TERRA MADRE

TERRA MADRE

LE RICCHEZZE DEL SAPERE CONTADINO, LA SAGGEZZA DI CUI ABBIAMO OGGI GRANDE BISOGNO PER AFFRONTARE LA TRANSIZIONE ECOLOGICA- SEMPLICITA’ SENZA NOSTALGIE E SENZA RINUNCE AL FUTURO- CARLIN PETRINI SI RACCONTA.

Anche quando parla di cinema, Carlo Petrini non può certo dimenticare la polemica che in questi giorni lo coinvolge sulla contrapposizione tra lettura «scientifica» e lettura «contadina». È una polemica che ritiene basata su presupposti sbagliati. 

«Penso in primo luogo che sia insensato contrapporre la scienza ai saperi secolari. I contadini hanno fatto tanta sperimentazione negli anni, hanno tenuto vive tradizioni, hanno lavorato sulla biodiversità; e lo hanno fatto quando qualcuno credeva di poter risolvere tutto con la chimica, con i calcoli di laboratorio che non tengono conto dell’armonia della natura. Io non ho niente contro la scienza, sono solo contrario a definire non scientifici dei saperi che si sono tramandati non per convenzione, ma per saggezza. 

E da questo punto di vista invito tutti a riguardare (o a guardare per la prima volta) il documentario che Ermanno Olmi ha dedicato al nostro lavoro. Come ho detto, è un documentario che non evoca nostalgia, ma saggezza. C’è bisogno di saggezza, oggi». Una saggezza che il cinema può garantire, se affrontato con spirito giusto.

«Ho avuto due grandi incontri con personalità del cinema, due uomini che sono stati per me una fonte di sapienza e di ricchezza intellettuale. Con Ermanno Olmi abbiamo progettato insieme Terra madre, un documentario che voleva raccogliere le grandi ricchezze del sapere contadino, una sorta di visualizzazione a futura memoria di quel progetto che è stato così importante nella mia esperienza. 

Ermanno Olmi

E con Tonino Guerra ho capito che si poteva guardare al passato senza malinconia e senza rinunciare al futuro. Due persone veramente grandi, capaci di raccontare con semplicità e senza nostalgia ciò che è stato e anche ciò che verrà, senza che questi due mondi entrino in rotta di collisione. Due pensatori che hanno saputo rendere visivo il loro pensiero». 

È decisamente commosso Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food, l’infaticabile divulgatore del sapere contadino, quando parla di Tonino Guerra. Lo fa in occasione del lancio di «I luoghi dell’anima», il festival presieduto da Andrea Guerra (il musicista figlio di Tonino, compositore per registi quali Ferzan Ozpetek, Gabriele Muccino, Giuseppe Bertolucci, Riccardo Milani) e previsto a Sant’ Arcangelo di Romagna dal 30 giugno al 4 luglio. 

Tonino Guerra è stato sceneggiatore principe per Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Andrej Tarkowskij, Theo Anghelopoulos, ma è stato soprattutto un poeta, e l’idea di un festival legato a quanto possa un paesaggio essere ispiratore per un talento creativo è nata proprio da una lettura della sua attitudine alla vita. 

Tonino Guerra

Anche Carlo Petrini ha un suo luogo dell’anima, ed è il castello di Verduno in Piemonte. «Lo è per due validissimi motivi. Il primo è che in quel castello a metà Ottocento viveva il generale sabaudo Paolo Francesco Staglieno, di nobili origini genovesi. Staglieno non era noto per avventure belliche nonostante l’alto grado raggiunto nell’esercito, ma perché era l’enologo della Real Casa e in particolare di Carlo Alberto di Savoia e fu lui di fatto a scoprire che il barolo invecchiato diventava un vino strepitoso.

Lo fece perché nel 1841 inviò in Sudamerica delle botti di vino e una parte di quelle ritornò indietro due anni dopo. Si ruppe la ceralacca che le sigillava, lui assaggiò il vino e si accorse che l’invecchiamento lo aveva modificato facendolo diventare un vero nettare». 

Il secondo motivo della scelta di Verduno come luogo dell’anima è ancora più privata: «Verduno, quando ero giovane, era diventata il buen ritiro di Nuto Revelli, una persona straordinaria, uno scrittore che ha saputo come nessun altro dipingere la vita quotidiana del Cuneese prima che si trasformasse, nell’arco di due generazioni, da zona poverissima a una delle più ricche d’Italia. Lì si trovava e chiamava i suoi amici che si chiamavano Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone. 

