alla fine del primo anno. Non molti, ma abbastanza da trasformare il gioco in un lavoro e il lavoro (finalmente) nel benedetto denaro, l’ equivalente di tutte le merci, comprese quelle esposte da Chiara, coniugando tre verbi solamente: indossare, sorridere, essere. Più il quarto decisivo: diventare.

chiara ferragni

Così nacque il sito Blonde Salad, insalata bionda, il 12 ottobre 2009, non per nulla anniversario della scoperta dell’ America, stavolta in versione fashion blogger: “Una sorta di territorio dove le persone potessero entrare, conoscermi, uscire, tornare”. Chiara diventa cibo per gli smartphone. Diventa moda di nicchia, poi tendenza di massa.

chiara ferragni fedez

Infine influencer. Se ne accorgono i grandi marchi, i pubblicitari, la televisione. “Un giorno sono cominciati gli inviti, prima la Settimana della Moda di Milano, poi le agenzie, poi Chiambretti”. Quando nel 2013, in piazza Duomo, presenta il suo libro – che poi sono consigli di stile, dritte per vestirsi, raccomandazioni “per super divertirsi!” – arrivano duemila ragazzine bionde come lei, magre come lei, vestite come lei.

chiara ferragniIn loro nome scala il cuore del web più di tutta la concorrenza. “Mi amano, mi seguono”. Prima un milione di seguaci, poi il doppio. Poi il doppio del doppio. “Oggi parlo a 13 milioni di persone senza filtri. È un potere pazzesco!”. Vola a Los Angeles, dove compra casa e ufficio. Disegna un logo, firma scarpe, accessori e assegni. Ha fatturato 10 milioni di dollari nel 2015, quest’ anno la sua attività di impresa digitale vale il triplo, ha una squadra di assistenti, dalla quale è stato appena escluso il suo ex fidanzato. Il suo blog è diventato “una piattaforma ispirazionale”, una miniera del product placement. A cominciare dal suo corpo arredato con 22 tatuaggi, l’ ultimo è un planisfero, il mondo che ha appena conquistato. Secondo la rivista Forbes è “tra i 30 giovani più influenti al mondo”.

le amiche di chiara ferragni 4Ma nessun analista – o poeta, o manager, o esorcista – sa spiegare perché. Chiara Ferragni non canta, non balla, non recita, non si spoglia, non fa scandali, a parte il bimbo spedito dal primo giorno a succhiare il latte artificiale del web. Sta da sempre seduta al primo banco. È bella, ma non bellissima. È stirata, ma mai elegante. È allegra, ma con il sorriso triste.

Non è fredda, non è mai calda.

Scrive adolescente e pensa standard: “Io sono il boss di me stessa”; “Non sono mai andata dallo psicanalista, ma mi farebbe super piacere farlo”; “Una donna è molto più di un corpo”. Ma sa essere paradossale: quando Mattel annuncia di avere messo in produzione una Barbie a sua immagine, esulta. E al contrario della fiaba, dove è il burattino di legno che desidera diventare un bimbo in carne e ossa, dice: “Sono una Barbie, il mio sogno da bambina è diventato realtà”.

Chiara Ferragni è un vaso di Pandora a fin di bene. Una Cenerentola che distribuisce scarpine di cristallo a milioni di sorelle. Ma è anche un talento che si sceglie il principe, lo fa inginocchiare all’ Arena di Verona e infine se lo sposa, rivestito Versace, mentre intorno danza la luce di 10 mila telefonini trillanti a registrare l’istante.

Il tutto vidimato da contratti, un centesimo di argento a selfie, per un totale, dicono a consuntivo dello sposalizio, di 36 milioni di euro. Più o meno quanto una media azienda.

Anche se fatta di nulla. Ma un nulla che consola. E che poi sarebbe il vero segreto che Chiara custodisce, davanti agli indistinti spettatori, disponibili a credere in tutto quello che vedono, salvo che a se stessi.

chiara ferragni fedez 2

Articolo di Pino Corrias per “il Fatto Quotidiano”

LA PARABOLA DI BUCCI

LA PARABOLA DI BUCCI

 

L’AMAREZZA PER UN EROE CADUTO, CHE HA SPESO TUTTO PER DONNE VODKA E COCAINA, SI TRASFORMA IN UNA METAFORA DI UN TEMPO ORAMAI FINITO PER GETTARCI NELL’INCERTEZZA DEL PRESENTE

flavio bucciFLAVIO BUCCI

Flavio Bucci ha solcato il presente, e dunque la memoria di questo nostro piccino paese televisivo e insieme cinematografico con la moto di Antonio Ligabue, non Luciano, non il cantante, semmai il pittore folle della Bassa emiliana, ma questo una vita, un tempo fa, quando le lampare del successo, della fama sembravano sorridergli, accompagnarlo perfino in strada, nel viale degli applausi, degli autografi.

Flavio Bucci è stato un idolo televisivo, è stato appunto Ligabue, lo è stato perfino nell’ammirazione che si riserva ai volti particolari, bizzarri, caratterizzati espressionisticamente, “… guarda, guarda chi c’è, guarda lì, c’è Ligabue”, proprio così dicevano i genitori ai bambini incontrandolo nei giorni delle compere al Corso, lì per caso, o magari scorgendolo vittorioso sulla copertina della “Settimana Enigmistica”, e intanto Flavio Bucci-Ligabue, garbato, faceva cenno con la mano, salutava il bambino come fosse stato una sorta di Babbo Natale ulteriore, venuto fuori dal bestiario della bontà televisiva degli anni Settanta, Bucci, il profilo carenato, l’incarnato olivastro, sempre lì sulla moto a bruciare idealmente, ostinatamente la sua Bassa.

flavio bucciI

Eppure, anni dopo, assai più prossimi a noi, pensandoci bene, scartabellando tra le fotobuste del cinema, Flavio è stato anche uno straordinario, spettrale, Franco Evangelisti, apostolo del sottogoverno democristiano capitolino, gli occhi che sedevano alla destra di Giulio Andreotti, così nel film di Sorrentino, “Il divo“, sebbene più affilato di “a Fra’ che te serve?”, sebbene privo della conventuale pinguedine democristiana da refettorio già visto in “Todo modo”, propria del braccio armato tra le scartoffie di Andreotti, anche lì Flavio era perfetto, maschera mortuaria di un potere tra clientelismo, ippodromi e Curia vaticana, perfetto anche da morto, composto lì nella bara, nella scena che annuncia il cupio dissolvi di un’era politica, perfetto davvero perfino da Evangelisti deceduto, immobile nella sua camera mortuaria, Flavio.

flavio bucci

   Flavio Bucci è stato anche protagonista della più straordinaria stagione umana che Trastevere abbia mai vissuto, che non è certo quella impersonata da Adriano Celentano nei panni di “Er più” o piuttosto di Gabriella Ferri che canta “Mazzabubù… Quante corna stanno quaggiù?”, no, semmai la Trastevere dove, in vicolo del Moro, abitava Gianmaria Volontè, il comunista Volontè, nella cui casa e brillava uno splendido Schifano dove i maoisti di “Servire il Popolo” innalzano le loro bandiere lungo le piazze di Paola in Calabria, la stessa Trastevere che ha conosciuto i passi di Pierre Clémenti e di Tina Aumont, e ancora un Helmut Berger che brandisce una sedia strappata i tavolini del bar “Di Marzio” in piazza Santa Maria in Trastevere, lo stesso bar dove dimorava Marco, il molosso di Valerio Zurlini, cui Rafael Alberti dedicò una poesia, che ancora adesso figura sul muro del locale. La Trastevere nella quale, nottetempo, ancora Rafael Alberti, poeta spagnolo comunista in esilio, proprio sulle spallette del Tevere, con vernice blu tracciava “Franco assassino” e “Burgos”.