Verduno (Cuneo)

Partecipare ai loro incontri, alle loro chiacchierate è stato per me enormemente formativo. Mi ha spiegato quanto quegli uomini, con una importante cultura politica formatasi nelle file del Partito d’azione, siano stati importanti per la nascita e la difesa della democrazia in Italia. E la loro passione per la genuinità, la loro attenzione per la traduzione ha fatto germogliare in me il seme di quello che sarà poi l’impegno di tutta la mia vita. Quando sono a Verduno, rifletto su tutto questo. E il mio animo è felice».-

Stefano Della Casa per “La Stampa”

https://www.youtube.com/watch?v=RDUurtcCJOs&ab_channel=UTEUominiTerritoriEconomie
FICO FOOD

FICO FOOD

 

IN ANTEPRIMA PRESENTIAMO FICO, MEGAGALATTICO LUOGO IN CUI TUTTE LE MODE DEL BEN NUTRIRSI, FRUTTO DEL VISIONARIO CARLIN PETRINI E DELL’ABILITA’ MANAGERIALE DI OSCAR FARINETTI, SI OMOLOGANO IN UN NUOVO CREDO: SANTIFICHIAMO IL FOOD QUOTIDIANO, LASCIAMO ALL’AUTOGRILL I PECCATORI DI GOLA.

Oggi apre FICO Eataly Word, 10 ettari fra orti, allevamenti, laboratori di produzione, centri didattici, ristoranti e botteghe. Chi glielo dice a Carlin Petrini, profeta e ispiratore di Slow -food, assertore del “limite” come orizzonte filosofico e operativo, oltre il quale è tutto e solo business? (https://www.ninconanco.it/mangiare-primo-atto-politico/) Domani grande presenze politiche a Bologna e qualche assenza significativa, a cominciare da Renzi (bei tempi quelli della Leopolda!). Fico può significare per Eataly un nuovo avvio, oppure la definitiva omologazione, come Disneyland del cibo, in una catena alimentare come tante. Auguri!

 

Oscar Farinetti, patron di Eataly, piemontese delle Langhe, eclettico imprenditore dell’eccellenza a tavola

L’olandese Randstad è una delle principali agenzie al mondo di lavoro interinale. È finita nel mirino delle proteste studentesche del 13 ottobre 2017 per un progetto intitolato “Un giorno da Fico”. I ragazzi contestavano una delle novità più importanti della legge del governo Renzi sulla Buona scuola: il principio dell’alternanza scuola-lavoro, che prevede l’obbligo per gli studenti dell’ultimo triennio delle superiori di fare un’esperienza formativa – tra le 200 e le 400 ore a seconda che si tratti di un istituto tecnico o di un liceo – in un’azienda, un’istituzione, in un’associazione sportiva o di volontariato, perfino in un’ordine professionale.

Nell’elenco c’è pure Fico Eataly World, la Fabbrica italiana contadina di Oscar Farinetti – una società partecipata da Eataly World, Coop Alleanza 3.0 e Coop Reno – che aprirà il 15 novembre. La Randstad è finita sul banco degli imputati perché accusata di reclutarle manodopera gratuita.

Per capirne di più chiedo ai diretti interessati. Negli uffici dell’ex Mercato ortofrutticolo alla periferia di Bologna, negano accuse e sospetti. Spiegano che il progetto è della Randstad, si svolgerà nelle scuole e alla fine da loro arriverà solo un pugno di ragazzi, “non più di sette o otto”, e comunque “non verranno a fare i lavapiatti”.

A Bologna tutti i poteri cittadini, istituzionali e privati, sono in qualche misura coinvolti

L’amministratrice delegata Tiziana Primori dice che c’è un protocollo “sulla tutela dell’occupazione, la qualità del lavoro e la valorizzazione delle relazioni sindacali” firmato con i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil e il comune di Bologna, per “favorire la piena regolarità delle condizioni di lavoro, l’agibilità sindacale, il diritto d’assemblea e la trasparenza della filiera delle aziende presenti nel parco”. Fico, spiega, darà lavoro stabile a settecento persone, mentre altre tremila lavoreranno nell’indotto.

Ne parlo con Marta Fana, ricercatrice all’università Sciences Po di Parigi, autrice di Non è lavoro, è sfruttamento. “Bisognerà vedere quante saranno le assunzioni stabili e quanti i contratti di somministrazione, dunque precari”, dice. Fana contesta a Farinetti la “gestione politica” della nascita di Fico: “Perché la regione ha speso 400mila euro per la formazione di persone per le quali non c’è la certezza di assunzione?”. A suo parere, le istituzioni locali, guidate dal Partito democratico, non avrebbero dovuto mettersi al servizio di quello che definisce solo “l’ennesimo centro commerciale”.

Dalla Randstad rendono noti i contenuti dell’accordo con la nuova impresa di Farinetti: i dipendenti della multinazionale olandese gireranno le scuole di tutta Italia per “illustrare ai ragazzi i nuovi trend del mercato del lavoro, guidarli in un tour virtuale di Fico Eataly World e lanciare un project work” sul tema dell’innovazione nella filiera agroalimentare. Il progetto coinvolgerà 20mila studenti, appunto, e prevede 300mila ore di alternanza scuola-lavoro, ma a Fico i ragazzi ci passeranno appena una giornata, per assistere a un convegno sul tema della “Food innovation”, al termine del quale saranno premiate le scuole vincitrici.

Istituzioni, università, entusiasti
Gli studenti non sono andati molto per il sottile, accomunando Fico ad Autogrill e a McDonald’s. Ma alla Fabbrica contadina bolognese respingono anche questi paralleli. Nello staff di Fico molti hanno lavorato a Slow food o hanno studiato all’università di Scienze gastronomiche fondata da Carlo Petrini a Pollenzo, in Piemonte, molti hanno lavorato a Eataly.

L’amministratrice delegata Tiziana Primori arriva invece da Coop adriatica ed è l’anello di congiunzione tra Eataly e il mondo cooperativo. Mi riceve nel suo ufficio, dove campeggia una frase di Italo Calvino: “Se alzi un muro, pensa a cosa lasci fuori”. Su un grande tavolo di legno apre una mappa del progetto e spiega: “Questo non è un luogo dove si viene esclusivamente per comprare o per mangiare, ma per conoscere”.

Matteo Renzi e Oscar Farinetti durante una manifestazione politica alla Leopolda di Firenze

I visitatori, dice, potranno seguire l’intera filiera del prodotto. Prima di sedersi a tavola per mangiare un piatto di pasta, per esempio, saranno condotti da un “ambasciatore del gusto” a vedere un campo di grano, la macinazione in uno dei due mulini a pietra e la nascita di una tagliatella di Campofilone in uno dei tre pastifici. A supervisionare il tutto saranno le facoltà di veterinaria e agraria dell’università di Bologna.

Fico sarà un esempio dell’Italia che riparte? O è un modo furbo per capitalizzare la tendenza a mangiar bene, pulito e sano

A Bologna tutti i poteri cittadini, istituzionali e privati, sono in qualche misura coinvolti. Il comune ci ha messo la struttura, che varrebbe 55 milioni di euro. Per la ristrutturazione sono stati raccolti 75 milioni di euro di fondi privati: 15 milioni sono arrivati dal sistema cooperativo, dieci da imprenditori locali e altri 50 da casse previdenziali professionali.

Vittorio Sgarbi con Oscar Farinetti

Al progetto partecipano centocinquanta imprenditori grandi e piccoli (da piccoli artigiani a grandi consorzi come quello del Parmigiano reggiano), i ministeri dell’ambiente e dell’agricoltura, l’associazione dei borghi più belli d’Italia e l’Ente nazionale italiano per il turismo (Enit), Slow food, le università di Bologna e quella di Napoli, la Suor Orsola Benincasa .

Nelle ambizioni dei fondatori, la “Disneyland del cibo”, com’è stata soprannominata, dovrebbe attirare quattro milioni di visitatori il primo anno e arrivare a sei milioni nel giro di tre. Il sindaco Virginio Merola è così entusiasta che è andato a Manhattan per presentarla alla stampa americana sulla terrazza del Flatiron building, il grattacielo all’incrocio tra Broadway e la Fifth avenue che oggi ospita Eataly New York. Per portare i turisti che immagina diretti a frotte verso la periferia bolognese, ha annunciato un servizio di bus elettrici.