bucci e la corrente andreottiana - scena il divo

    Di queste ormai povere cose con Flavio Bucci abbiamo parlato, sarà stato all’incirca una ventina di anni fa, incontrandolo per caso al bar “della Pace”,  altro luogo paradigma di una Roma che non esiste più. Lo rivedo, Flavio Bucci, stravaccato su una sedia accanto agli stipiti dell’ingresso, gli sto seduto accanto, prendiamo a parlare di un’età dell’oro cittadina, quando ancora essere un attore mostrava un brillio umano rionale e perfino militante che andava ben oltre la miseria della fama e dei glamour odierni. Così scorrono nuovamente i nomi di Gianmaria Volontè, dei comunisti della capitale, delle feste de l’Unità, del “Folkstudio”…

 

     Leggere che Flavio viva adesso in una casa famiglia, chiama amarezza per lui e ancora chiama amarezza per quel tempo che dove lo abbiamo visto eroe, perfino nei ruoli di servizio come il suo straordinario Don Bastiano, prete brigante eretico ribelle, nel “Marchese del Grillo”, quelli fatti per campare, non più il Flavio-Ligabue, non più il suo profilo carenato in sella alla motocicletta che brucia i filari della Bassa, piuttosto il Flavio protagonista di un tempo eroico, di un tempo e di una città eroici, forse perfino con il suo cinema, e non si dica ipocritamente adesso che ognuno è responsabile del proprio male, del proprio abbandono, del proprio degrado, e non si faccia, pensando a Bucci, come quelli che quando consegnano una moneta all’accattone precisano, anzi, raccomandano al disgraziato un “… mi raccomando, non se li beva, eh”.

flavio bucci    Come l’immenso George Best, Flavio racconta di avere speso tutto in donne, vodka e cocaina, come la carta dell’Appeso dei tarocchi, sembra di vederlo lì a testa in giù, l’oro e l’argento delle monete che gli cascano dalle tasche in nome della forza di gravità e del precipizio, della Caduta.

    Merita rispetto il destino che Flavio ha donato a se stesso, nonostante abbia scelto di precipitare, di affrontare rovinosamente la propria sconfitta, fosse anche per fragilità, o magari per semplice debolezza, o piuttosto perché questa vita, questa Roma, questo mondo della televisione, del cinema e del teatro, per come si è infine travisato nella sua infingardaggine, può perfino far schifo, se non ribrezzo. Ecco, forse in Flavio che dona il rigor mortis di Evangelisti al film di Sorrentino, nel suo volto terreo, nel circonflesso dei suoi occhi segnati dalle rughe, le cornee immerse martirio  dell’alcol, e della cirrosi sempre in agguato, c’è la più straordinaria metafora di un tempo finito per consegnarci all’ordinaria miseria del dopo.

 

Articolo di Fulvio Abbate per “il Dubbio”

BALLA PERDUTO

BALLA PERDUTO

IL BALLA PERDUTO RIAFFIORA DOPO 100 ANNI  A ROMA, NEI VECCHI LOCALI DEL BAL TIC TC- 80 METRI AFFRESCATI IN DISCRETO STATO DI CONSERVAZIONE, OPERA  A TEMPERA NOTA  AGLI STORICI DELL’ARTE MA CHE SI CREDEVA PERDUTA- SARA’ RESTAURATA

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“Un giorno, verso l’estate di quel 1921, Vinicio Paladini venne per proporre a Balla, da parte di suo padre, un lavoro di decorazione completamente futurista: si trattava di decorare un locale (oggi si direbbe night-club); Balla, felice, non chiedeva altro per cui accetta di fare tutto il lavoro in quello che lui chiamerà il ‘Bal-Tik-Tak’, per una somma che anche a quei tempi era esigua”. Con queste parole Elica Balla descriveva la genesi del Bal Tic Tac, il primo cabaret futurista inaugurato a Roma nel 1921, e le cui pitture parietali vennero realizzate da uno dei maggiori esponenti del movimento d’avanguardia italiano, Giacomo Balla.