Dentro il parco
Mi portano a visitare la struttura: centomila metri quadrati, di cui 80mila coperti, percorribile a piedi o su piste ciclabili con l’immancabile carrello della spesa. Ci sono due ettari di campi e stalle con più di duecento animali, dal maiale calabrese alla pecora di Altamura, e duemila cultivar. Solo un piccolo agrumeto è coperto, per ragioni climatiche.

All’interno, 40 fabbriche contadine producono carni, pesce, pasta, formaggi e dolci. C’è anche una torrefazione del caffè. A ricordare che siamo a Bologna ci pensano una fabbrica di Grana Padano e un intero padiglione dedicato alla mortadella. Al centro ci sono un auditorium, un teatro e un cinema che sarà gestito dalla Cineteca di Bologna.

Tiziana Primori, amministratore delegato di FICO E.W.

Qui, fino all’altro ieri, sorgeva il Centro agroalimentare di Bologna (Caab), nato negli anni novanta ma progettato nei settanta. Il presidente era Andrea Segré, ex professore di politica agraria all’università di Bologna e ideatore del Last minute market, un mercato nato per recuperare e riciclare i prodotti invenduti. A quattro mesi dalla nomina, capito che il Caab languiva e non avrebbe avuto futuro, Segré aveva contattato Farinetti “per sviluppare l’idea del parco agroalimentare che da anni mi frullava nella testa”.

Fico, Bologna, 9 novembre 2017. - Michele Lapini

Fico, Bologna, 9 novembre 2017. (Michele Lapini)

Era il novembre del 2012 e, ora che tutto si è realizzato, sarà lui a presiedere la fondazione Fico, che dovrà promuovere programmi di “cultura della sostenibilità economica, sociale, ambientale ed alimentare”.

Il comitato scientifico, presieduto dall’europarlamentare Paolo De Castro, ex ministro delle politiche agricole nei governi D’Alema e Prodi, ha già messo in cantiere le prime iniziative: una giornata sulla dieta mediterranea e la creazione di un frutteto della biodiversità.

L’architetto ferrarese Thomas Bartoli ha rimesso a nuovo la struttura, salvando pure un pezzo del vecchio mercato, che non chiuderà del tutto. Bartoli è un fedelissimo del fondatore di Eataly. Mi spiega di aver mantenuto la vecchia architettura industriale ma con l’obiettivo di creare una “sensazione contadina”, creando un continuum tra l’interno e i campi, e che il suo progetto è a “cemento zero”, anzi ha recuperato due ettari “per aumentare la superficie verde”. Ma, si schernisce, “l’idea di Fico è talmente forte che la realizzazione architettonica è passata in secondo piano”.

Frantonio per olio

Una Disneyland del cibo
Tutto bene, dunque? Fico sarà un esempio dell’Italia che riparte da cibo e turismo, cioè due dei suoi punti di forza? O, come sostengono i critici, è solo un modo furbo per capitalizzare la tendenza a mangiar bene, pulito e sano, come sostiene un fortunato slogan coniato dal fondatore di Slow food, Carlo Petrini?

In un libro intitolato La danza delle mozzarelle, lo scrittore Wolf Bukowski prende di mira il modello di narrazione del cibo che parte da Slow food, e prima ancora dal Gambero rosso, per finire a Coop, a Eataly e alla sua ultima evoluzione: la Fabbrica contadina di Bologna, appunto. “Fico non è solo un parco giochi per rudi cooperatori e costruttori edili, ma è proprio una Disneyland, un mondo dove fantasia e realtà del capitale si rispecchiano reciprocamente”, scrive Bukowski, che attacca frontalmente l’ideologia di Renzi e Farinetti, improntata al marketing e all’ottimismo, in politica come al supermercato, in cui il conflitto è visto come qualcosa di anormale.

Bukowski vede in Fico la saldatura tra il pensiero di Farinetti e il capitalismo emiliano di derivazione postcomunista: una sorta di socialdemocrazia economica in una regione dove il pubblico governa e le cooperative rosse prosperano. Definisce Bologna “la città coop”, portando come esempio il fatto che nel giro di poche centinaia di metri, in pieno centro cittadino, sono nati negli ultimi anni il Mercato di mezzo, che è stato voluto dall’amministratrice delegata di Fico, Primori, e può essere considerato un prototipo del Parco, e una libreria Coop con annesso punto vendita Eataly. Tutto attorno, una teoria di super e ipermercati Coop.

I due alleati
Oscar Farinetti ci scherza, ma si intuisce che non gli va di essere contestato sia da destra sia da sinistra, di essere dipinto come un compagno e allo stesso tempo come una specie di Berlusconi nei cui negozi il quarto stato marcia con i sacchetti della spesa, come mostrava qualche tempo fa una parodia del celebre dipinto di Pellizza da Volpedo esposta all’interno di Eataly Roma. Al contrario, ci tiene a mostrare di conoscere i suoi dipendenti uno per uno. All’ingresso dell’ex Air terminal vicino alla stazione Ostiense, a Roma, si compiace dei clienti che lo avvicinano e della sua popolarità. Stringe mani e parla della qualità dei prodotti e di come diffonderli ancora di più.

Da quando quelli con il marchio Slow food sono finiti sugli scaffali di Eataly, la loro diffusione è decuplicata. La richiesta di collaborazione è arrivata pure per Fico, e dall’associazione di Petrini hanno risposto sì, pur mantenendo uno sguardo critico.

Ne parlo con Carlo Petrini, l’uomo incoronato da Time tra gli “eroi del nostro tempo”, in quanto guru di una filosofia e di un movimento nel frattempo divenuti globali. A suo avviso il problema, a questo punto, è di “governare il limite”. Spiega che qualsiasi produzione, se supera una certa soglia, diventa “invasiva”, pur se buona, pulita e giusta. Il fondatore di Slow food ritiene invece che si debba evitare il “rivendicazionismo sui prezzi”, altra critica frequente. A suo parere va bene che un alimento di qualità costi di più se tutti sono pagati meglio, dal contadino al trasportatore.

Oscar Farinetti nella versione di Benny by Libero

Sulla questione della produzione ritiene Farinetti che ci siano margini ulteriori di crescita. “In Italia ci sono 14 milioni di ettari di terreni coltivati, negli anni ottanta erano 19, anche se oggi si produce di più”, dice. Vuol dire che l’agricoltura di qualità (convenzionale a residuo zero, biologica, biodinamica, simbiotica) può svilupparsi ancora molto e puntare al mercato italiano (tuttora gastronomicamente poco educato a dispetto delle apparenze) e soprattutto a quello estero.

È su quest’ultimo punto che il patròn di Eataly ha trovato l’intesa con Coop Alleanza 3.0. Sebastiano Sardo, che ha selezionato i produttori del neonato Parco agroalimentare, dice che l’obiettivo è “creare una piattaforma dei prodotti italiani da esportare” per contrastare i cosiddetti italian sounding, il mercato dei prodotti venduti come italiani ma che non lo sono. Secondo i dati dell’Assocamerestero, l’associazione che raggruppa le 78 camere di commercio italiane all’estero, l’italian sounding ha un giro d’affari di 54 miliardi di euro, mentre l’ industria alimentare italiana si aggira sui 132.

L’accusa di monopolio
A opporsi a questo clima di consenso generale ed entusiasmo diffuso sono stati gli anarchici e gli antagonisti che il 12 dicembre 2016, mentre nell’aula magna dell’università di Bologna si presentava il progetto, hanno lanciato letame e caramelle a forma di vermi contro una coop e una pizzeria biologica di Alce Nero. Quel che contestavano era la grande illusione denunciata da Wolf Bukowski: pensare che si possa trasformare la società educandola a fare la spesa e a cucinare in maniera corretta.

I contestatori ritengono che nei padiglioni dell’ex mercato ortofrutticolo il renzismo di Farinetti si saldi con gli affari delle coop, creando un monopolio di fatto nella distribuzione e nel consumo di cibo.

Gli anelli istituzionali di congiunzione sarebbero il sindaco di Bologna Virginio Merola, già nel mirino per gli sgomberi di spazi occupati e centri sociali, e il ministro del lavoro Giuliano Poletti, ex presidente di Legacoop e ideatore insieme al governo di Matteo Renzi del Jobs act. Questo contribuisce a spiegare le proteste studentesche e lo scetticismo di un pezzo di sinistra radicale.