Lo scorso anno – durante i lavori di ristrutturazione che hanno interessato la palazzina che ospitava il cabaret, Villa Hüffer lungo Via Nazionale, finalizzati alla realizzazione dello spazio museale del Centro per l’educazione monetaria e finanziaria della Banca d’Italia –, sono venute alla luce alcune porzioni di decorazioni murali dello storico locale. Da quel momento, i lavori condotti sotto la supervisione della Soprintendenza Speciale di Roma hanno portato alla riemersione di 80 metri quadrati di pitture parietali interamente realizzate da Giacomo Balla. Attualmente sono in corso una serie di interventi di restauro, al termine dei quali le pitture di Balla saranno accessibili al pubblico.

il murale di giacomo ballaIL CABARET RITROVATO

Nonostante si sapesse del glorioso e futurista passato di Villa Hüffer, si credeva che le pitture di Balla fossero andate perdute: i locali del primo piano, dove si trovava la sala da ballo, hanno infatti subito nel corso del Novecento numerose ristrutturazioni. Le pitture del piano terra si sono invece parzialmente salvate, coperte e nascoste da controsoffitti e carta da parati, da boiserie e strati di tinteggiatura successivi, risultato dei diversi usi che si è fatto degli spazi nel corso dei decenni successivi.

il murale di giacomo balla 3La presenza negli anni Venti del cabaret ha indotto i tecnici della Banca d’Italia a intraprendere un’attività di verifica con l’intervento della Soprintendenza Speciale di Roma guidata da Francesco Prosperetti. Già alla prima campagna di saggi e indagini preliminari, è apparso chiaro come le pitture rinvenute fossero da ricollegare alla decorazione del Bal Tic Tac: “che questa decorazione di Giacomo Balla possa aver resistito al tempo e a tutte le trasformazioni di questi locali ha del miracoloso”, ha dichiarato Prosperetti.“Parlare del Bal Tic Tac significa parlare di una temperie che si scatena in questa città, in cui la modernità entra in maniera dirompente. È bellissimo scoprire a un secolo di distanza una Roma all’avanguardia”.

il murale di giacomo balla 9C’ERA UNA VOLTA IL BAL TIC TAC

Gialli, rossi, blu accesi e aggressivi, forme che sembrano esplodere dalle pareti e invadere lo spazio, fagocitando gli spettatori: è questa l’impressione che dovevano dare le pitture di Giacomo Balla agli avventori di quel cabaret inaugurato verso la fine del 1921 e consacrato da Filippo Tommaso Marinetti. La rivista milanese Il Futurismo, nel suo secondo numero, ne dava trionfale notizia: “Marinetti inaugurò a Roma, con un discorso, il Bal Tic Tac, grandioso locale per balli notturni, futuristicamente decorato da Balla. Per la prima volta, apparve realizzata la nuova arte decorativa futurista. Forza, dinamismo, giocondità, italianità, originalità”.

Sempre Elica Balla, figlia di Giacomo e all’epoca dell’inaugurazione solo una bambina, molti anni dopo descriverà in questi termini il lavoro di decorazione realizzato dal padre: “preceduta da un ingresso fantasmagorico di fiamme infernali, Balla inonda di azzurro e di verdi mattutini la grande sala da ballo e crea nuovi disegni e mezzi pratici per realizzare lampade, mobili e ogni cosa per tutto l’arredamento del locale”.

il murale di giacomo balla 8

A PROPOSITO DI CABARET…

il murale di giacomo balla 5

Parlando del Bal Tic Tac, come non può non venire in mente il più celebre dei cabaret delle avanguardie storiche, ovvero il Cabaret Voltaire di Zurigo? Fondato nel 1916 da Hugo Ball ed Emmy Hennings, il locale notturno è considerato la culla del Dadaismo, e durante la Prima Guerra Mondiale ospitava artisti provenienti da tutta Europa, compreso Marinetti. Mostre, danza, musica e spettacoli provocatori rendono il Cabaret Voltaire, ancora oggi, un luogo quasi mitologico della storia dell’arte contemporanea, sebbene negli ultimi decenni non abbia goduto di molta fortuna.