Al fondatore di Eataly si imputa di essere diventato il “braccio imprenditoriale di Slow food” e non gli si perdona l’infatuazione per Matteo Renzi, culminata nella partecipazione alle manifestazioni organizzate dal segretario del Pd all’ex stazione ferroviaria fiorentina della Leopolda.

Carlin Petrini

La prima volta è stata nel 2012, quando ha detto che “la politica è come la maionese impazzita e Renzi vuole rifarla da zero”. Nel 2013 l’allora sindaco di Firenze ha tagliato il nastro di Eataly Firenze e nel 2014 l’ha accolto come “l’amico Oscar”. Lui ha ricambiato dimostrando sintonia con lo spirito della Leopolda. “Questo è un posto dove ci si lamenta poco, mentre ciascuno esprime con sintesi le proprie idee di soluzione”, ha dichiarato a La Stampa.

Un anno fa, alla vigilia del referendum costituzionale del 4 dicembre che è costato le dimissioni a Renzi, fiutando il clima sfavorevole ha affermato: “Dobbiamo tornare a essere simpatici”. Un anno dopo, appare più disincantato ma non ha cambiato opinione. “Renzi è stato tradito dal suo carattere, però è onesto”, dice. Nel frattempo, a inaugurare Fico è stato invitato il più mite Paolo Gentiloni.

Articolo di Angelo Mastrandrea per Internazionale

 

MANGIARE PRIMO ATTO POLITICO

MANGIARE PRIMO ATTO POLITICO

CELEBRATO A TORINO TERRA MADRE-SALONE DEL GUSTO. IL PROFETA CARLIN PETRINI DICHIARA: MANGIARE E’ IL PRIMO ATTO POLITICO. IL CIBO DEVE ESSERE BUONO,PULITO, GIUSTO. DOBBIAMO TRASFORMARCI DA CONSUMATORI A CO-PRODUTTORI.  GUARIRE LA SOCIETA’ MALATA CON GLI ORTI E IL COMMERCIO EQUO SOLIDALE A KM ZERO.

 

 

 

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La kermesse del Salone del Gusto è al termine. Dal 22 al 26 settembre ha invaso Torino, rendendo ancora più appariscente il caotico turismo mordi e fuggi che dal 2006, anno delle olimpiadi invernali, ha trasformato la sonnacchiosa capitale sabauda, radicando una tardiva vocazione turistica che sotto l’epoca Fiat non era neppure da immaginare.

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Carlo Petrini durante la presentazione del Salone

L’impatto ecologico è pesante, in quanto a traffico e inquinamento, e mette a dura prova la sopportazione dei cittadini del centro. Il patron Petrini oggi sulla stampa locale dice: rimedieremo ai disagi. Non si capisce come. Forse il vento e la poggia potranno fare meglio di lui.  Le pur capienti strade torinesi non sono adatte per i tir, gli articolati, i furgoni, che hanno scaricato di tutto, ingombrando strade, deviando percorrenze, imbrattando marciapiedi. L’amico che mi accompagna minimizza:” Magari, per la prossima edizione, Slow Food rinuncerà a invadere il centro storico (vezzo che sa di provincialismo), spostando le bancarelle in piazze più capienti, lungo le rive del Po, in qualche parco cittadino, dove sia facile arrivare, trovare parcheggio -anche per gli stessi espositori, poveretti! – suonare musica etnica fino a tardi senza scocciare gli abitanti”. Imponenti le forze dell’ordine, mobilitate per la visita del presidente Mattarella, la cui presenza al Salone sigilla l’intimo rapporto istituzionale che Slow Food e il suo visionario fondatore Carlo Petrini da Bra, classe 1949, hanno saputo tessere, non rinunciando alle scomode critiche alle multinazionali sugli ogm, fedeli all’approccio terzomondista e pauperistico delle origini.

Carlin Petrini nasce, orgogliosamente, da madre cattolica e da padre comunista, una famiglia antisignana del Compromesso Storico. Divisa fra falce/martello e particola, insomma. Carlin frequenta sociologia all’università di Trento, ma senza laurearsi. Erano gli anni in cui in quell’ateneo Renato Curcio predicava la rivoluzione armata, non restava molto tempo per il libri. Il giovane milita da subito nella estrema sinistra, si butta in politica, scopre la gastronomia e comincia a scriverne sul Manifesto, l’Unità, la Repubblica. Nel 1989 l’ormai quarantenne Carlin ha l’idea vincente: fonda a Bra Slow Food; poi nel 2003, nella vicina frazione di Pollenzo, lungo lo stradone che porta ad Alba, adocchia la ex tenuta reale di Casa Savoia e fonda lì la sede della Università di Scienze Gastronomiche, con rette da capogiro, ma, direbbe Briatore, qui “siamo al top”. Il momento è quello buono, alla gente non basta mangiare, vuole sapere cosa mangia e da dove proviene il cibo che mangia.

 

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Il presidente Mattarella saluta Petrini. Sullo sfondo il sindaco Appendino, il presidente del Piemonte Chiamparino.

 

Presto Carlin Petrini ha il vento in poppa: passa da una presidenza all’altra, le beneficenze piovono, le lauree ad honorem pure. Oramai è conosciuto e apprezzato internazionalmente. Un percorso singolarmente vicino a quello di un altro piemontese di successo, nato anche lui nel cuore delle Langhe, ad Alba: Oscar Farinetti patron di Eataly, dalla vocazione più disinvoltamente commerciale.

La parabola di Carlin tocca il suo culmine (per il momento) in Vaticano. Scrive il Fatto quotidiano: “Si chiami Terra Madre o Casa Comune poco importa: Carlo Petrini e Papa Francesco (nota prima viene Petrini poi il Papa. ndr) hanno fatto un pezzo di strada insieme. Il fondatore di Slow Food infatti è l’autore delle 22 pagine che introducono il testo di Laudato si’, la nuova enciclica di Francesco. Sei capitoli che contengono 246 paragrafi tra cui: “La questione dell’acqua” , ” La debolezza delle reazioni”, “Il principio del bene comune”, “La giustizia tra generazioni”, “La necessità di difendere il lavoro” oppure ancora “Puntare ad un altro stile di vita”.”

 

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Ma torniamo alle novità dell’edizione Terra Madre/Salone in chiusura, con gran afflusso di pubblico, favorito dal clima mite.

Intanto il nome: Terra Madre, che campeggia, poi il sottotitolo Salone del gusto. Che poi da quest’anno salone proprio non è. Lasciati gli angusti e scomodi padiglioni del Lingotto, ora il Salone, come un torrente in piena, ha invaso ben 25 location di pregio di Torino: dal Carignano, a piazza Castello, a Palazzo Reale, a quello di Città, alla Mole Antonelliana, al Valentino, ecc. 

Il passante sprovveduto potrebbe pensare di essere di fronte ad un mega raduno di appassionati della tavola, ad un macroscopico mercato enogostronomico, allestito coi prodotti frutto del lavoro di crepuscolari, strenui testimoni di un mondo rurale che non c’è più.

 

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Il nome Terra Madre, diversamente dall’equivoco e commerciale Salone del gusto, va meglio, molto meglio. Non ricorda riti borghesi, quanto piuttosto “l’impegno rivoluzionario per il futuro del pianeta”, come ama dire Petrini. Nella visione olistica di stare nel creato Petrini si sente attratto irresistibilmene dell’epica e dal mito, dall’eterno ritorno a una verginità primigenia, anche se questo implicasse la rarefazione di ogni impronta antropica. Una decrescita felice, insomma. Ecco cos’ha detto in un convegno promosso dall’omonimo movimento: “Dobbiamo trasformarci da consumatori in co-produttori perché il nostro modo di mangiare è il primo atto agricolo ed è in grado di cambiare un modello di produzione che ci sta portando sull’orlo del baratro. Dobbiamo scegliere i gruppi di acquisto solidale, i mercati dei produttori locali e soprattutto essere coscienti e informati per sostenere una nuova forma di resistenza”. I nostri nonni stenterebbero a crederlo, siamo una società che spende più per dimagrire che per mangiare”. 

 

Certo che le tonnellate di cibo riversate per le strade di Torino non aiutano la decrescita. Così penso mentre giro per gli stands rigorosamente bianchi, allineati oltre i portici di via Roma o nell’adiacente piazza Castello, proprio sotto la sede delle Regione. Tutto è illuminato da gruppi elettronici alimentati a gasolio che eruttano in cielo pesanti nuvole di gas, mentre una fiumana di gente si sperde fra le bancarelle. Le insegne di Terra Madre sono ovunque, posters giganteschi riportano gli slogan della manifestazione, le convinzioni ideologiche e le scelte di campo degli organizzatori: agricoltura sostenibile, benessere animale, lotta contro le contraffazioni, il rapporto con la terra, lo spazio per i produttori marginali, i presidi per le varietà colturali in estinzione, ecc.