il murale di giacomo balla 6Caduto in rovina e in procinto di essere demolito, il locale nei primi anni Duemila è stato occupato da un gruppo di artisti guidati da Mirko Divo, dando vita a un “happening non stop” che ha coinvolto migliaia di visitatori. L’attenzione mediatica suscitata dall’evento ha portato a una sensibilizzazione nei confronti del destino del cabaret, che successivamente ha ripreso in parte le sue attività di locale d’intrattenimento e d’arte, grazie ai fondi stanziato dal governo della città e da finanziatori privati. Ma diverse turbolenze economiche e tagli hanno condotto il Cabaret Voltaire in una nuova crisi finanziaria, che nel 2016 ha spinto il direttore della struttura a mettere in vendita il locale come una “scultura vivente”.

Articolo di Desiree Maida per www.artribune.com

 

FINIRE A ROTOLI

FINIRE A ROTOLI

LA PANCIA DEL PAESE – A NAPOLI SPUNTANO I ROTOLI DI CARTA IGIENICA CON I VOLTI DI LUIGI DI MAIO E MATTEO SALVINI – IL POPOLO PARTENOPEO, DA SEMPRE ANARCHICO E NON ALLINEATO, ORA SFOTTE I DUE VICEPREMIER – QUELLA CON IL VOLTO DI TRUMP HA  AVUTO UN BOOM DI VENDITE-DAL PERNACCHIO DI EDUARDO AL “VOTA ANTONIO”: STORIA DELLA SAGGEZZA GUASCONA E MILLENARIA DELLA CITTÀ

CARTA IGIENICA SALVINI DI MAIO

La loro faccia sui rotoli di carta igienica. Più i due leader parlano, si azzuffano con il mondo e più la carta igienica con i volti di Luigi Di Maio e Matteo Salvini inonda la città. Benvenuti a Napoli, città anarchica e non allineata a prescindere.

Il popolo napoletano ha già capito. Il palato è sopraffino. Accade quando si vive in mezzo alla strada. E’ come se si sviluppasse una preveggenza. E’ un’attitudine. Una vocazione di popolo. Le chiacchiere galleggiano nell’aria, le parole scappano di bocca in bocca, cogli le mezze frasi, i ragionamenti, le sensazioni, i commenti.

E’ storia che si tramanda. E’ saggezza guascona e millenaria. E’ porto di mare. Dalle nostre parti si chiude la vicenda molto velocemente e con nettezza:  “Voce ‘e popolo, voce e’ Dio”. Un proclama di verità di una chiacchiera divenuta collettiva, decantata e concorde. E’ la genesi. All’improvviso e neppure te l’aspetti senti il pernacchio dell’ ‘Oro di Napoli’ di Eduardo De Filippo.

E’ uno sfottò. E’ una presa di posizione attenta. E’ un’azione politica di un popolo abituato ad essere sottomesso e anarchicamente rivoltoso. E’ la pernacchia di Eduardo. E’ il vota Antonio La Trippa urlato con un imbuto nel condominio elettorale.

Quando scatta a “Voce ‘e popolo, voce e’ Dio”, equivale a dire “E’ cosa certa! Non ci sono dubbi!”. E così il vento si alza e comincia a soffiare. Dal ventre antico di Napoli, si muovono le foglie e come dire in tutto il mondo. E’ compare l’arma micidiale: rotoli di carta igienica con le foto di Luigi Di Maio e Matteo Salvini. L’effige dei due giovani vicepremier ritratti sulla carta che serve per l’igiene corporale è una condanna senza appello.

E’ un timbro. Un voto di sfiducia che equivale a dire : “Vi abbiamo pesato”. Sono i partenopei, popolo sornione che già conosce il finale. Resta lì sull’uscio in attesa.

Articolo di Arnaldo Capezzuto per http://il24.it-

Ripreso dal sito Dagospia.com

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