 

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La centralissima piazza Carignano, sede delle conferenze di Terra Madre- Salone del Gusto

La manifestazione è accompagnata da dibattiti di approfondimento e divulgazione. Naturalmente Carlin non dimentica le sue origini. I relatori sono tutti legati fra loro da un comune filo ideologico. Da Gian Carlo Caselli, a don Luigi Ciotti, a Gino Strada. I temi quelli soliti. Con una puntatina sul rapporto del cibo con l’arte, il cinema, la prevenzione.

L’impressione finale che ricevo, anche parlando con alcuni espositori, è che Slow Food sia arrivato ad un punto di svolta. E’ cresciuto molto, forse troppo, una pausa di riflessione forse sarebbe utile prima di lanciarsi nell’avventura internazionale, come certo aspira il visionario e carismatico Petrini.

 

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Ingresso Museo Egizio a Torino, insolitamente deserto. Tutti al Salone del Gusto.

Accanto a Slow Food, oggi operano la Slow Food Promozione srl, Slow Food Wine, Slow Food educa, la Fondazione per la bio diversità, una casa editrice che cura la pubblicazione di ben 4 riviste. Come si legge sul sito, ben navigabile, esaustivo e trasparente, i soci sono 31 mila, 230 i presìdi, 300 le associazioni locali, 102 i dipendenti. Una vera macchina da guerra, ma troppo fragile e isolata per una guerra mondiale all’insegna del “buono, pulito e giusto”, com’è il titolo di un lavoro di Petrini ora in ristampa che retoricamente afferma di “avere reinventata la gastronomia del XXI secolo”.

 

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Via Roma, sullo sfondo Palazzo Reale

 

Un esempio cade a proposito. La fusione fra Monsanto e Bayer, con la nascita di un super colosso in campo agricolo, viene sul sito Slow Food così commentata: “Il problema è che non possiamo non guardare con preoccupazione a queste condizioni di dipendenza, non possiamo mettere il futuro del nostro cibo in così poche mani, perché il cibo interessa ogni singolo vivente sul pianeta. D’altra parte vale però la pena notare un’altra lettura: queste operazioni finanziarie sono al contempo anche un segnale di debolezza, perché la necessità di unirsi è figlia di un calo dei profitti che va combattuto facendo sinergie su costi e operatività. Perché per fortuna il mondo dell’agricoltura è ancora fatto da più di 500 milioni di aziende familiari che ogni giorno lottano per difendere la biodiversità, promuovere sementi autoctone, agire localmente per sviluppare economie sane e pulite. Questa moltitudine spaventa i giganti perché disegna e difende un mondo alternativo, delinea futuri possibili in cui la sovranità alimentare è realizzata e diffusa, in cui il cibo non è schiavo di un mercato senza volto e senza freni. Loro sono giganti e non c’è dubbio, ma i contadini di piccola scala sono una moltitudine diffusa e tenace.”

 

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La lussuosa Galleria san Federico, nuova sede di Coop Fiorfiore, la linea top del gigante della distribuzione cooperativa che ha partecipato con propri eventi al Salone.

Per vincere la lotta di “liberazione della società malata attraverso il cibo”, come ama dire Petrini, occorrono ben altre forze e quella capacità di alleanze, fattore critico di successo, che forse manca ai profeti come Petrini . Costoro sono troppo avanti rispetto ai propri tempi e alla fine ti lasciano solo o isolato. Esserci nelle Assisi internazionali dove si decide è fondamentale. Ma non lo è altrettanto guardare negli occhi e stringere le mani e ascoltare chi col proprio lavoro ha reso tutto ciò possibile? L’albero può crescere, diventare robusto solo a patto che non dimentichi che chi lo sorregge e lo nutre sono le radici. Piuttosto che le rivoluzioni promesse non è meglio un sano pragmatismo? Non cambia di più le cose? Sono domande che parecchi dovrebbero porsi nel movimento Slow Food per assicurargli, oltre il Fondatore, una prospettiva e un ruolo strategico nel mondo della globalizzazione.

 

 

 

 

 

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